Settembre-Dicembre 2019
Abolire le “Leggi Sicurezza”
Pistoia, parrocchia di Vicofaro-7 dicembre 2019
1. Sono ormai passati quattro mesi dalla nascita del nuovo governo e credo che ormai anche i più ottimisti abbiano abbandonato l’idea di un’immediata riforma dei decreti sicurezza. Ad illuderci è stata la nostra voglia di novità, il bisogno di una boccata d’aria diversa da quella respirata fino ad allora in materia di sicurezza e di immigrazione.
Quell’aria continua però a girare nei corridoi del Governo. I più avvertiti l’avevano intuito sentendo l’interpretazione (dovremmo dire “autentica”) fornita dal Presidente del Consiglio in sede parlamentare, in occasione del discorso programmatico sulla fiducia. L’impegno, lì solennemente assunto, è stato quello di ritornare alla formulazione originaria dei decreti, eliminando gli aggravamenti nelle sanzioni amministrative pecuniarie e le altre misure introdotte in sede di conversione dei decreti. Modifiche ritenute le uniche responsabili: sono esse “che hanno compromesso l’equilibrio complessivo” (sic!). Era evidente l’intento di rivendicare una continuità d’indirizzo politico; la volontà di sfuggire alla questione politica, ma anche culturale e costituzionale; e di limitarsi ad eliminare gli eccessi e le esuberanze che hanno viziato un impianto considerato di per sé sano; dunque, uno schema di sicurezza solo da ritoccare, per proseguire poi nella medesima direzione.
Questa prospettiva non solo è miope politicamente e culturalmente regressiva, ma anche sbagliata dal punto di vista strettamente giuridico con riferimento all’interpretazione da dare alle indicazioni del Capo dello Stato nella lettera che accompagnava la promulgazione dei due decreti. A parte poi il fatto che si tratta di propositi che non risolvono i reali problemi di costituzionalità che pone l’attuale disciplina in materia di sicurezza e immigrazioni.
2. Ma i problemi non si pongono solo sul piano giuridico e costituzionale. Sul piano sociale ci sono tossine ancor più dannose: sono quelle prodotte giocando sulle paure, l’insicurezza, la povertà, la precarietà dei rapporti umani, da parte di una maggioranza politica che, non riuscendo a governare i problemi reali del tempo della globalizzazione e delle nuove migrazioni, si è rifugiata dentro sé stessa, nella propria angusta visione dei problemi, nei propri limiti.
In questa visione corta l’esclusione dell’altro è usata come arma di difesa dalle proprie paure, ma anche come un ritorno ad una visione del mondo e delle relazioni umane fondate sul contrasto, l’insulto, la forza, la minaccia, e non, come vorrebbe il buon senso civico, sul rispetto della dignità sociale delle persone e sulla garanzia e il riconoscimento dei diritti inviolabili delle persone.
Le politiche migratorie – e in particolare i due ultimi anelli di una lunga catena costituiti dai cosìddetti “decreti sicurezza”- rappresentano lo specchio deformante di questa ricaduta giuridica e istituzionale nel primitivo (Azzariti).
Ecco perché la revisione dei decreti sicurezza può rappresentare un’occasione per provare a trasformare le culture politiche oggi egemoni, fondate sull’autoreferenzialità, tanto della politica che pretende di governare senza popolo, magari solo in base alla forza dell’acclamazione di moltitudini confuse, quanto della società che si illude di poter vivere senza governo, contro le istituzioni, contro tutti, senza visione, senza un progetto.
Contro questa cultura dell’arroganza e dell’egoismo, in fondo, basterebbe solo ritrovare la centralità costituzionale della persona e la cultura aperta che questa produce.
Ma per questo ci vuole una spinta che la politica da sola oggi non può più dare.
3. Ma torniamo ai decreti sicurezza che purtroppo sono ancora in vigore e ci costringono a fare i conti con la realtà.
Come è noto, non siamo solo in presenza di due leggi del parlamento, ma anche di iniziative dei prefetti, di ordinanze dei sindaci, tutte indirizzate a risolvere il problema della sicurezza nel nostro paese: provvedimenti di diversa portata, ma accomunati da un unico filo ideologico.
I contenuti dei questi provvedimenti sono vari. Ci sono le norme che introducono nuovi reati, come il blocco ferroviario, l’accattonaggio molesto o la custodia abusiva di parcheggio; altre che aumentano a dismisura le pene per reati già previsti dal codice penale; poi ci sono le norme specificamente dirette a bloccare l’immigrazione e a rendere difficoltosa l’accoglienza dei migranti, tra cui quelle relative alla disciplina della cittadinanza, con la previsione della revoca in caso di condanna definitiva per alcuni gravi reati, qualora la cittadinanza italiana sia stata acquisita da persona con precedente cittadinanza straniera.
Ma la misura che più rivela il regresso giuridico e culturale dell’intero sistema è quella che ha cancellato il sistema di accoglienza pubblica (Sprar). Un sistema minimo di protezione per richiedenti asilo e rifugiati che poteva subire certo delle modifiche, ma che non si poteva semplicemente eliminare.
In questo caso l’ostentato disprezzo per le politiche di accoglienza e integrazione non si concilia con il dovere inderogabile di solidarietà che discende dall’articolo 2 della Costituzione.
Solo due parole sul secondo decreto sicurezza (d.l. n. 53/2019) per notare che ci sono questioni ben più rilevanti di quella di attenuazione delle sanzioni amministrative pecuniarie. Non si tratta infatti semplicemente di “sproporzione” o eccessiva onerosità delle sanzioni rispetto alla gravità dei comportamenti tenuti. Qui siamo dinanzi all’illegittimità delle sanzioni in sé, perché rivolte nei confronti di chi opera salvataggi in mare, dunque in forza di un innegabile obbligo giuridico. Lo ha scritto il Presidente della Repubblica nella sua lettera al Parlamento; lo dice la Convenzione ONU, ricordata più volte; lo impone il diritto internazionale, quello europeo, il diritto del mare. Chi salva una persona in pericolo non può dunque essere sanzionato.
Ma allora sarebbe necessario non solo abolire il divieto e le relative sanzioni, ma anche spostare l’attenzione sulle procedure di rapido approdo nel primo porto sicuro (POS) da assicurare a tutti i naufraghi. Per poi – solo dopo portato a termine il salvataggio – preoccuparsi del problema dell’accoglimento e distribuzione dei migranti. Con l’evidente necessità di coinvolgere l’Europa per definire politiche effettive ed efficaci di reale integrazione.
4. C’è naturalmente un unico filo che lega queste diverse norme.
C’è, anzitutto, un’operazione culturale molto spregiudicata. Le leggi, in particolare quelle penali, hanno una rilevante funzione simbolica e pedagogica. Definendo i reati e gli illeciti, ci dicono che cosa è bene e che cosa è male, che cosa è socialmente accettabile e che cosa, al contrario, deve essere oggetto di riprovazione. In questo modo la legge contribuisce alla costruzione del pensiero comune dominante. Ebbene, la disciplina congiunta di immigrazione e sicurezza ha l’evidente obiettivo di consolidare la convinzione che i responsabili dell’insicurezza diffusa siano i migranti.
Il carattere più evidente delle nuove norme è l’incremento massiccio dell’uso della pena e del carcere come strumenti di governo della società. Questo è il significato della pioggia di aumenti di pena abnormi, e del ripristino di reati un tempo depenalizzati. Il tutto in un momento nel quale il carcere torna a superare il tetto delle 60.000 presenze quotidiane. È un salto di qualità preoccupante.
In secondo luogo, gli aumenti di pena non sono generalizzati, ma mirati ad alcune classi o ceti sociali: i migranti, ovviamente, e poi i poveri (a cui sono dirette le nuove norme in tema di accattonaggio, di esercizio abusivo dell’attività di posteggiatore, di occupazione di stabili ad uso abitativo e di Daspo urbani) e le parti deboli del conflitto sociale, cui sono destinate le norme incriminatrici del blocco stradale e dell’occupazione di edifici.
In questo processo di crescente penalizzazione c’è però un fatto nuovo: una serie di meccanismi giuridici diretti a spostare l’accento dal fatto alle caratteristiche soggettive del suo autore. Non solo, dunque, reati disegnati sul prototipo del ribelle (come il blocco stradale o l’occupazione di edifici) o dei marginali (come l’accattonaggio molesto o la pratica dell’attività di posteggiatore abusivo), ma anche tecniche che segnano un passaggio dal diritto penale del fatto alla criminalizzazione del tipo d’autore.
Si realizza infine, con questa manovra, un’ulteriore tappa nel processo di restrizione dei diritti e delle libertà delle persone, perseguita attraverso il conferimento di nuovi poteri ai Sindaci e ai prefetti. Le fasi dell’operazione sono molte: la dilatazione della detenzione amministrativa, aberrante dal punto di vista giuridico soprattutto per la mancanza di un reale controllo del giudice; il potenziamento del ruolo dei sindaci nelle politiche di ordine pubblico, con l’estensione dei poteri di ordinanza loro attribuiti ecc.
5. Si tratta, dunque, di norme finalizzate, attraverso la previsione di misure eterogenee, a contrastare tanto la criminalità organizzata e quella eversiva del terrorismo internazionale, quanto le forme della microcriminalità comune, in entrambi i casi con l’intento di tutelare la sicurezza dei cittadini, soprattutto attraverso forme di prevenzione personale, affidate agli apparati di polizia.
Sullo sfondo di queste scelte normative, c’è la “globalizzazione capitalistica” e le “politiche liberistiche” degli ultimi decenni, e la conseguente crisi dello Stato sociale, che hanno relegato fasce sempre più ampie della popolazione alla precarietà, all’emarginazione e alla disoccupazione, delineando un sistema naturale di “vincenti e di perdenti”, in cui faticano a trovare posto i valori costituzionali della solidarietà e dell’uguaglianza.
È necessario cercare di capire insieme a voi il senso vero di questa legislazione della sicurezza. La società è dominata dall’incertezza del proprio futuro, dall’insicurezza, e quindi dal bisogno di individuare i nuovi nemici cui addossare la crisi: i nuovi nemici non hanno volti definiti, e la loro identità è mutevole: ora sono i migranti che sbarcano sulle coste, ora sono i mendicanti, ora i rom, i clandestini, e i piccoli delinquenti.
I media ed i politici proclamano “la guerra al crimine” e la politica, in cerca di consensi, promette il ritorno ad una quiete irreale, il ritorno di uno status originario idilliaco, dove lo straniero sia assente, il giardino pulito, la piazza spogliata dall’indecenza dei mendicanti, resi finalmente invisibili.
Di fronte a cambiamenti sociali epocali, come quelli che viviamo, si rivendica il diritto alla tranquillità domestica ed attraverso il ricorso alla sanzione penale si riafferma il disegno di una “società diversa” e si amplia il numero dei “nemici” da contrastare: il nemico è l’immigrato come lo è il terrorista, il mafioso come il mendicante o il cosidetto parcheggiatore abusivo.
La guerra al crimine e all’insicurezza si rivolge a particolari categorie di atti illeciti compiuti in spazi marginali, come la strada e la periferia: come è stato acutamente detto, “non è un diritto penale compattamente unitario, ma un diritto che differenzia tra noi e loro, tra i salvati e i sommersi, tra i normali cittadini (destinati ad essere protetti legalmente dal crimine), e i criminali da neutralizzare con qualsiasi mezzo. Un sistema a “doppio binario”, garantista e sicuritario per noi, repressivo per loro”.
L’attenzione si sposta sulle periferie delle città, luoghi dove risiedevano i lavoratori delle fabbriche, prima, e ora i lavoratori precari dei call center del nuovo millennio; luoghi che si estendono geograficamente, per accogliere i nuovi flussi migratori, creando, nello stesso tempo, nuovi ghetti residenziali.
Intorno a questi nuovi luoghi smaterializzati ci sono svincoli autostradali, stazioni di servizio, immensi parcheggi: si tratta di non luoghi privi di storia, così come è difficile ricostruire la storia degli abitanti che la vivono.
La percezione che si ha di questi spazi è il rumore molesto, l’imbrattamento del muro, la vista del tossicodipendente, il fastidio dell’ubriaco, la sopraffazione dei bulli, il mendicante che si avvicina, il lampione rotto ecc.
L’incontro con la marginalità sociale, con comportamenti di devianza dalla regolarità sociale, determina un sentimento di intollerabilità e di disagio che si tramuta presto nella paura e nel rifiuto del ‘diverso’.
Il senso di insicurezza, reso più acuto in tempi di grave crisi sociale, da vissuto soggettivo diviene elemento aggregante che lega ciascun individuo all’altro, trasformando le paure personali in tensioni sociali pronte ad esplodere e in domande politiche di sicurezza.
La paura disegna i nuovi spazi urbani, creando quartieri chiusi e zone sempre più sorvegliate: vengono intensificati i sistemi di illuminazione urbana, le piazze sono presidiate dalle forze di polizia e la città è piena di dispositivi tecnologici, che garantiscono il controllo e creano nuove mura di cinta, ponendo non solo nuovi problemi di regolamentazione della privacy, ma ridisegnando il concetto stesso di “spazio pubblico”. E tuttavia, il controllo sociale aumenta o, comunque, lascia invariate le sensazioni di ansia e timore, ingigantendo “la paura dell’insicurezza”.
6. I nuovi sistemi di contrasto, si muovono lungo direttive tra loro assai differenti e soprattutto non in linea con i tradizionali modelli sanzionatori: il risultato è quello di un apparato a cui è difficile riconoscere legittimità, effettività e coerenza, al cui interno convivono misure preventive, sanzionatorie ed amministrative.
Ora spetterebbe alla politica, quella buona, l’attività più nobile degli uomini. Solo la politica può riparare ai guai di sistema prodotti da una cultura che ha operato sul piano antropologico prima ancora che su quello giuridico o costituzionale. Bisogna però essere consapevoli di quale sia la sfida in atto, interrogarci su come si possa reagire all’arroganza di un potere e di una cultura diffusa che non solo violano la Costituzione ma oltraggiano le nostre coscienze imponendo un “paradigma sicuritario” e affermando un “diritto antiumanitario” che si contrappongono al paradigma costituzionale che pone la dignità delle persone al centro di qualsiasi politica.
So bene che un ordine pubblico è necessario per garantire il buon funzionamento di una società. E sono anche convinto che il governo dei flussi rappresenti un enorme problema in un’epoca di cambiamenti planetari. Tutto ciò però non può giustificare l’abbandono della civiltà e della Costituzione, per abbracciare la violenza disumana dei decreti sicurezza.
Beniamino Deidda*
*Beniamino Deidda è entrato in magistratura nel 1963 ed ha svolto la sua attività prevalentemente a Firenze dove è stato per molti anni Pretore, poi Giudice per le indagini preliminari e, dal 1993 per sei anni, Procuratore della Repubblica Aggiunto presso la Pretura di Firenze. Nel 1998 è stato nominato Procuratore della Repubblica di Prato, funzione che ha mantenuto fino al 2005, quando è stato nominato Procuratore Generale di Trieste. Dall’inizio del 2009 è stato Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Firenze fino al pensionamento.
RIVISTE
Rivista storica del Socialismo
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La “Rivista storica del Socialismo”, dopo un silenzio durato 49 anni, riprende le pubblicazioni, con cadenza al momento semestrale, in ideale continuità con la rivista a suo tempo diretta da Luigi Cortesi e Stefano Merli. La «Rivista storica del socialismo» si proponeva di approfondire lo studio del socialismo italiano, sia dal punto di vista storico, sia come realtà attuale, e di dare impulso agli studi sulla Seconda e Terza Internazionale. Uscita dal 1958 al 1967 la rivista, a esclusione del n. 1 (numero monografico dedicato a Filippo Turati), pubblicava articoli, interventi, recensioni dal taglio storico, politico, filosofico: molti gli articoli dedicati al Risorgimento, al dopoguerra in Italia e all’estero, ai partiti politici – visti sia in ambito storico sia programmatico – al pensiero socialista alla politica nazionale e internazionale, alla politica sindacale e operaia, alla questione agraria, all’internazionale comunista, a saggi di storia del Novecento.
Scrive il direttore Paolo Bagnoli nella presentazione della rivista che «la nuova serie manterrà intatto il proprio profilo scientifico, ma non sarà chiusa nell’ambito specifico dell’accademia, bensì cosciente che non si può, nel proporsi di far cultura storica, avere gli occhi chiusi sul mondo e i suoi travagli, sulle vicende vive dei nostri tempi. Rivista scientifica, ma non per questo anagraficamente datata, bensì aperta alle nuove leve della storiografia, cui vogliamo mettere a disposizione uno strumento serio per i loro lavori da valutarsi secondo le regole e i metodi adottati nel mondo della comunità degli studiosi.
Al pari della passata serie, naturalmente, non tratteremo solo di storia del socialismo. Ci proponiamo, infatti, di affrontare il tema nei suoi vari aspetti – storici, dottrinari, economici, sociali – cercando, anche, di indicare particolare attenzione alla ripresa di queste tematiche a livello europeo ed extra-europeo. Nel presentare, alla nascita, la “Rivista storica del socialismo”, i direttori chiudevano la loro prefazione rilevando “la considerazione del socialismo come realtà sviluppatasi e vivente in stretta connessione con tutte le pretese varie storie, cioè entro la storia, solo sperimentalmente scindibile nel laboratorio ideale dello studioso. Nulla, insomma, sarà estraneo alla tematica della rivista che appartenga al mondo contemporaneo, del quale il socialismo è parte integrante e vitale.” Condividendo tali considerazioni, le sottoscriviamo in pieno.
Riportiamo il sommario dell’ultimo numero uscito (secondo semestre del 2019):
Saggi: L. Rossi: Prigionieri per un giorno. La fine poco gloriosa dell’esercito pontificio; A. Noto: Amore e rivoluzione al tempo del Risorgimento. Enrichetta Di Lorenzo e Carlo Pisacane; F. Ferrarini: La socialdemocrazia nordica nel caso finlandese; Archivi e documenti: A.R. Gabellone: Antifascismo e libertà fra Sylvia Pankhurst e Marion Cave Rosselli; S. Sottoriva: Il Parti Socialiste e l’Italia. Una panoramica degli Archives socialistes di Parigi (1970-1990); Pietro Nenni: «Fondatore e genio del Partito Socialista». In memoria di Filippo Turati.
Segnalazioni
Alimentazione
M. Insana, L. Donato, Alimentazione DNA Microbioma, Equilibrare il nostro Ossigeno tra Cimatica e il metodo Ken-BO2, Gabrielli 2018, pp. 141 € 15,00
Questo lavoro rappresenta una nuova e singolare visione della ricerca del benessere psico-fisico, attraverso la correlazione dinamica tra alimentazione, DNA, flora batterica, frequenze, musica, formulazione dei pensieri, ossigeno e respirazione.
In questo nuovo approccio, il filo conduttore e unificante è la respirazione. Ogni giorno abbiamo bisogno di ossigeno e di energia per sostenere le funzioni delle nostre cellule. L’adeguata ossigenazione dei tessuti, attraverso la respirazione, ci aiuta a mantenere il nostro equilibrio interiore e l’alimentazione è un fattore fondamentale per la produzione dell’energia necessaria al nostro corpo. Noi siamo espressione di energia, informazione e trasformazione. La risposta risiede nell’intreccio delle discipline che, partendo dalle origini, concorrono a introdurre il Ken-BO2-Metodo-Insana: la biologia nutrizionale, lo studio del DNA e la Cimatica, la scienza che studia gli effetti del suono sulla materia.
Gli autori accompagnano il lettore lungo un sentiero innovativo, il quale, passando attraverso la consapevolezza di ciò che siamo, lascia intravedere nuovi orizzonti per una migliore comprensione delle scienze della vita che si pongono al servizio dell’uomo.
F. Pignatta, La Dieta del gladiatore. Un’alimentazione sana che ha fatto la storia, Sonda 2018, pp. 159
€ 14,00
Nel passato, i gladiatori erano detti hordearii, cioè mangiatori d’orzo, cereale a base della loro dieta, capace di fornire loro tutti i nutrienti necessari per crescere forti e misurarsi con altri lottatori in gare cruente. L’autore, detto anche Iron manager, bodybuilder agonista, per molti anni della sua vita convinto sostenitore della dieta carnivora, dopo il 2016 – a seguito di un viaggio a Bali dove incontra la sua partner, vegana da anni nonostante che fosse in allenamento in vista di un evento importante di culturismo, inizia a sperimentare una dieta solo vegetale, assumendo il famoso tempeh indonesiano. Subito nota incredibili miglioramenti nella composizione corporea. Continua a seguire ed ampliare questo approccio che, non solo non lo danneggia, ma anzi lo convince a sperimentare più profondamente la dieta vegetale; per poi dedicarsi totalmente alla sua passione. Fondare una Fitness Community. Attualmente sta frequentando l’università di Westminister per conseguire un master in Nutrizione sportiva. Sfatati molti luoghi comuni, che per anni avevano funzionato anche per lui, dedica buona parte del testo a informare riguardo al cibo consono a vivere meglio, esemplificando la Dayly Dozen del dr. M. Greger (autore del testo Sei quel che mangi, Baldini Castoldi) che l’autore adatta nella “sua” versione, efficace sia come guida per atleti e sportivi di ogni livello, sia per tutti coloro che vogliono essere responsabili della propria salute e, al tempo stesso, attivi nella difesa dei diritti degli animali e dell’ambiente che ci ospita. In chiusura estesa bibliografia specialistica. (l.b.)
F. Beldì, Coltivazione biologica delle piante aromatiche, Con 50 schede agronomiche per la cura, la difesa, la trasformazione e l’impiego, Terra nuova 2019, pp. 162 € 4,00
Le aromatiche, officinali, rappresentano un gruppo di piante di particolare interesse sia per i loro molteplici impieghi culinari ed erboristici, sia per la relativa facilità di coltivazione.
In queste pagine, Francesco Beldì, agronomo, guida il lettore in un affascinante viaggio nel mondo delle piante aromatiche, attraverso oltre 50 schede che illustrano in dettaglio – dalla A di acetosa fino alla Z di zafferano – le proprietà, l’impiego e il metodo di coltivazione delle principali specie in grado di prosperare nel nostro clima.
Per ogni pianta sono inoltre riportati preziosi consigli e suggerimenti per il controllo dei parassiti, la raccolta e la conservazione, indispensabili per preservare al meglio le preziose proprietà delle aromatiche.
G. e R. Chiaradia, Salvia e rosmarino. Alimentazione tradizionale in Friuli, Forum 2018,
pp. 255 € 22,00
Questo volume presenta un’articolata ricerca etnografica, condotta negli anni ’69 e ’70 a cui hanno contribuito diverse decine di informatori sparsi in tutto il Friuli quando l’alimentazione seguiva i ritmi stagionali e i cibi erano prevalentemente prodotti locali. È un libro di “cucina applicata” alla storia.
M. D’aquino, Nel nome del pane. Segni della cultura agropastorale in Basilicata, Altrimedia 2019, pp. 93 € 20,00
I pani venivano timbrati con le iniziali del capo famiglia dal momento che la consistenza della pasta e la pezzatura erano diverse per ogni famiglia, una usanza molto diffusa nel passato, presente a Matera ma anche in altre località lucane e della Murgia barese.
Il libro riproduce i marchi di una piccola parte dei manufatti conservati, sono più di 400, nella collezione etnografica del Museo Nazionale Archeologico “D. Ridola” di Matera.
S. Pipitone, Pesticidi a tavola. I veleni autorizzati che mangiamo e respiriamo, Arianna 2019, pp. 121 € 12,90
Testo importante perché in modo puntuale e documentato rivisita le tappe più significative che hanno segnato la diffusione della chimica nell’agricoltura, la cosiddetta “rivoluzione verde” nel secondo dopoguerra.
Tutto è intossicato dai pesticidi, molecole studiate per distruggere forme di vita ritenute dannose per le coltivazioni e che equamente distruggono tutti i viventi. Pesticidi e fertilizzanti chimici, l’ossatura basilare dell’agricoltura industriale, sono molecole in origine sintetizzate e utilizzate nel primo conflitto mondiale, note come “gas nervino”.
Molta parte del testo è dedicata al glifosato, erbicida della Monsanto, ora acquisita dalla Bayer e ritenuto innocuo per l’uomo, è ormai presente in alimenti, bevande e nei nostri corpi altera il microbioma, essenziale per la salute del nostro sistema immunitario, per la sintesi degli enzimi e delle vimine, per la secrezione di ormoni ecc. Continuare ad immettere nel suolo più di 130.000 tonnellate di pesticidi ogni anno e pensare di poter continuare a farlo è semplicemente folle. Infatti, la contaminazione delle falde acquifere nel nostro paese è sempre più preoccupante. 259 sono i pesticidi ormai presenti in tutte le tipologie di alimenti (esclusi quelli di origine biologica/biodinamica) e il ventaglio delle patologie è così esteso da configurarsi come un problema di salute pubblica.
Il modello di agricoltura industriale, ostentato come risolutivo di tutti i problemi a cominciare da quello della fame, è del tutto fallimentare. Oltre ai danni all’ambiente e alla salute, ancora oggi 800 milioni di persone soffrono la fame.
Questo modello di agricoltura richiede grandi investimenti in termini di risorse energetiche e contribuisce per circa il 25% all’emissione dei gas, alla base del riscaldamento globale. La sostanza organica dei suoli è drasticamente diminuita e la desertificazione minaccia il 40% delle terre del pianeta con tutte le nefaste conseguenze derivanti: migrazioni e guerre.
In un secolo si è perso il 75% della biodiversità genetica e sono fortemente diminuiti gli insetti impollinatori e le api. Tutti segnali ad alto rischio!
Infine, l’intero settore agricolo è sotto il controllo di un ristretto numero di multinazionali che dettano legge su cosa e come debba essere coltivato, brevettano sementi e prodotti chimici, controllano i prezzi attraverso grandi gruppi finanziari che ci governano.
Pesticidi a tavola ci aiuta – entrando nello specifico – a prendere coscienza degli esiti delle scelte fatte e a capire che si può cambiare adottando – a livello globale – una “nuova agricoltura”, prima che sia troppo tardi.
Chiude il libro un’ampia bibliografia. (l.b.)
Ambiente
Rocca, n. 18, 15 settembre 2019 € 3,50
Pietro Greco: Ecologia dei grandi incendi. I tre grandi incendi dell’estate 2019 che hanno bruciato milioni di ettari di foreste: quella boreale in Siberia, la tropicale in Amazzonia e quella tropicale in Africa centro-occidentale (a cui è stato dato molto meno rilievo rispetto alle prime due).
In Angola e Repubblica democratica del Congo si sono sviluppati migliaia di focolai ma l’estensione della foresta bruciata è minore rispetto a quella brasiliana perché gli incendi africani sono causati da piccoli fuochi sfuggiti al controllo degli agricoltori. Vengono analizzati cause ed effetti di ogni situazione con chiarezza e proposte azioni per un futuro migliore.
Adista, n. 20, 1 giugno 2019
Abbonamento annuale € 75,00
Alle 321 persone uccise nel 2018 per la loro difesa del pianeta e dei diritti umani è dedicato il rapporto 2019 dal titolo I padroni della Terra, pubblicato dalla Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario (FOCSIV) e incentrato sul tema del land grabbing, l’accaparramento di terre secondo interessi che non considerano i diritti delle comunità locali. Vengono riportate la prefazione dell’arcivescovo emerito di Trento, mons. Luigi Bressan, quella di don Bruno Bignami, direttore ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei e quella del presidente della FOCSIV Gianfranco Cattai.
Adista, n. 31, 14 settembre 2019
Abbonamento annuale € 75,00
In SOS Terra. I ghiacciai si sciolgono, le foreste bruciano. E l’anidride carbonica continua a crescere, pubblicati ampi stralci di un intervento di José Eustáquio Diniz Alves, docente della Scuola Nazionale di Scienze Statistiche dell’Instituto Brasileiro de Geografia e Estatística, e di una riflessione del sociologo e filosofo Michael Löwy. Il primo autore si concentra su cambiamenti climatici, riscaldamento globale, ecocidio e sesta estinzione di massa, crescita della produzione e del consumo dell’umanità a scapito degli ecosistemi; il secondo parla dell’ecosocialismo – o socialismo verde o comunismo solare – come modello di sviluppo alternativo (anche all’ideologia della decrescita) confrontandolo con altre teorie, di democrazia, economia, delle vere e false necessità dell’individuo, della possibilità di creazione di una nuova società in base a questo modello.
Adista, n. 35, 12 ottobre 2019
Abbonamento annuale € 75,00
Claudia Fanti introduce i passi riportati dell’edizione 2019 del Rapporto dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) sul consumo di suolo in Italia, raccolti sotto il titolo Consumo di suolo zero, opportunità per rigenerare il tessuto urbano. Nell’ultimo anno sono andati persi 51 chilometri quadrati di territorio, al ritmo di 2 metri quadrati al secondo; nel 2018 nelle aree urbane ad alta densità si sono persi 24 metri quadrati per ogni ettaro di area verde e a Roma si è avuto un incremento di superficie artificiale di quasi 75 ettari; il consumo di suolo cresce anche nelle aree protette, in quelle vincolate per la tutela paesaggistica, a pericolosità idraulica media e da frana e nelle zone a rischio sismico.
Tera e Aqua, n. 106, agosto-settembre 2019 Abbonamento (alla rivista GAIA) € 20,00
Non solo PFAS di Giovanni Fazio. Nel 2018 una ricerca ha esaminato il mercato dei Pfas (composti chimici tra i responsabili della contaminazione delle falde acquifere): in Veneto viene utilizzata più della metà delle 200 tonnellate importate annualmente in Italia; oltre 500 industrie dell’Alto Vicentino li usano per concia, scarpe, vestiti e accessori e le acque del fiume Fratta-Gorzone e di altri, che irrigano i campi e sfociano in mare, contengono veleni e sostanze inquinanti.
Una città, n. 255, febbraio 2019 € 8,00
Angelo Loy: Il lago Ciad. Appunti di viaggio per un documentario sul bacino del lago che ci parlano di un Paese con aspettativa di vita di 39 anni e il 15% di neonati che muore prima di aver compiuto un anno, del suo lago che si sta prosciugando, della grave crisi umanitaria della zona, di Boko Haram.
Nigrizia, n. 4, aprile 2019 € 3,00
François Misser: Coste avvelenate. L’impianto della NcfT, compagnia di fosfati con sede a 40 km dalla capitale del Togo, sversa ogni giorno enormi quantità di fanghi contenenti fosfati e metalli pesanti nel Golfo di Guinea senza rea-
zioni da parte del governo. Gli abitanti dei villaggi circostanti presentano sintomi di intossicazione da fluoro. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (Unido) aveva già denunciato lo sversamento nel 2007 e rivelato che pesci e molluschi presentavano livelli di cadmio e piombo eccessivi.
D. Danna, Dalla Parte della Natura. L’ecologia spiegata agli esseri umani, Morellini 2018, pp.175 € 13,90
Un dialogo tra Natura e umanità “quasi una personalizzazione letteraria” che indaga le tematiche nevralgiche della nostra civiltà. Un “pamhlet ecofemminista che attacca il sistema capitalista e patriarcale, dove donne, animali e ambiente sono considerati proprietà da dominare, sfruttare e rapinare”.
F. Guattari, F. La Cleca, Le tre ecologie, Sonda 2019, pp. 143 € 18,00
“Cambiamenti climatici, inquinamento, disastri ambientali, disuguaglianze, conflitti: l’ecologia è un’emergenza che si fa sempre più allarmante. Per cambiare davvero le cose, l’ecologia deve diventare “ecosofia” etico-politica, cioè occuparsi non solo dell’ambiente, ma anche dei rapporti sociali e della soggettività umana. Il nuovo paradigma delle tre ecologie, elaborato da Felix Guattari, ribalta la concezione antropologica dell’uomo al centro del mondo e propone un’autentica rivoluzione politica, sociale e culturale, mirata a cambiare definitivamente sia i modelli di produzione su scala globale, che la sensibilità collettiva.
Franco La Cleca introduce una quarta dimensione: quella della “pornoecologia”, che riporta a scambiare la realtà con una realtà artificiale, un’illusione ancora più diffusa e pericolosa del mondo virtuale dei social media. L’antidoto a questa illusione è riconoscere la “realtà” della Natura, di cui tutti facciamo parte.” (dalla quarta di copertina)
M. Boato, Si può fare!, Guida al Veneto sostenibile, 200 grandi piccole opere da scoprire, Libri di Gaia 2018, pp. 190 € 10,00 Sono 200 le realizzazioni, in armonia con la natura, documentate in questo libro, che hanno ridotto l’impatto sull’ambiente, fino a migliorarlo. Sono solide iniziative architettoniche, economiche, tecnologiche e di volontariato. Alcune antiche, quasi dimenticate: le Ville eolie nei Monti Berici, i pozzi veneziani che raccolgono acqua piovana, l’Orto botanico di Padova; le altre sono iniziative recenti, con tecnologie innovative (nell’edilizia, i trasporti, l’energia): bioarchitettura, fitodepurazione, agricoltura biologica, energie rinnovabili, rinaturazioni, restauro e riuso di antichi edifici, giardini botanici e lunapark senza motori, percorsi ciclabili, riciclo spinto, industrie pulite, recupero di animali selvatici. Tutte esperienze con forti motivazioni etiche, ecologiche, sociali e scientifiche; spesso sconosciute; invece, esempi da seguire.
C. Masset, Giardini segreti, L’Ippocampo, 2017, pp. 190 € 25,00
L’autrice ci conduce in un viaggio sorprendente fra i molti giardini segreti della National Trust sulle coste ed entroterra inglesi.
Giardini rigogliosi, curati e tutelati, per lo più consoni all’ambiente circostante e alle piante autoctone, queste meraviglie, misteriose e nascoste, fanno parte dell’immenso patrimonio di una istituzione, la National Trust, che opera da anni per la tutela del patrimonio paesaggistico inglese. Le tracce di questo percorso, corredate di foto, giungono anche in alcuni giardini famosi come quello di Virginia Woolf a Monk’s House oppure nei promontori del Galles che fanno da sfondo ai personaggi di Beatrix Potter ma anche al “Giardino segreto” di Francis Hodgson Burnett, la cui trama e magia ci accompagna nello scoprire questi gioielli.
J. Hill, La ragazza sull’albero, diario di una vittoria: 738 giorni su una sequoia per salvare la foresta, Terra Nuova 2017, pp. 256 €14,00
Diario della famosa esperienza di una ragazza di 23 anni che, nel 1997 si arrampicò su di una sequoia millenaria nella foresta di Headwaters in California per protestare contro la Pacific Lamber Companv che voleva distruggere la foresta.
Il caso ha avuto risonanza mondiale ed ha portato alla salvezza della sequoia e della foresta non senza polemiche e recriminazioni. Questo testo è sia un racconto dettagliato di quesi giorni fatto dall’autrice ma è anche del suo percorso di crescita e di responsbilizzazione nei confronti dell’ambiente e del pianeta con riflessioni, dopo venti anni, di Butterfly (il soprannome di Julia Hill).
J. Simonetta, L. Pardi, Picco per capre. Capire, cercando di cavarsela, la triplice crisi: economica, energetica ed ecologica. Prefazione di L. Mercalli, Lu::ce 2017, pp. 237 € 15,00
Intanto, il titolo. Il picco di qualcosa si ha quando si raggiunge il culmine dopo un’ascesa, cui segue di necessità una discesa. Le capre, considerate nell’accezione comune stupide, stanno a indicare noi umani che, indaffarati a vivere, ci comportiamo come se ignorassimo che stiamo percorrendo un cambiamento epocale che invece non tollera più tanta inconsapevolezza. Perché il tempo stringe.
Accettare l’idea che l’intera nostra civiltà stia andando in frantumi, immaginare le conseguenze e reagire in modo costruttivo rappresenta una sfida profonda, ma inderogabile. Tanto più che mai nel passato nessuno ha avuto la conoscenza che noi oggi abbiamo riguardo a come funziona il mondo, su quello che è possibile fare.
Tutto ciò che ci circonda e noi stessi siamo fatti di materia ed energia e ogni essere vivente assorbe energia e materia, le trasforma e rilascia rifiuti nell’ambiente. La quantità di materia ed energia contenuta negli scarti è la stessa di quanto assorbito, ma la qualità è molto diversa. Il fatto è che ogni organismo trasforma ciò che usa in forme non più utilizzabili da chi le ha trasformate.
Ma, mentre in Natura gli scarti di una specie sono risorse per un’altra, da quando l’uomo ha trovato il modo (tecnologia) di sfruttare l’energia solare fossile (carbone, petrolio, gas), nonché i minerali per il proprio fabbisogno, con l’aumento demografico che ne è seguito, ha prodotto grandi quantità di scorie ed esse non trovano in natura un organismo che le ricicli. Infatti, queste scorie sono comparse in maniera eccedente e troppo rapidamente rispetto ai tempi in cui gli organismi si evolvono.
• Stiamo ingolfando/inquinando il sistema!
In natura, la luce del sole, nella stragrande maggioranza dei casi, è l’unica fonte di energia da cui dipende la vita e durerà finché durerà il sole. Da questo flusso, le piante traggono l’energia necessaria con cui costruire tutte le molecole organiche utilizzate dagli organismi. È questa una delle ragioni per cui la nostra vita dipende da quella di tutti gli altri esseri viventi.
• Non siamo autarchici!
Si stima che 5.000 anni fa sulla terra ci fossero 14 milioni di persone. Ci sono voluti quasi 4.800 anni per arrivare a 1 miliardo di individui e nell’arco di 50 anni siamo passati da 3 a7 miliardi. Se diciamo che negli ultimi 2 secoli abbiamo incrementato la quantità di anidride carbonica del 40% capiamo di cosa parliamo; ma se aggiungiamo che ciò che è avvenuto in 200 anni è pari al cambiamento della composizione dell’atmosfera che normalmente si misura in milioni di anni, capiamo ancora di più l’ordine di grandezza dello sforamento.
• È come confrontare l’effetto di bersi una bottiglia di whisky d’un fiato o in un anno!
L’antidoto alla crescita esponenziale (demografica, dei consumi, delle scorie) sono i ritorni decrescenti.
La prima, quando raggiunge il picco, non può che decrescere. Così in natura si ristabilisce l’equilibrio (topi/gatti). Invece, solo la nostra generazione, guru dell’economia inclusi, credono nella crescita e nel benessere continuo.
• Le magnifiche sorti e progressive!
Inoltre, siamo abituati a pensare che i cambiamenti naturali e sociali siano graduali; invece si osservano momenti di stabilità/instabilità.
Se in un punto preciso facciamo cadere della sabbia, gradualmente si forma un mucchietto che cresce. Finché resta basso, le pendici sono stabili; ma oltre un certo limite piccoli smottamenti si verificano e, ogni tanto, una bella frana. Non è dato sapere né la periodicità né le dimensioni di esse. Sappiamo solo se siamo in una situazione stabile o meno. Le catastrofi sono eventi improvvisi che mutano una situazione stabile in disastro. Se non ci si adatta tempestivamente ai cambiamenti, si dovrà prima o poi fronteggiare la catastrofe, Così nascono i terremoti e le rivoluzioni.
• Niente da prendere sottogamba!
Tanto più che in Africa occidentale, circa 40 mila anni fa, si è affermata una genia umana completamente diversa dalle precedenti perché evolveva a una velocità incredibile per tutte gli altri animali, comprese le specie umane. È nata una forma di evoluzione completamente nuova: l’evoluzione culturale, mediata dalla parola invece che dall’esempio.
Noi siamo gli unici animali che leggono la realtà attraverso una “mappa mentale” che ci siamo dati nel corso del tempo. Se la mappa è realistica e le istruzioni elaborate sono valide, tutto va bene. Ma se ci troviamo davanti a una situazione inedita o se la nostra mappa mentale è inadeguata al nuovo, si perderà – è possibile – tempo prezioso per adattare la mappa alla realtà, sempre che non ci vogliamo illudere che, se prima funzionava, continuerà a funzionare. Se fino ad oggi progresso tecnologico e crescita economica hanno sempre determinato la nostra fortuna evolutiva, stenteremo a credere a chi preconizza la catastrofe.
La maggioranza delle persone rimane ancora fermamente convinta dell’ineluttabilità del progresso, solo perché ci atteniamo a una mappa mentale elaborata duecento anni fa, quando le città erano sommerse dalle campagne, le foreste coprivano la metà delle terre emerse ecc.
Il problema, è tutto qui: vogliamo cambiare la mappa o estinguerci? (l.b.)
E. Giovannini, L’Utopia sostenibile, Laterza 2018, pp. 160 € 12,00
Il libro mostra che la scelta di imboccare la strada verso lo sviluppo sostenibile è ormai l’unico modo per evitare il collasso del sistema socio-economico a livello mondiale. In questo filone di riflessione sono indicate proposte molto concrete su come aiutare l’Italia ad affrontare le sue molte criticità, non oltre differibili.
Tre secondo l’autore gli ingredienti fondamentali: tecnologia, governance e cambio di mentalità. Alla tecnologia è stata dedicata la prima parte, alla governance e alle politiche la seconda. Il problema più complesso da risolvere riguarda il cambio di mentalità; intendendo con ciò la trasformazione della cultura e dei modelli con cui interpretiamo e trasformiamo la realtà. Tra le trasformazioni non più eludibili quella che da Bauman viene segnalata nel suo Retrotopia.
La sua tesi: cambiamenti epocali hanno sempre condotto a una ridefinizione del concetto di noi e di loro: “a ogni passaggio i contenuti della categoria noi si espandevano sempre più rispetto a loro”; il resto dell’umanità “sommariamente collocata nella categoria degli estranei, dei non-noi”. Secondo Bauman, siamo arrivati all’ultimo stadio in cui il noi include tutti; Pianeta incluso, è la conclusione dell’autore, d’accordo con la “ecologia integrale” di papa Francesco. (l.b.)
C. Plamondon, J. Sinha, Vivere felici senza plastica, La guida definitiva, non ci sono più scuse, Sonda 2019, pp. 222 € 18,00 Il testo è una mappa dettagliata della situazione e una rassegna completa di tutte le alternative disponibili alla plastica.
Ormai non ci sono più scuse: bisogna eliminare la plastica. Gli animali muoiono soffocati. un’isola di plastica, grande tre volte la Francia, galleggia nel Pacifico.
Ognuno di noi può correre ai ripari liberando le nostre abitazioni dalla plastica, in cucina, in bagno e in giardino, usando materiali alternativi (vetro, ceramica, bambù, canapa…), abbracciando un’economia locale sostenibile e facendo opera di proselitismo.
A. Peruffo, Non torneranno i prati, Storie esplosive e Pfas e Spannoveneti, Cierre ediziioni 2019, pp. 275 € 14,00
Ad opera di Peruffo, in Veneto, è venuto alla luce l’inquinamento da Pfas (sostanze perfluoroalchidiche) nelle falde e nei rubinetti di casa. Il più grande inquinamento dell’acqua nella storia d’Europa.
Un disastro ambientale venuto alla luce soprattutto grazie alle migliaia di persone che si sono mobilitate: mamme e genitori No Pfas, comitati, centri sociali, ambientalisti, lavoratori e sindacati che sono riusciti infine a bloccarne la causa, la fabbrica Miteni di Trissino (Vi), fallita nel 2018. In questo libro si raccolgono gli scritti operativi della più importante rivolta popolare del Veneto recente contro le negligenze e le collusioni di una classe politica dimentica di qualsiasi elementare geografia, con il risultato di trasformare il Veneto in una terra devastata. Una regione in mano a una nuova “razza” che ragiona e fa affari a spanne, creando danni irreversibili. Gli Spannoveneti.
E. Nicoli, Bolle in libertà, Le tue personali ricette fai-da-te per la bellezza e la cura di casa, 50 cosmetici e detersivi eco biologici for dummies, Altreconomia 2018, pp. 191 € 12,90
Rispettare l’ambiente si può fare anche curando il nostro aspetto e la nostra casa.
Si tratta di un manuale dove trovate insieme tutte le ricette per fare da sé cosmetici e detersivi con ingredienti ecologici e bio.
Sono cinquanta ricette, dalle creme da viso ai prodotti per la pulizia di casa.
Anarchici
Umanità Nova, n. 28, 13/10/2019 € 1,50
F. Figliuolo nell’articolo Il pensiero pedagogico e libertario e C. Ottone in Un inno per Francisco Ferrer (1859-1909) ricorda Francisco Ferrer y Guardia. Anarchico, pedagogo, fondò nel 1901 la Escuela Moderna con sede a Barcellona per insegnare i valori sociali e libertari a ragazzi di ogni estrazione sociale in nome di un razionalismo umanitario che consentisse di conoscere e combattere le ingiustizie sociali; autore di una raccolta di pensieri antimilitaristi ad uso scolastico e di La Scuola Moderna; arrestato ad agosto del 1909 con l’accusa di aver fomentato la rivolta della Settimana Tragica, venne fucilato nell’ottobre dello stesso anno dopo un processo farsa.
A. Bertolo, Anarchici e orgogliosi di esserlo, Elèuthera 2017, pp. 327 € 15,00 È una riflessione a tutto campo sull’essere anarchici oggi, in un qui e ora profondamente diverso da quello in cui si è formato l’anarchismo classico. Ma non sono i suoi principi, i suoi metodi o i suoi valori a essere messi in questione, bensì le forme storiche che li hanno incarnati e che mal si adattano ai nuovi paradigmi sociali. D’altronde, al pari di ogni costruzione sociale e immaginaria (a cominciare dallo Stato), l’anarchismo, per rimanere efficace, deve mutare con il mutare delle condizioni storiche. E sono appunto i percorsi possibili di questa mutazione che vengono qui indagati, individuando i cento e più modi di vivere l’anarchia in questo qui e ora. Non c’è più il Palazzo d’Inverno da assaltare, certo, ma rimane intatta l’esigenza – e il desiderio – di una mutazione radicale che attacchi frontalmente la società del dominio, annidata tanto nelle istituzioni politiche quanto nell’immaginario delle persone.
E. Amodio, P. Gurrieri, N. Musarra, S. Vaccaro, Indipendentismi e anarchia, Sicilia Punto L
2018, pp. 69 € 6,00 Il 26 agosto del 2017 la Federazione Anarchica Siciliana ha organizzato a Nicolosi (Catania) un seminario sulle tematiche dell’indipendentismo, dell’autonomismo, delle lotte di liberazione nazionale e dell’autogoverno.
Il tema è stato affrontato a partire da quattro relazioni introduttive di E. Amodio, G. Gurrieri, N. Musara e S. Vaccaro, in modo da alimentare un dibattito e tracciare una prima serie di conclusioni.
Federazione anarchica francofona, Per un anarchismo del XXI secolo, La Fiaccola 2019, pp. 49 € 4,00
Questo volumetto si propone di dare una prima idea delle motivazioni e dei percorsi che gli anarchici si vogliono assegnare nel XXI secolo per emanciparsi, nella misura del possibile, dallo sfruttamento e dalle oppressioni che costituiscono la quotidianità e nel contempo cercare di preparare l’avvento di una società basata sui meccanismi coerenti con le idee anarchiche, libertarie ed egualitarie.
F. Giulietti, L’anarchismo in Italia 1945-1960, Galzerano 2018, pp. 392 € 25,00
Il libro documenta e analizza il dibattito politico, sociale e culturale che si svolge sulla stampa anarchica, nelle conferenze e nei convegni, dal secondo dopoguerra all’anno simbolo del boom economico: il 1960. Un importante arco cronologico, nel quale l’Italia vive il repentino passaggio dalla società contadina (che durava da secoli) alla società industriale. Con un capillare scavo archivistico e bibliografico e una complessa e articolata ricostruzione, Giulietti fornisce un prezioso e importante contributo della specificità identitaria dell’anarchismo italiano, insieme alle dinamiche e ai processi evolutivi che hanno contraddistinto gli equilibri interni e internazionali dell’epoca.
A cura di: E. Acciai, L. Balsamini, C. De Maria, Parlare d’anarchia, Le fonti orali per lo studio della militanza libertaria in Italia nel secondo Novecento, Biblion 2017, pp. 219 € 22,00
Il presente volume ospita contributi di studiosi di diverse generazioni che hanno cercato di mettere a fuoco il tema d’indagine storiografica sulle vicende del movimento anarchico e libertario, in Italia, tra gli anni Cinquanta e gli Ottanta del Novecento, concentrando l’attenzione sulle fonti orali, dalla viva voce di chi ha attraversato, dalle più diverse angolazioni, l’anarchismo del secondo Novecento italiano. Un periodo, questo, che ha segnato una profonda trasformazione del movimento anarchico sia per quanto riguarda le sue teorie di liberazione sociale, sia per la sua pratica militante, sia per il modo di concepire se stesso dentro, contro o fuori la dialettica politica contemporanea. (dalla quarta di copertina)
A cura di C. De Maria, Maria Luisa Berneri e l’anarchismo inglese, Biblioteca Panizzi, Archivio Famiglia Berneri-Aurelio Chessa 2013, pp. 190 € 15,00
Il testo consiste di nove saggi tenuti nel corso dell’omonimo convegno di studi che si è svolto a Reggio Emilia.
L’introduzione, stilata dal
curatore dell’intero volume ricostruisce la vita dell’anarchica, dai primi ricordi fino al trasferimento a Londra, intrecciando notizie sulle condizioni esistenziali (l’esilio in Francia, la difficile e affettuosa quotidianità di casa Berneri, l’incontro con Richard, il doloroso lutto del ’37) che attraversano la vita della Berneri in quel periodo, sulla sua formazione culturale – fortemente influenzata dalle «tendenze del movimento socialista e anarchico inglese» e dal «contatto quotidiano con gli ambienti del sindacalismo rivoluzionario francese», ma anche dall’anarchismo di Malatesta e dal pensiero del padre Camillo. Un lavoro che De Maria realizza soprattutto attraverso lo spoglio di alcuni importanti fondi e con il quale il lettore viene introdotto al rapporto tra Maria Luisa Berneri e l’anarchismo inglese, di cui fu «intellettuale di punta».
A. Senta, A testa alta!, Ugo Fedeli e l’anarchismo internazionale (1911-1933), Zero in condotta 2012, pp. 271 € 17,00 Anarchico militante, operaio, storico autodidatta, bibliotecario e da ultimo collaboratore di Adriano Olivetti, Ugo Fedeli (Milano, 1898 – Ivrea, 1964) vive da protagonista, con la sua compagna Clelia Premoli, le vicende cruciali del Novecento. Già disertore nella prima guerra mondiale e rifugiato in Svizzera, nel 1921, inizia l’odissea tra Parigi, Russia e Berlino. Si lega a importanti figure dell’anarchismo come Luigi Fabbri e Camillo Berneri, conosce Buenaventura Durruti e Nestor Machno. Espulso dalla Francia e dal Belgio emigra in Uruguay, dove rimarrà fino alla sua deportazione nelle prigioni italiane come “indesiderato” (1933).
Antonio Senta, giovane archivista e studioso autore di questa monografia ha lavorato sui materiali di Fedeli, e riordinato i diari, l’epistolario, i manoscritti vari, gli appunti e le schede bibliografiche che misurano 21,6 metri lineari e riguardano l’arco temporale 1869-1964. Il presente volume, mentre valorizza originali fonti sul ’900, ci racconta un’avventurosa storia di vita.
R. Rocker, Contro la corrente, Elèuthera 2018,
pp. 207 € 15,00 Rudolf Rocker (1873-1958) è stato una figura fortemente originale e atipica dell’anarchismo internazionale del secolo scorso.
Rocker fu innanzi tutto e fino all’ultimo istante – benché con modalità di volta in volta differenti a seconda del contesto storico e corrispondenti alle diverse fasi dell’accumularsi della sua esperienza – fautore e sostenitore di un cambiamento radicale della società in senso libertario e antiautoritario secondo i principi sviluppatisi in seno alla Prima Internazionale. Si è dimostrato essere non solo un teorico ma anche un oratore di grandissima efficacia e autore di alcuni capolavori del pensiero politico, quali Anarcho-Syndicalism, e Nazionalismo e cultura, tradotto in più di sedici lingue.
A. Pellegatta, Infinita tristezza, Vita e morte di uno scalpellino anarchico, Pagine marxiste 2018, pp. 119 € 8,00 Tra le tante figure di anonimi rivoluzionari della prima metà del Novecento, Carlo Restelli occupa un posto a parte. Nato a Rockland (Stati Uniti) nel 1880, da una famiglia originaria di Besano (Valceresio), scalpellino, autodidatta, nei suoi trent’anni di militanza anarchica visse fasi fondamentali del movimento libertario italiano e dell’emigrazione, da Barre (Vermont) a Zurigo, da Clivio a Milano. Venne incarcerato più volte, condusse una vita di stenti fino a quando venne abbattuto dalle fucilate fasciste. Una vicenda umana commovente, ambientata nel sovversivismo del primo Novecento.
L. Mercier Vega, La cavalcata anonima, Elèuthera 2019, pp. 174 € 15,00 Il testo di Louis Mercier (1914-1977) più che uno spaccato di vita è il racconto di un lungo cammino, di un impegno integrale, della volontà ostinata di un gruppo di militanti in un momento determinato e determinante della loro esistenza. Una storia di anarchici, sindacalisti, disertori e refrattari di ogni sorta, in fuga dalla guerra, dalla ferocia delle dittature e dall’ipocrisia delle democrazie liberali.
O. Bellani, Indios senza re, Conversazione con gli zapatisti su autonomia e resistenza, La Fiaccola 2016, pp. 124 € 13,00 Ha ragione da vendere Aldo Zanchetta, quando scrive, nella prefazione al libro che sugli zapatisti è sceso il silenzio, a livello di media mainstream. Eppure la scintilla della rivolta indigena che il 1 gennaio 1994 apparve sulla scena mondiale è tutt’altro che spenta e, come racconta l’autrice, ogni giorno nelle comunità zapatiste prosegue il percorso di autonomia e resistenza. Indios senza re ha molti pregi.
Si tratta di un libro di facile ad agevole lettura, che permette anche a coloro che non conoscono il contesto zapatista di sapersi calare nella realtà del Messico, e del Chiapas in particolare, e comprendere, senza particolari difficoltà, le motivazioni che hanno portato al levantamiento dell’Ezln.
Carcere
Berti Bruss, Giardino d’infamia, Viaggio nel mondo dei dimenticati, Pendragon 2018, pp. 200
€ 15,00
Berti Bruss, prima che la crisi economica attuale facesse fallire la sua azienda edile, effettua un restauro conservativo di due appartamenti su commessa della proprietaria, una signora austriaca che, a conclusione dell’opera, lo incarica di reperire affittuari per un appartamento.
Tali soggetti, nei 18 mesi in cui l’hanno abitato, mai hanno corrisposto l’affitto, hanno avuto problemi con tutti i vicini e, restituito l’appartamento seriamente danneggiato, si sono resi irriperibili, nonostante la procedura legale aperta dalla proprietaria, a loro carico.
In questo contesto – nel 2011 – sparisce dall’immobile un contatore del gas, pari a 60 euro, e il B. Bruss si ritrova indagato per furto (presunto), condannato a 22 mesi di reclusione, multato – a fine processo – al pagamento di 700 euro e, a conclusione della pena – scontata tra il 2014-17 nella Casa circondariale Coroneo di Trieste – raggiunto da una cartella esattoriale di Equitalia pari a euro 12.000.
Il libro narra la sua vicenda umana in carcere: “cella 332, trenta mq per otto detenuti, bagno compreso, quattro letti a castello… Un bagno cieco, senza aspiratore funzionante. Imparo una parola nuova: concellaneo.
Ne ho 7… Dai 30 ai 67 anni… 4 nazioni, 6 regioni, 7 città… e 8 reati. Dal furto di contatori di gas, all’omicidio preterintenzionale, allo spaccio all’ingrosso di cocaina”.
Lo hanno salvato la sua disciplina in mare (è un velista); una famiglia che fa quadrato: lo visita e gli scrive; la sua determinazione a darsi uno scopo utile a sé e agli altri.
Supportato da un’educatrice, che lui chiama “Angelo”, divenuto bibliotecario, informatizza oltre sette mila libri, insegna italiano, inglese e geografia nel corso di ragioneria per detenuti, nonché recitazione e, per tutto ciò, riceve encomio. Lo ha salvato la volontà di restare in contatto lucido con sé, scrivendo questo libro e prestando la sua mano, abile nella scrittura, a quanti gli hanno affidato le loro storie (italiani e non). Anime perse, anche se diversamente da altri che – in mano ad uno stato che civilmente rifiuta la pena di morte – nelle patrie galere, per mano propria, si uccide.
“Le statistiche, dal 2000 a oggi, parlano di più di tremila morti ufficiali tra i detenuti nei penitenziari italiani, di cui oltre mille per impiccagione. Il 10% sono guardie carcerarie.”
Il 25 maggio 2017 Bruss esce dal carcere. C’è da giurarci: è un uomo diverso. Con il tempo ha ritrovato il sorriso, ma l’uso che ne fa è assai parsimonioso. (l.b.)
O. Favero, Cattivi per sempre? Voci dalle carceri: viaggio nei circuiti di Alta Sicurezza. Gruppo Abele 2017, pp. 175 € 14,00
Questo libro nasce dall’esperienza di Ristretti Orizzonti, testata giornalistica dedicata ai temi della Giustizia, delle pene, del carcere, nata nel 1997 nella Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova che con i volontari promuovono campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, abbattere barriere e mettere in contatto realtà altrimenti destinate – per la totale separatezza – a perpetrare rancore e rifiuto. Rancore dei detenuti verso lo Stato che punisce senza recuperare; rabbia degli incensurati verso chi, coinvolto nel crimine, deve pagare. Del resto, nelle sezioni di Alta Sicurezza ci stanno “ i mafiosi” e, tutti o quasi, sono ritenuti soggetti irrecuperabili. Liberarsi dai pregiudizi è difficile e lo è stato anche per O. Favero, fondatrice di Ristretti Orizzonti e da anni punto di riferimento nazionale del mondo della detenzione, ci conduce nella condizione quotidiana e mentale dei reclusi più o meno a vita che annulla il senso di qualsiasi ripensamento critico e, nella pena perpetua, vede ciò che davvero è: “una pena sadica”. In conclusione, l’autrice cede la parola a tre detenuti in diverse condizioni di carcerazione che si misurano sul cambiamento quando è stato dato loro un modo per aprirsi al confronto, uscendo dal paradigma punitivo.
È un libro coraggioso che porta il lettore a interrogarsi sulle sue cosiddette certezze aprioristiche. (l.b.)
Donne
Adista, n. 30, 7 settembre 2019
Abbonamento annuo € 75,00
Numero speciale La più lunga lotta di liberazione realizzato dall’associazione Officina Adista. Le donne e il maschio oggi; le donne nella politica, nella Chiesa e nella società tra ruoli familiari limitanti e pregiudizi; diritto di voto e pari opportunità; la violenza e il rischio di stereotipi che producono effetti negativi; le pastore delle Chiese riformate; l’impegno dell’European Forum Of Muslim Woman per collegare le associazioni di donne musulmane europee e promuoverne i diritti e i falsi detti attribuiti al profeta Muhammad allo scopo di affermare l’inferiorità femminile. Interventi di: P. Cavallari, G. Codrignani, A. Carfora, A. Sani, S. Ciccone, A. Maffei, N. Breigheche.
Esodo, n. 4, ottobre – dicembre 2018 € 8,00
Contro le donne, in nome di Dio è il titolo di questo numero. Gli articoli: L. Sebastiani: Contro le donne, in nome di Dio; L. Maggi: Se questa è una donna; V. Mencucci: Violenza originaria e ideologia dell’inferiorità; P. Cavallari: «Neanche io ti condanno»; P. Zaretti: Maschio patologico; C. Beraldo: Violenza e abuso nei conventi femminili; D. Bouchard: Responsabilità di un cristiano critico; M. Aprile: Uomini in gioco; P. Cavallari: Osservatorio contro la violenza sulle donne.
A, rivista anarchica, n. 432, marzo 2019
€ 5,00
Dossier Sebben che siamo donne a cura di C. Pedrazzini.
In questo dossier, S. Papi approfondisce i ruoli di potere, prevalentemente (ma non solo) maschili. A. Arsa analizza la legge 194, trent’anni dopo. F. Di Martino spiega il ruolo della piattaforma Ivg, ho abortito e sto benissimo. M. Matteo sottolinea l’imprescindibile sguardo femminista nell’impegno per il rovesciamento dello stato di cose esistente. L. Fuschillo si occupa di una mostra di manifesti femministi, decisamente originale, a Vicenza. C. Musumeci parla delle detenute e di alcuni loro problemi.
Il dossier è arricchito dalle vignette di Roberto Ambrosoli.
Fondazione Nilde Iotti, L’Italia delle donne, Settant’anni di lotte e conquiste, Donzelli 2018, pp. 344 € 30,00 Il volume è stato pensato e realizzato nel settantesimo del voto alle donne e della nascita della Repubblica. Racconta la storia delle donne italiane che hanno contribuito a costruire un’Italia più moderna e inclusiva, dalla partecipazione alla lotta di liberazione dal nazifascismo alle lotte per il diritto di voto, per conquistare diritti civili e sociali, guadagnare posizioni e riconoscimenti all’interno della società. Una storia gloriosa che i diversi saggi fanno emergere ricostruendo biografie, ritratti, percorsi legislativi.
Donne, giovani, all’attacco, Materiali della XIV conferenza femminile, Rivoluzione comunista 2018, pp. 76 € 5,00
I temi affrontati: La condizione della donna nella società del lavoro ricattato e dell’affondamento; La trasformazione della famiglia e le unioni di adattamento; Putrefazione sociale e comportamenti giovanili; La natura proletaria della questione femminile.
G. Rattini, Donne al di là del muro, Cleup 2018, pp. 105 € 15,00
L’autore, da sempre impegnato nel mondo del volontariato, coadiuvato da un’ insegnante Cpia (Centro provinciale istruzione degli adulti), dà la parola a cinque donne, Angelina, Doris, Elisa, Maria e Milva, due italiane e tre straniere che provengono dalla Nigeria, dalla Moldavia e dalla Romania. Percorsi tutti diversi, accomunati dal bisogno di guadagnarsi un’identità nuova, riscattando una vita di fatica e trovare il proprio approdo.
E. Fenu, Le dee del miele, Milena 2016, pp. 140
€ 8,90
Ambientato in Sardegna il racconto si dipana per tutto il Novecento ed ha come soggetti le donne di varia età. Queste sono definite “dee del miele” riallacciandosi al mito delle dee di un tempo che si nutrivano di questa sostanza dorata, il cibo per eccellenza destinato ai popoli eletti, capace di stemperare l’odio pur mantenendo un gusto retroamaro.
Le donne a cui ci si riferisce sono in primis quelle della Sardegna, donne cresciute e morte in una terra carica di mitologia e memoria dove spesso il reale si confonde e si mischia con il surreale connotando un’atmosfera che sta tra la relatà e la fantasia.
Le considerazioni e le riflessioni si allargano però a tutte le donne nella loro capacità creatrice e contenitrice poiché, come ci dice Erri de Luca, «ci vogliono le donne al momento della schiusa e all’ora della chiusura».
S. Federici, Calibano e la Strega, Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, Mimesis 2016, pp. 335 € 30,00
Dalla introduzione: “A partire da Marx, studiare la nascita del capitalismo è diventato un passaggio obbligato per chi crede che il primo compito dell’umanità sia costruire una alternativa alla società capitalistica. Non sorprende che ogni nuovo movimento rivoluzionario sia ritornato alla transizione al capitalismo reinterpretandola dal punto di vista dei nuovi soggetti sociali e scoprendo nuove aree di sfruttamento e di resistenza. Questo libro si colloca all’interno di questa tradizione”.
Due le considerazioni preliminari da cui muove questo libro:
Prima considerazione: il bisogno di ripensare lo sviluppo del capitalismo dal punto di vista femminista, evitando però i limiti di una “storia delle donne” separata da quella della classe lavoratrice. Da qui, il titolo del volume: Calibano e la Strega, dove il primo però non rappresenta – come nella Tempesta di Shakespeare – soltanto il ribelle anticoloniale, ma è il simbolo del proletariato mondiale, resistente alla logica del capitalismo. E, ancor più importante – a differenza del ruolo da retroscena che ha nella Tempesta – la figura della seconda, la strega che qui guadagna il proscenio, in quanto incarnazione di un mondo di soggetti femminili che il capitalismo ha dovuto distruggere: l’eretica, la guaritrice, la moglie disobbidiente, la donna che osava vivere da sola, la sacerdotessa woodoo che avvelenava il cibo del padrone e spronava gli schiavi alla rivolta.
Seconda considerazione: il ritorno in tutto il mondo, con la mondializzazione dei rapporti capitalistici, di una serie di fenomeni solitamente associati alle origini del capitalismo come l’esproprio di milioni di produttori dalle loro terre e conseguente pauperizzazione e criminalizzazione; lo sviluppo di diaspore mondiali con persecuzioni di migranti; quasi una reminiscenza della legislazione che – nell’Europa del XVI/XVII secolo – puniva i “vagabondi” per renderli forzatamente disponibili allo sfruttamento.
Dopo 500 anni di dominio del capitalismo, all’inizio del III millennio, che rapporto c’è tra l’esproprio della terra, l’impoverimento di massa e il continuo attacco alle donne?
Per rispondere a queste domande il saggio ha rivisitato la transizione al capitalismo dal punto di vista delle donne, del corpo e dell’accumulazione originaria. Da qui alla crisi del potere feudale.
In tutta l’Europa, grandi movimenti comunitari e rivolte contro il feudalesimo auspicavano il sorgere di una nuova società basata sulla eguaglianza e la cooperazione. Ma nel 1525 la Guerra dei Contadini in Germania fu stroncata e 100 mila ribelli furono massacrati per rappresaglia. Dieci anni dopo, il tentativo degli Anabattisti di portare il regno di Dio sulla Terra, nella città di Muenster, finì in un bagno di sangue.
Con queste sconfitte, aggravate dal diffondersi della caccia alle streghe e dagli effetti dell’espansione coloniale, il processo rivoluzionario in Europa si concluse e la classe dominante, nel corso di tre secoli, gettò le fondamenta di un sistema capitalistico mondiale.
Marx introduce il concetto di accumulazione originaria per descrivere la ristrutturazione sociale ed economica che la classe dominante mise in atto in risposta alla crisi di accumulazione del tardo Medioevo; ma anche per affermare che il capitalismo non avrebbe potuto svilupparsi senza una precedente concentrazione di capitale e forza-lavoro, unitamente alla separazione dei lavoratori dai mezzi di riproduzione. Marx, tuttavia, ha analizzato l’accumulazione originaria quasi esclusivamente dal punto di vista del proletariato industriale salariato in quanto, a suo avviso, soggetto del processo rivoluzionario. Nelle sue opere non fa riferimento alcuno alle profonde trasformazioni che il capitale ha introdotto nella riproduzione della forza-lavoro e nella posizione sociale delle donne. Così come non accenna nell’analisi dell’accumulazione originaria alla grande caccia alle streghe del XVI/XVII secolo, sebbene questa campagna di terrore – inaugurata in primis dalla Chiesa e proseguita dall’Inquisizione, e in seguito assunta in toto dagli Stati, cattolici o riformati, indiscriminatamente – abbia avuto un ruolo centrale nella sconfitta dei contadini, facilitandone l’espulsione dalle terre che precedentemente possedevano in comune.
Questi avvenimenti – proponendo uno schema interpretativo per molti aspetti divergente da quello di Marx – sono riassumibili in:
1. Esproprio dei lavoratori europei dai loro mezzi di sussistenza e asservimento dei nativi americani e africani schiavizzati nelle miniere e nelle piantagioni del Nuovo Mondo.
2. Trasformazione del corpo in una macchina da lavoro e assoggettamento delle donne alla riproduzione della forza-lavoro. Distruzione del potere e del sapere delle donne sia in Europa che in America mediante lo sterminio delle streghe.
3. L’accumulazione originaria è stata anche una accumulazione di differenze e di divisioni nella classe lavoratrice. Così gerarchie basate sul “genere”, sulla “razza”e sulla “età” sono diventate elementi costitutivi del dominio di classe e della formazione del proletariato moderno.
4. Non è possibile identificare l’accumulazione capitalistica con la liberazione del lavoratore, femmina o maschio che sia, né l’avvento del capitalismo può essere inteso come un fattore di progresso storico.
Al contrario, il capitalismo ha creato forme di schiavitù ancora più brutali e insidiose in quanto ha inciso nel corpo del proletariato profonde divisioni sociali (soprattutto tra donne e uomini) che continuano a devastare la vita in ogni angolo del pianeta.
Questo è un saggio molto denso e complesso che sollecita uno sguardo critico e vigile sulla contemporaneità.
Per questo, mentre la rivoluzione tecnologica in atto espropria i lavoratori dai mezzi di sussistenza ed acuisce l’antagonismo donna/uomo camuffando la lotta di classe sotto le sembianze di una lotta di genere, per la donna si ripropone l’allontanamento dal contesto sociale e la conseguente emarginazione in seno alla famiglia come luogo di riduzione al silenzio della soggettività, dei saperi e dell’autogestione del proprio corpo.
E, come nel passato – in contemporanea con lo sterminio delle streghe – la nascente scienza assoggettava la natura ai fini del profitto, ora, mentre il femminicidio è in continua ascesa, quello stesso profitto senza freni spinge il pianeta sulla soglia irreversibile dell’estinzione.
Il volume si articola attorno a cinque grandi temi:
1. Movimenti sociali e crisi politica nell’Europa medioevale.
2. L’accumulazione della forza-lavoro e il declassamento delle donne. La costruzione della differenza nella ’transizione al capitalismo’.
3. La lotta contro il corpo ribelle.
4. La grande caccia alle streghe in Europa.
5. Colonizzazione e cristianizzazione. Calibano e le streghe nel Nuovo Mondo.
L’ impostazione del saggio rimanda continuamente a un triplice schema teorico: femminista, marxista, foucaultiano, a cui l’analisi dei temi trattati si raffronta di volta in volta criticamente. Una corposa bibliografia chiude il testo. (l.b.)
A. Davis, La libertà è una lotta costante, Ponte alle Grazie 2016, pp.186 € 14,90
Simbolo del movimento femminista e marxista a livello mondiale Angela Davis è stata una attivista del movimento afroamericano statunitense, leader del partito comunista negli Usa. Partecipò al Black Panther Party e fu inserita immediatamente nella lista dei dieci criminali più pericolosi ricercati dall’FBI. Proprio in carcere, dove trascorrerà un po’ di anni, scriverà alcune delle pagine più famose della contestazione statunitense, tanto da meritare tre canzoni in suo onore.
Questo libro di riflessioni e militanza politica presenta interventi sulla violenza di genere e domestica, sugli abusi della polizia americana sui neri, sulla situazione delle carceri e sull’occupazione dei territori palestinesi.
A cura di E. Rossi, Senza di me non vali niente. La violenza verbale, emotiva e psicologica nelle relazioni intime, Aracne 2018, pp. 205 € 12,00
Il volume propone una riflessione interdisciplinare su significati, cause, manifestazioni, contrasto e prevenzione della violenza verbale, emotiva e psicologica; un fenomeno ancora poco studiato, narrato, denunciato e contrastato, difficile da riconoscere all’interno di un rapporto ritenuto “d’amore”, meno visibile della violenza fisica e sessuale, meno eclatante dell’evento estremo, ma volto ugualmente a negare la persona, nella sua unicità e autonomia. Contributi di: A. Albanese, S. Bonino, A. Capalbi, S. Cicone , B. Mapelli, F. Orletti e E. Rossi.
C. Baroncelli, Ombre di un processo per femminicidio. Dalla parte di Giulia, Iacobelli 2019, pp. 253 € 4,90
Il libro è la cronistoria, giorno dopo giorno, del processo contro Matteo Cagnoni, accusato di aver ucciso il 16 settembre 2016 la moglie Giulia Balestri con le aggravanti di crudeltà, occultamento di cadavere e premeditazione. Una parola sul titolo. Scrive Carla Baroncelli che ha seguito tutte le udienza: “Perché ombre? Perché ho voluto portare alla luce quegli aspetti del processo che sarebbero rimasti nascosti, sottotraccia, quelli non visti, non rilevati e quindi non rilevanti”. Trentadue ombre quante le udienze, meno una: quella dedicata all’arringa di Giulia, che la giornalista ha scritto per lei e per le altre donne che ogni 60 ore vengono uccise da uomini, preda del potere. La cronaca giudiziaria – conclusa con un ergastolo – è preceduta, da un articolo di Maria Serena Sapegno.
F. Federici, A. Meluzzi, M. Numa, Menti insolite. Radiografia di cinque femminicidi, Oligo 2018, pp. 209 € 20,00
Questo libro prova a rispondere al perché si assiste quasi quotidianamente a continui e sanguinosi fatti di cronaca con un approccio multidisciplinare, crimino-investigativo, psicologico e mediatico. In particolare, il volume propone una prima parte in cui ogni autore ha redatto un capitolo frutto della sua formazione specifica, ed una seconda parte con la “radiografia” di cinque recenti femminicidi. Un modo nuovo per restituire al lettore una sintesi efficace di drammi dalla cogente attualità.
R. Maddaloni, Muoio perché donna, Kimerik 2015, pp. 156 € 13,50
Nonostante la Convenzione di Istanbul, permane ancora vivacissimo il dibattito tra i sostenitori del femminicidio inteso anche penalmente come delitto di genere e i “negazionisti”. Contro questi ultimi l’Autore mette in campo la sua potente vena di polemista intransigente, trasformando il racconto delle violenze sulle donne in una vera e propria invettiva contro gli aggressori: padri, mariti, fidanzati, figli, compagni, e contro quelle Istituzioni che faticano a rendere operativo il principio della dignità di persona riconosciuto alla donna.
A cura di M. Pasinati, Insegnare la libertà a scuola. Proposte educative per rendere impensabile la violenza maschile sulle donne, Carocci 2017,
pp. 300 € 31,00
Questo volume raccoglie i contributi teorici che sono stati offerti alle centosessanta insegnanti – e “un” insegnante – che hanno partecipato a un corso di formazione triennale, pensato e realizzato dall’Ufficio Scolastico Regionale della Sicilia e dalle donne dell’UdI Palermo, tra il 2013 e il 2016.
Nella prefazione Pasinati illustra con chiarezza i princìpi-cardine che hanno indirizzato e informato tutte le tappe del percorso formativo. Il punto di partenza è stato l’assunto che la violenza sulle donne è primariamente una “questione maschile” e si presenta come la risposta più pesante, cruda e fatale della negazione di una soggettività femminile indipendente. Il secondo caposaldo del progetto è la necessità di riconoscere che alla radice di questa violenza c’è, nella nostra cultura, la cancellazione della madre e delle genealogie femminili, determinando così la condizione di secondarietà del femminile rispetto al maschile: anche l’essere donna è stato detto e pensato dall’uomo. Il terzo principio-cardine del percorso è stata la proposta di una pratica educativa segnata dalla differenza sessuale per far crescere le e gli studenti nella consapevolezza della parzialità, che i sessi cioè sono due e che ciascuno di essi è in sé perfettamente umano.
A questo punto Pasinati afferma, con altrettanta chiarezza, che, per far crescere alunne e alunni in quella consapevolezza, è operazione preliminare che anche le insegnanti per prime sappiamo consistere nella parzialità come principio del loro agire educativo, imparando a valorizzare l’esperienza delle donne, i saperi femminili e la relazione fra donne, sia fra insegnanti che fra insegnanti e alunne.
La seconda parte del volume raccoglie i contributi che presentano esperienze pedagogiche orientate alla valorizzazione della differenza sessuale.
A cura di Deborah Ardilli, Manifesti Femministi, Il femminismo radicale attraverso i suoi scritti programmatici (1964-1977), VandA•ePublishing 2018, pp. 299 € 15,90
Il volume contiene materiali prodotti in Italia, Stati Uniti e Francia nel periodo che va dalla seconda metà degli anni Sessanta del ’900 al decennio successivo.
Il decennio coperto da questa raccolta rimanda alla seconda ondata di femminismo nei paesi a capitalismo avanzato negli anni segnati dalla contestazione studentesca, dalla “rivoluzione sessuale”, dalla controcultura, dall’opposizione alla guerra del Vietnam e dalla ripresa del conflitto operaio.
Con la seconda ondata si produce uno scarto rispetto all’orizzonte moderno dell’emancipazione femminile.
Se agli inizi del ’900 le donne si aggregavano rivendicando il diritto di voto, prima arma per altre battaglie, di segno diverso è ora lo slancio che mette i gruppi femministi radicali nella condizione di chiudere i conti con la cosiddetta “questione femminile”.
Radicale è il femminismo che fonda le proprie ragioni sull’impossibilità sociale dell’eguaglianza all’interno del sistema patriarcale, non essendo più credibile l’allargamento della cittadinanza democratica giocata attorno al paradosso differenza sessuale/uguaglianza politica.
Intorno a questo cambio di prospettiva si determina la cesura del movimento delle donne dalle vecchie organizzazioni femminili di impronta emancipazionistica come l’UDI in Italia, la N0w negli Stati Uniti e l’Uff in Francia. Questi stati non sono gli unici paesi del mondo occidentale investiti dal rinnovamento del femminismo; sono quelli, però, che hanno sviluppato le elaborazioni più influenti.
Tali paesi sono attraversati, in quegli anni, da cicli di riforme significative in parte indotte dallo sviluppo, in parte conquistate dalle proteste, in parte elargite dal potere per cercare di convogliare il dissenso nell’alveo istituzionale.
I movimenti femministi in questi stati si riconoscono antagonisti all’integrazione appiattita sulla modernizzazione.
È precisamente all’insegna dell’ “opposizione al concetto di integrazione della donna nell’attività sociale” che si muove il Manifesto Programmatico del primo gruppo femminista del 1966 a Milano.
Con l’esplosione planetaria del Sessantotto studentesco, quelle stesse donne – stanche di una battaglia puramente culturale – optano inizialmente per l’azione politica nel MS; per scoprire di lì a poco che anche i “compagni” ripropongono nelle lotte contraddizioni di genere.
Quindi si misurano con questi limiti che denunciano e per superarli si danno strumenti propri come l’autocoscienza e le assemblee precluse agli uomini. Perché la donna sta all’uomo come il “nero” sta al bianco.
Anche negli Usa, le attiviste contestano il cosiddetto “sciovinismo maschile” fin dal 1964.
Negli Stati Uniti, dove il movimento delle donne è molto forte e ricco di diversificate soggettività (donne bianche, nere, etero e lesbiche), si forma – tra l’altro – Christine Delphy, una delle pioniere del nuovo movimento di liberazione delle donne francesi. Tra i molti documenti, inclusi nell’antologia, in chiusura, si segnala, all’interno del variegato movimento delle donne in Italia, il documento di Silvia Federici: “Salario contro il lavoro domestico”. Secondo l’analisi svolta in esso, la famiglia è un luogo di sfruttamento delle donne nella misura in cui costituisce la fonte nascosta dell’accumulazione capitalistica. Se la famiglia è un centro di produzione di servizi essenziali alla sopravvivenza del capitalismo, può essere anche il centro propulsivo di una lotta antisistemica.
“Volere il salario per il lavoro domestico significa già rifiutare questo lavoro come espressione della nostra natura”. “Loro lo chiamano amore. Noi lo chiamiamo lavoro non pagato”. (l.b.)
Economia
P. Ciocca, Ai confini dell’economia, Aragno 2016, pp. 235 € 20,00
Una nuova frontiera della ricerca economica si situa all’intersezione fra le diverse dimensioni della società. Sempre più si esplorano territori di confine fra economia, storia, diritto, politica, istituzioni, letteratura. È uno sviluppo da salutare positivamente. Il volume propone approfondimenti su temi quali i fattori non economici della crescita, la centralità dell’ordinamento giuridico per l’efficienza della produzione e degli scambi, la storicità del pensiero e dei sistemi economici, le specificità strutturali e politiche del caso italiano. Per impostazione di metodo e scrittura queste pagine si rivolgono a chi si accosta all’economia movendo da altre esperienze culturali, non meno che agli economisti.
E. De Marchi, Capitalismi del Novecento. Riflessioni su percorsi e strumenti, Unicopli 2018, pp. 286 € 15,00 L’intento di questo volume è porre le premesse per una ricostruzione del contesto storico e teorico entro cui si è sviluppato il dibattito sul capitalismo novecentesco e sui suoi esiti attuali, individuando gli elementi di continuità e rottura. La prima parte del libro ripercorre le trasformazioni economiche del Novecento attraverso un’esposizione che evidenzia in esse alcuni nuclei di fondo: i mutamenti interni al processo di lavoro e all’impresa, la finanziarizzazione e la conflittualità intercapitalistica, la parabola del capitalismo di stato sovietico. La seconda parte si sofferma invece sugli strumenti teorici attraverso i quali si è cercato di dar conto delle trasformazioni del capitalismo, nel cui ambito le impostazioni marxiste hanno giocato un ruolo di primo piano. Vengono così precisati i percorsi storici di tali analisi, a confronto con le concezioni di Keynes e di Schumpeter. La discussione critica degli sviluppi teorici intervenuti negli ultimi decenni indica la direzione verso cui possono puntare le indagini future.
P. Dardot e C. Laval, Guerra alla democrazia. L’offensiva dell’oligarchia neo-liberista, Deriveapprodi 2016, pp. 142 € 15,00
Questo libro è un piccolo saggio per documentare l’offensiva contro la democrazia che le grandi potenze stanno perpetrando.
Il saggio si concentra sulle qualità della democrazia rappresentativa, non solo strumento elettivo ma potere conferito al popolo per contrastare ogni abuso di potere, e su come questa sia stata svuotata in Europa negli ultimi anni per porre fine al libero sviluppo della collettività. La crisi economica ha segnato, in un certo senso, una rottura delle ideologie polarizzate creando un magma indefinito che lascia poco spazio alle alternative dei movimenti.
Infatti uno degli elementi caratterizzanti del pensiero neoliberista è la distruzione metodica dell’istruzione pubblica e della cultura umanistica
per creare una nuova scuola, basata sulla performance e il profitto, che deve necessariamente creare capitale umano da impiegare all’interno del sistema economico senza fornirgli una solida formazione intellettuale.
Secondo Dardot e Laval, il neoliberismo è un intervento volto a rifondare la politica liberale facendo leva sulle élites e sull’erosione dello stato sociale secondo il principio universale della concorrenza.
La natura antidemocratica del sistema neoliberale demolisce ogni capacità di resistenza e di lotta per imporre un pensiero unico, individualista, basato su una formazione continua per asservirle all’unica ideologia ammessa, cioè quella del profitto. Ecco, quindi, una democrazia svuotata della sua essenza, de-democratizzata, per non sopprimerla dal punto di vista formale. All’interno di un sistema così costruito, basato sul “darwinismo sociale”, anche il dibattito culturale e intellettuale, da sinistra, risulta appiattito. La sinistra stessa ha subito una profonda trasformazione neoliberista, è soggetta alla logica imprenditoriale e si comporta come partner strategico delle multinazionali nella redazione di norme ad hoc. Stando a queste tesi, infatti, bisognerebbe cominciare a rivedere il ruolo dello Stato, che ha adottato il modello ordoliberista per uniformare i suoi interessi con quelli del Mercato, e che, nel corso degli ultimi anni, ha rinunciato alla propria identità per rispondere all’ideologia dominante. (Francesco Bove)
P. Dávalos, Democrazia disciplinare. L’altra faccia del progetto neoliberista, Hermatena 2016, pp. 353 € 21,50
È una documentata analisi della nascita e dell’evoluzione del neoliberismo in America Latina a partire dagli anni ’80 del secolo scorso ai giorni nostri, attraversando il ciclo, oggi in crisi, dei governi aventi varie gradazioni di “sinistra” e definiti da molti affrettatamente come “post-neoliberisti”. Dávalos, economista ecuadoriano vicino ai movimenti sociali e che nel 2005 come vice-ministro dell’economia del suo paese condusse un serrato confronto con il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, pone una domanda intrigante, parlando del concetto di “post-neoliberismo”: «Si tratta di una nuova categoria economica e politica che rompe radicalmente con la tradizione del neoliberismo in America Latina o piuttosto ne è una continuazione? Perché chiamarlo post-neoliberismo?». Non si tratta di una discussione accademica, sostiene l’autore, bensì politica, «perché questo concetto corre il rischio di trasformarsi in un riferimento ideologico destinato a caratterizzare e legittimare pratiche di governo che ledono i diritti dei lavoratori, distruggono il tessuto sociale, cooptano le organizzazioni dentro l’apparato del governo, espandono la frontiera estrattiva, criminalizzano le dissidenze, oltre ad altri fenomeni, che vengono occultati dal fatto di provenire dai “governi progressisti”».
A cura di E. Bartolomei, D. Carminati e A. Tradarti, Esclusi. La globalizzazione neoliberista del colonialismo di insediamento, DeriveApprodi 2017, pp. 234 € 18,00 Dall’analisi del colonialismo di insediamento si è sviluppata l’incontestata potenza egemone globale. Perché il colonialismo di insediamento, come forma specifica di dominio, definisce molti degli ordinamenti politici attuali. I popoli indigeni esposti all’assalto del colonialismo di insediamento e gli espulsi dalla produzione sono marcati come inutili perché superflui. Popolazioni da liquidare: accumulazione senza riproduzione, non solo biopolitica ma necropolitica. Occorre comprendere a fondo questa nuova realtà, per reagire a un potere che assoggetta tutti. Ne deriva la necessità di stringere alleanze tra gli esclusi per un progetto di co-resistenza.
J. Rifkin, Un Green New Deal globale, Il crollo della civiltà dei combustibili fossili entro il 2028 e l’audace piano economico per salvare la Terra, Mondadori 2019, pp. 300 € 22,00
Una nuova visione sul futuro dell’umanità sta rapidamente guadagnando slancio. Di fronte a un’emergenza climatica planetaria, una giovane generazione sta promuovendo un dibattito sull’ipotesi di un Green New Deal e dettando il programma di un audace movimento politico capace di rivoluzionare la società. Se il Green New Deal è diventato un tema fondamentale nella sfera politica, nel mondo delle imprese sta emergendo un movimento parallelo che nei prossimi anni scuoterà le fondamenta dell’economia globale. Settori chiave dell’economia si stanno prontamente sganciando dai combustibili fossili a favore dell’energia solare ed eolica, più a buon mercato e accompagnate da nuove opportunità di business e occupazione.
D. Poto, Italia diseguale. Poveri e ricchi nel Belpaese, Gruppo Abele 2016, pp. 187 € 14,00 L’analisi muove dalla povertà che attanaglia l’intero pianeta ma subito si addentra, come un racconto di avventura, nei meandri delle ragioni politiche e strutturali della crisi dell’Italia: un paese di vecchi e nuovi poveri – sei milioni in totale – con il rigonfiamento di una classe media che si inabissa portando involontariamente a fondo l’economia e che lo Stato colpevolmente non sostiene.
A cura di M. Di Pierri, S. Falocco e L. Greco, Riconversione: un’utopia concreta. Idee, proposte e prospettive per una conversione ecologica e sociale dell’economia, Ediesse 2015, pp. 229 € 13,00
È possibile uscire dall’attuale situazione di crisi – imprese che falliscono, distretti industriali che chiudono, emergenze ambientali e sanitarie diffuse su tutto il territorio nazionale e centinaia di migliaia di posti di lavoro persi o a rischio – attraverso processi di conversione ecologica che tengano assieme dimensione ambientale e aspetto sociale delle produzioni: dalla ristrutturazione delle linee produttive al tipo di prodotti, dagli acquisti verdi agli appalti, dalla transizione energetica alla ricostruzione di filiere locali, dal chilometro zero al consumo condiviso, dalla formazione permanente dei lavoratori alla rigenerazione di spazi in degrado. Il libro è un’antologia di riflessioni teoriche, strumenti concreti ed esperienze in marcia per riconvertire il modello economico rendendolo sostenibile.
P. Ferrero, E. Mazzoni e M. Di Sisto, TTIP. L’accordo di libero scambio transatlantico, Quando lo conosci lo eviti, Deriveapprodi 2016, pp. 178
€ 13,00
Nel giugno 2013 il presidente Obama e il presidente Barroso hanno lanciato ufficialmente i negoziati per l’Accordo di libero scambio transatlantico: il TTIP. Questo libro è un contributo alla conoscenza di un trattato del quale occorre impedire la firma. Joseph Stiglitz sostiene che l’accordo comporterà una riduzione delle garanzie e una mancanza di tutela dei diritti dei consumatori. Tra le critiche più importanti ci sono quelle che riguardano il mondo del farmaco e dell’alimentare, essendo essi già da tempo oggetto di ampi e diffusi fenomeni di disease mongering, che potrebbero aumentare con la deregolamentazione che il TTIP produrrà. Una critica metodologica al negoziato è la supposta mancanza di trasparenza: i vari stadi di avanzamento dell’accordo non sono resi pubblici e sono difficilmente accessibili agli stessi europarlamentari che dovranno approvarlo. L’accordo di liberalizzazione commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea sembrava definitivamente tramontato nel 2016 con la Brexit e la scelta francese di sfilarsi. Nonostante questo recentemente Donald Trump e Jean-Claude Junker hanno sottoscritto una dichiarazione comune per raggiungere un nuovo accordo, denominato TTIP light.
Oggi, tre anni dopo, in realtà il TTIP è più vivo che mai. E rimane un rischio concretissimo. A dirlo è la campagna Stop TTIP Italia che ha pubblicato un documento, I pericoli del TTIP zombie in cui affronta i temi chiave della vicenda.
D. Moro, Globalizzazione e decadenza industriale. L’Italia tra delocalizzazioni, “crisi secolare” ed euro, Imprimatur 2015, pp. 249 € 16,00
In questo libro l’autore analizza alcuni temi fondamentali legati allo sviluppo del capitalismo degli ultimi 50 anni.
Il centro dell’analisi par-te dalle modificazioni strutturali che hanno prodotto la nuova fase transnazionale della produzione industriale e spiega come tali modificazioni diventino la leva per il formarsi di nuove sovrastrutture politiche e accordi internazionali finalizzati al controllo dei profitti e al dominio sul mercato della “nuova” era sociale.
G. Salvia, L’economia sospesa. Il Vangelo (è) ingegnoso. Prefazione del cardinale Francesco Montenegro, San Paolo 2018, pp. 126 € 12,50
L’economia sospesa, concettualmente, è l’estensione di una pratica, in origine partenopea: pagata la propria consumazione, il cliente lasciava pagato un caffè a beneficio di uno sconosciuto bisognoso. Oggi il “caffè sospeso” è una tradizione radicata non solo in Italia ma anche nel mondo. È dalla conoscenza casuale di questa tradizione che l’autore del libro, un giovane oggi trentenne, laureato in Economia e fin dall’età di 17 anni missionario in vari paesi del mondo, parte per sviluppare un nuovo linguaggio economico a favore dei più poveri. Un linguaggio nuovo e non. Che cosa è, infatti, l’elemosina, se non l’antesignano del “caffè sospeso”?
Anche nell’elemosina, il donatore rinuncia a un tot del suo denaro, con cui il beneficiario acquisterà ciò che gli manca. Economia e fede, tecnologia e carità convergono nell’implementazione di Tucum, un’App per dispositivi mobili che permette di compiere l’elemosina anche attraverso la moneta elettronica, eliminando tutti gli abusi legati ai falsi poveri, al racket dell’elemosina e all’uso nocivo del denaro elargito. Un’economia della solidarietà, un modo per continuare ad attualizzare – secondo l’autore – il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Anche in tale parabola – narrata in tutti e quattro i Vangeli – il donatore, un ragazzo con 5 pani d’orzo e 2 pesci, volontariamente e gratuitamente attua una condivisione. Ciò è poca cosa in confronto alle tante bocche da sfamare. Ma, nell’etica di un cristiano, la caritas è basilare; è ciò che attua la parola di Cristo, altrimenti vuota.
Nel 2018 l’autore ha costituito con il fratello la società A.P.P. Acutis srls, impegnata nell’implementazione e gestione di Tucum, nome dato al progetto e che rimanda a un anello indossato dagli schiavi e dagli indios nel XIX secolo.
Tale anello era un “segno clandestino” – estraneo ai dominatori portoghesi – ma familiare alla popolazione locale che lo concepiva come segno di fratellanza e di vicinanza. (l.b.)
M. Boyle, Vivere senza soldi, Manifesto per una economia della condivisione e del dono, Sonda 2017, pp. 336 € 19,00
Vivere senza soldi può sembrare un ossimoro; ma l’autore vi è riuscito per due anni, in Inghilterra. È il fondatore della Freeconomy e del concetto rivoluzionario di “economia del dono”, basato sulla condivisione del tempo, delle competenze e delle abilità tra membri di una comunità. Sono molti i contributi di esperti di vari settori. Sono inserite nel testo schede integrative e, a fine volume, una ricca bibliografia.
R. Petrella, Nel nome dell’umanità, Un patto sociale mondiale fra tutti gli abitanti della Terra, Massari 2019, pp. 301 € 18,00
Questo libro è il risultato di quarant’anni di studi, di ricerche, di impegni sociali e accademici di Riccardo Petrella riuniti in modo organico che analizza in modo minuzioso ma chiaro i sintomi di questa epoca di transizione tra un mondo che non è sostenibile a uno che è inevitabile, sintomi a cui la politica e la finanza di oggi non danno certamente risposta. Le sfide da risolvere stanno tutte derivando da risposte sbagliate: La pace si affronta con un aumento dell’impegno militare, L’ambiente con una devastazione ecologia, L’economia è una deriva di tipo finanziario e speculativo e si sgretola il senso della vita dei cittadini che hanno perso il valore della solidarietà e accettano la mercificazione di tutto.
Ma è qui che il libro porta una sua positiva risposta originale: un piano organico e olistico di proposte che invocano un patto per l’umanità come base per la rifondazione della società che dichiara illegale la povertà, che conduce al disarmo e alla fine della finanza speculativa e trasmette un messaggio di speranza oggi inesistente.
F. Maggio, Economia decente, Come crescere senza umiliare le persone, Gruppo Abele 2016 pp. 155 € 14,00
A seguito dell’ultima e infinita crisi economica scoppiata nel 2007 negli Stati Uniti e da lì deflagrata nel mondo intero, il divario tra un pugno di ricchissimi e una pletora di poveri si è fatto tragico; tanto è che la lista di chi ha scelto la morte per sortirne non è episodica, ma drammaticamente sempre più lunga.
In Italia, dopo l’instaurarsi della crisi, il patrimonio delle 10 famiglie più ricche è pari al patrimonio di 20 milioni di italiani più poveri.
Nessuna necessità c’è dietro la crisi del 2007 negli USA, se non la protervia dei mercati finanziari e speculativi, autoreferenziali e rapaci e l’avidità delle banche che, confidando su una crescita infinita del mercato immobiliare, hanno indotto falsi bisogni e concesso mutui a pioggia a chi era impossibilitato a restituirli. E, speculando su tali debiti, li hanno cartolarizzati, collocandoli sul mercato. In pratica, vendendoli impacchettati a migliaia dentro speciali obbligazioni e collocati sul mercato. Quando, nel biennio 2006-2007, i prezzi delle case cominciano a scendere e i tassi di interesse a salire, le banche, che a quel punto avrebbero potuto fermarsi accusando perdite, tutto sommato, modeste adottando condotte più prudenti, rimpacchettano le obbligazioni in altre ancora più rischiose, e via di seguito in altri strumenti finanziari, vere e proprie “armi di distruzione di massa”, i cosiddetti “derivati”. Quello che all’inizio poteva rivelarsi una grave ma pur sempre bolla immobiliare, diviene presto un cataclisma economico-finanziario senza precedenti, a livello mondiale.
L’autore si interroga sulle ragioni specifiche della ricaduta della crisi in Italia, dove per troppo tempo, politici, economisti e pennivendoli avevano continuato a cullare l’opinione pubblica con la favola che il sistema creditizio italiano era solido e il paese un’isola felice.
Tra le criticità maggiori, l’autore evidenzia: Il rapporto fra Fondazioni bancarie e banche partecipate (es.Mps); L’inadeguatezza della forma societaria delle Banche popolari; La debolezza strutturale delle Banche del Credito Cooperativo; Le procedure di salvataggio poste in essere dall’Unione europea (bail-in).
Su questi punti critici e sulle politiche messe in atto dai governanti negli ultimi anni per contenere rischi di default, l’autore sostiene che l’economia va ricalibrata sull’uomo e sui suoi bisogni reali, sul rispetto dell’ambiente e della collettività, su un sistema di valori che si ispirino alla solidarietà, ricordando che siamo il 99% – come recitava Occupy Wall Street –
e ciò che è nell’interesse dell’1% non è nel nostro interesse. Inoltre, l’economia non è affatto una scienza esatta e tra i suoi limiti ha lo scollamento dei suoi assunti dalla realtà, l’autoreferenzialità del mondo accademico e l’impermeabilità alle altre discipline, mentre è la contaminazione con altri campi del sapere che rende una disciplina tanto più ricettiva di quel mondo di cui intende comprendere e governare i processi complessi che includono le comunità. (l.b.)
A. Gozzi, Bitcoin generation, Una mappa di sopravvivenza e una guida anti fake news per il mondo delle criptovalute, Imprimatur 2018 pp. 157 € 14,50
È una guida scritta con un linguaggio immediato che racconta come la rivoluzione di Bitcoin e criptovalute sia destinata a impattare sulla nostra vita quotidiana. Aiuta a entrare nel mondo delle criptovalute con consigli pratici per non cadere vittime delle truffe e delle fake news. Dà risposte alle domande più comuni che tutti si fanno. Inoltre propone un glossario finale facile da consultare in qualsiasi momento per dare a tutti gli strumenti per capire e anche divertirsi scoprendo aneddoti e curiosità.
Vivere basso, Pensare alto … o sarà crisi vera, Terra Nuova 2015, pp. 114 € 9,00
L’autore, fino al 2011 business-strategist, abbandona il posto fisso per ripensare integralmente la sua vita personale e di relazione, dopo che da anni ha iniziato a riflettere sull’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo, arrivando a rifiutare uno stile di vita in cui non si riconosce più, scegliendo di condividere con gli altri una strategia per il cambiamento.
Il testo argomemta la necessità di un nuovo patto economico, sociale e culturale per iniziare a immaginare e praticare modelli sociali improntati al “vivere basso”, cioè a valori che sfuggano al dogma dell’accumulo ad ogni costo, per riscoprirne altri, più vicini ai bisogni reali, vernacolari: di individui e di territori e, parimenti, elaborare un “pensiero alto” che conduca verso una trasformazione solidale e globale, abbandonando la rassegnazione della delega e divenendo responsabili della società e dell’ambiente. (l.b.)
G. Zucman, La ricchezza nascosta delle nazioni. Indagine sui paradisi fiscali, Add 2017, pp. 141 € 15,00
Nel saggio viene ricostruita la storia dei paradisi fiscali: nati nel periodo tra le due guerre, via via hanno assunto il ruolo essenziale che oggi svolgono.
I paradisi fiscali e la loro opacità finanziaria costituiscono una seria minaccia per la società democratica.
Tutti devono pagare le tasse su una base equa e trasparente per finanziare l’accesso a beni e servizi pubblici.
Se alcuni degli individui più ricchi o alcune delle più grandi società del pianeta si servono dei paradisi offshore per evadere la quasi totalità delle imposte, il contratto sociale è in pericolo.
Circa l’8% dei patrimoni finanziari mondiali è detenuto nei paradisi offshore. Nei paesi emergenti e in via di sviluppo la percentuale è molto più elevata. In Russia e nei paesi petroliferi del Medio Oriente, tra le regioni più inique ed esplosive del mondo, supererebbe addirittura il 50%.
Secondo l’autore il primo passo dovrebbe essere la creazione di un Catasto mondiale dei patrimoni finanziari.
I governi dovrebbero assumere il controllo dei depositi centrali e via via concentrarli in un Catasto finanziario mondiale.
L’inclusione in tale organismo comporterebbe diritti e doveri. Anche se le soluzioni esistono, per ora i governi non hanno brillato per audacia e determinazione.
È giunto il momento, secondo Zucman, di metterli di fronte alle loro responsabilità. Spetta ai cittadini di mobilitarsi contro la falsa ineluttabilità dell’evasione fiscale e dell’impotenza delle nazioni. (l.b.)
Escursionismo e sport
R. Messner, I confini dell’anima non troverai. Sulle questioni decisive per il nostro futuro. Cantagalli 2018, pp. 248 € 19,00
In un’intervista a tutto tondo, l’uomo Messner si mette in gioco e ci introduce nel mondo delle sue convinzioni, dell’interiorità, nonché del suo vissuto, criticamente rivisitato nel cammino di una vita. Parla anche di alpinismo, ma non solo; di politica, di spiritualità, del mondo contemporaneo e delle sue personali origini. Parla della sua anarchia, intesa come valore fondante, irrinunciabile, tutt’uno con l’autodeterminazione. «Se vivendo – scrive – è inevitabile che ci siano regole che – sovrastandoci – limitano la personale autodeterminazione, quando però si lascia alle spalle il mondo civilizzato e si avventura nella natura selvaggia non c’è più nessun che ha potere su di me. Non voglio avere sopra di me qualcuno che eserciti potere su di me, né voglio sotto di me qualcun su cui possa io esercitare potere… in quei territori è la natura che detta legge. Non solo la natura fuori di noi, ma anche quella dentro di noi»
Collegati a ciò che ci individua, «il processo di convertire un’idea in azione è – secondo Messner – la chiave per riuscire a vivere una vita intensa». E, attraversando con le sue parole la sua variegata esperienza, pensiamo ci sia proprio riuscito. Chiude il libro Per una cronologia: anno per anno, nelle tappe essenziali, il suo percorso esistenziale e di viaggiatore del mondo, i suoi libri e i suoi incontri con i contemporanei. (l.b.)
T. Mantarro, Nostalgistan, Ediciclo 2019,
pp. 203 € 15,00
Un autore, con il quale ho solidarizzato fin dalla scarna biografia, riportata nell’ultimo quarto di copertina; un eclettico, dai molti interessi, che poi trovano una sintesi nella professione di giornalista del mensile del Touring Club italiano; un girovago professionista, i cui viaggi hanno radici lontane, quando, alunno di terza elementare, si era appassionato alla caduta dell’impero romano. Alla maestra che spiegava le invasioni barbariche, allora chiedeva da dove provenissero “quei popoli forti e fieri che con una galoppata e un menar di spade avevano travolto… il più grande impero del mondo”. Immancabilmente, la maestra rispondeva che provenivano dalle Steppe dell’Asia centrale. Allora, il bambino prendeva l’Atlante e cercava quella steppe, individuava la zona e si perdeva a immaginare da dove potessero sbucare, in successione, tutti quei popoli: “Ostrogoti e Visigoti, Longobardi e Unni… le orde mongole, il grande Tamerlano, i Tartari, i Turchi selgiuchidi e forse anche gli Ottomani e altri ancora di cui… si è persa la memoria. Almeno nella mia testa tutti erano venuti più o meno da lì, dalle Steppe dell’Asia centrale. Per me bambino quello era uno dei grandi misteri della Storia”. Crescendo, l’antica curiosità si era evoluta nella voglia di vedere cosa ci fosse oltre “l’ex cortina di ferro”. Sempre più era attratto da quella parte di mondo “che va pressappoco da Gorizia a Vladivostok”. E ora, ogni volta che viaggia in quelle terre lontane, si chiede perché mai sia attratto da “certi postacci arrugginiti”, nei quali sempre ritorna e nei quali – quando c’è – pensa : «Come staremmo bene qui, se fossimo altrove».
Il racconto attuale – come dice l’autore- parte in realtà da metà strada, da Baku, mentre il viaggio vero e proprio era iniziato a Milano, in occasione di un rally benefico e la narrazione include precedenti notazioni di altre spedizioni di gruppo. Luoghi che da solo non avrebbe mai visitato.
Il libro attraversa geografie disparate, segnate dalla storia antica e dalle incursioni occidentali, russe e poi sovietiche. Quelle terre, in secoli lontani, civilissime e feroci, restano non intatte ma potenti nei paesaggi di montagna, tutte cime tra i settemila e gli ottomila metri, e nei polverosi deserti che l’attraversano, fino all’ultimo, il Taklamakan (quello vero, e non il parco giochi impiantato dai Cinesi nei pressi di Kashgar), il cui nome significa “ci entri e non esci”; ma anche nei popoli che, nonostante tutte le invasioni e stratificazioni, se non appartenenti ai dominatori del momento – cinesi oggi, e ieri sovietici –, ci provano a salvare la loro cultura quotidiana, le loro tradizioni, nonostante tutto.
“Hanno una notevole capacità di sopravvivenza, gli uiguri. Dalle porte socchiuse intravedo ancora i cortili con gli oleandri in fiore e le piante da frutto sulla terra secca; gli anziani sonnecchiano sui tapchan. Bravi a riappropriarsi degli spazi… A resistere ai fast food cinesi… È una continua, silenziosa guerra di posizione per far rivivere ogni centimetro dell’antico, vitale centro…” .
Nel 2008, all’indomani del terremoto del Sichuan (Cina), con la scusa che un analogo sisma avrebbe potuto spazzar via le antiche costruzioni di Kashgar, il governo di Pechino ha lanciato un grandioso progetto di restauro urbano. Via le case di fango, i vicoli stretti, le botteghe artigiane! Largo alla nuova architettura cinese! “E pazienza se per bonificare tutta la zona del centro si sono dovute spostare 220 mila persone!
I cinesi, quelli venuti a vivere qui con i contributi del governo, vivono altrove, nei palazzoni di periferia, nuovi e già logori. “Così la città mi appare fisicamente divisa in due. Da una parte gli uiguri: vessati, poveri e colorati… Dall’altra i cinesi, i padroni venuti da lontano, arroganti… intenti a far soldi”. Alla modernizzazione sopravvivono la grande moschea e il grande mercato domenicale, ormai attrattiva internazionale. E così, nonostante tutto, Kashgar brulica di vita. Da Baku ai confini della Cina, la Via della seta anticha e nuova si arresta. Il viaggio era iniziato con No problem e si chiude con No photo soldier.
Non c’è dubbio. Siamo ormai in Cina. (l.b.)
E. Frosi, Noi tre on board, In viaggio con Clara, Ouverture 2017, pp.171 € 12,50
L’autrice è una travel-blogger, da sempre appassionata di viaggi e di esplorazioni. In procinto di diventare madre, nonostante che i più le preannunciassero un drastico mutamento nello stile di vita, con il marito e la piccola Clara, ha continuato a girare il mondo, calibrando le esperienze sulla tenera età della figlia, e, gradualmente, abituandola al “mestiere” del viaggiare (voli aerei, spostamenti in auto ecc.), pur di addestrarla alla gioia e alla scoperta del mondo: dei suoi luoghi, dei suoi ambienti, dei diversi costumi e delle persone.
Il testo è una lettera indirizzata alla figlia con cui ricorda i viaggi condivisi nella prima metà del mondo esplorato; ma, al tempo stesso, è una guida puntuale per quei genitori che, come lei, vogliano viaggiare con i propri bambini. Per questo è anche una guida per i piccoli che – a qualunque latitudine – cercano luoghi e incontri a loro congeniali. I paesi esplorati sono: la Tailandia, la Malesia, l’Australia, gli USA, il Giappone, le Maldive e New York. Buon viaggio!
E. Moretti, Misteri lungo la Romea francigena, In cammino sulle tracce di Galgano, Artù e Gemignano, Artestampa 2018, pp. 276 € 18.00
«Mi trovavo sul tratto della via Francigena perché l’eredità del nonno Giuseppe mi aveva fortemente avvicinato al camminare e all’esplorare. Il tutto era cominciato quando trovai una mappa su pergamena sotto il quadro della sua medaglia al valor militare. Sembrava volermi portare a scoprire terre lontane, prima in Africa, dove aveva combattuto ad El-Alamein, poi la Toscana e l’Emilia per risalire la via Francigena che lui aveva fatto tornando dalla prigionia».
Comincia così il romanzo storico, ispirato a cose vere, di Emanuele Moretti che si è avvicinato alla scrittura, per trasmettere ai figli esperienze di vita e di cammino.
Questa molla narrativa nasce dal voler fare memoria di vissuti personali a Gerusalemme e in Kenia, ma anche nel proprio territorio, nell’Appennino modenese dove radici familiari intersecano stratificazioni e vissuti, lontani e recenti, mitici e storici.
H. Lang, R. Ortner, Alpi Giulie, 53 passeggiate ed escursioni selezionate, Ediciclo 2019, pp. 175 € 15,00
Le alpi Giulie rappresentano l’estremità sud-orientale del’arco alpino e si fondono senza un confine netto con le Alpi Dinariche. Sono state un punto di incontro tra le maggiori culture europee: germani, romani e slavi; le lingue parlate sono quattro: italiano, sloveno, tedesco e friulano e sono state uno dei principali teatri di guerra nel primo conflitto mondiale.
Le Alpi Giulie sono ancora abbastanza selvagge e questa guida ci aiuta a scoprire luoghi incantevoli che non hanno nulla da invidiare alle Dolomiti più famose. La bellezza della guida sta nel fatto che, oltre a dare informazioni precise ed esaurienti, è piuttosto piccola, formato 16 per 11 cm., e sta bene in qualsiasi tasca.
E. Zorzi, S. D’Eredità, Alpi Giulie e Carniche Orientali, Vie classiche e moderne, Alpine Studio 2019, pp. 452 € 30,00
Libro esaustivo delle tante vie classiche e moderne che sono state aperte nelle Carniche orientali dove la valle del Bût serve come confine. Le zone descritte sono: Creta d’Aip e Cavallo di Pontebba, Sernio, Grauzaria e Zuc del Bûr, Montasio, Jôf Fuart, Mangart e Canin. Oltre all’accesso alle vette vengono segnalati anche percorsi non strettamente alpinistici quali ferrate di una certa importanza e itinerari a cavallo tra escursionismo impegnativo e alpinismo. Il libro ci descrive molto bene queste montagne troppo spesso marginalizzate ma che oggi sono in grado di proporre all’alpinista una straordinaria varietà di esperienze ed approcci.
M. Blatto, E. Bonfanti, L. Enrico, M. Enrico, Val Grande in verticale, Arrampicare nella Val Grande di Lanzo e nel Vallone di Sea, Idea Montagna 2019, pp. 496 € 34,00 Di nuovo il Vallone di Sea. E più l’intera Valgrande di Lanzo, da Cantoira alla testata del solco vallivo. Un omaggio ai luoghi e alla storia dell’arrampicata e – soprattutto – a Gian Carlo Grassi, l’autore di Sogno di Sea, uscito nel 1988 (che si limitava però alle pareti del vallone omonimo). E dunque anche il tentativo, da parte degli autori del presente volume, di chiudere un cerchio temporale iniziato ormai parecchi anni fa.
G. Miotti, Escursioni in montagna nel bergamasco, Editoriale Programma 2019, pp. 119
€ 9.90
G. Miotti, Escursioni in montagna tra Como Lecco e Sondrio, Editoriale Programma 2019, pp. 119 € 9.90
Questi due volumetti sono una selezione dei tanti percorsi che Giuseppe Miotti ha percorso sia come alpinista dilettante sia come guida alpina. La selezione è stata fatta considerando la bellezza dei territori e la storia dei luoghi e le difficoltà dei percorsi che vanno dalle più semplici alle più impegnative: Il primo libretto descrive16 itinerari che spaziano dalla val Brembana alla val Cavallina.
L’altro libretto descrive 15 itinerari che interessano le provincie di Como, Lecco con l’imponente triangolo lariano e la provincia di Sondrio con le due grandi vallate della Valchiavenna e della Valtellina.
A. Soravia, Pedalare e camminare in Toscana, 10 itinerari in Valdinievole, terra di Leonardo e Collodi, Editoriale Programma 2019, pp. 159 € 10,00
Ad un osservatore frettoloso non pare possibile che in questa zona compresa tra Lucca e Pistoia fortemente antropizzata con paesi e frazioni che si susseguono senza soluzioni di continuita, ci siano itinerari escursionisti e pedalabili; invece basta allontanarsi di qualche centinaio di metri dalle principali vie di comunicazione e cambia tutto: ci si trova immersi nel verde dei vivai, nei campi coltivati in pianura, negli oliveti e nelle vigne, nei boschi di castagno e più in alto nei pascoli che ricordano gli altopiani alpini.
Gli itinerari descritti sono anelli con lunghezze variabili da 4 a 40 chilometri da percorrere in bicicletta, preferibilmente una mountain bike, va bene anche una buona city bike con cambi, o a piedi e sono una piccola selezione dei tanti possibili che la zona offre.
S. Ardito, Sentieri nel Parco Nazionale d’Abruzzo, 96 passeggiate ed escursioni nella prima area protetta d’Italia, Iter 2018, pp. 191
€ 12,00
In questa nuova guida del Parco Nazionale d’Abruzzo vengono presentati 96 itinerari per scoprire o riscoprire la più antica area protetta d’Italia.
Altri parchi dell’Appennino comprendono delle vette più alte ma il Parco più bello è ancora il più antico della Penisola che ha al centro Pescasseroli e l’alta valle del fiume Sangro e interessa i territori dell’Abruzzo, del Lazio e del Molise.
Ad accogliere chi cammina, ai piedi dei monti Marsicano e del Petroso, sono faggete che sembrano senza fine, solenni altopiani di pascoli, crinali aspri e tormentati. Poi ci sono le acque dei fiumi, dei torrenti e dei laghi, i paesaggi carsici del versante laziale, le forre e le grotte come quella sorprendente dello Schievo.
L’attrattiva più forte è la fauna: i cervi, i camosci, il lupo e l’orso marsicano, il signore di queste montagne.
C. Todesco, Le signore delle cime, Storie di guide alpine al femminile, Dal Monte Bianco alle Dolomiti dieci donne raccontano la loro montagna, Stampato in proprio 2018, pp. 70 € 15,00
Molto è cambiato dai tempi di Paul Preuss che diceva che «La donna è la rovina dell’alpinismo». Dalla determinazione di Mary Varale, e di Ninì Pietrasante ora, anche se in piccola percentuale sono sempre di più le donne che si dedicano alla montagna, come arrampicatrici, come alpiniste di alta quota e come guide.
Il libro ci racconta la storia di queste donne, delle loro esperienze, delle difficoltà che hanno dovuto superare e delle soddisfazioni del loro lavoro.
K. Lauber, Cervino. Le guide raccontano, Storie di cime raccolte da K. Lauber, Bellavite 2018, pp. 279 € 19,50
Sono 18 le guide di Zermatt che raccontano le loro esperienze a fianco dei loro clienti. La salita del Cervino dalla capanna Hörnli non è particolarmente difficile ma richiede come sempre un buon allenamento, senso dell’equilibrio, non soffrire di vertigini.
Malgrado le corde fisse, gli ancoraggi e le guide, sono tantissimi i morti sul Cervino dovute all’inesperienza, ai cambiamneti climatici, alla caduta sassi, essendo il Cervino un monte che si sgretola. Ora con l’aumento della temperature, il ghiaccio che compattava le rocce non c’è più, ed il rischio di crollo è sempre più frequente. Tutto questo si evince dalla lettura delle testimonianze delle guide.
G. Genoud, Questo folle mestiere, Memorie di una guida alpina, Baima editrice 2018, pp. 208
€ 15,00
Sono racconti di vita vissuta di una guida vallese che ha realizzato in questo mestiere il suo sogno di ragazzo. Sono ricordi semplici scritti in modo limpido che non cercano mai l’effetto ma ci fanno scoprire la grandezza delle relazioni guida-cliente, con gli errori, le sconfitte umane di questo mestiere di grande responsabilità. Non è un libro che racconta che tutto va bene sempre ma racconta le cose come sono.
S. Dalla Porta Xydias, G. Grandi, L’aiuto rischioso, Colloqui su montagna e soccorso alpino, Meudon 2016, pp. 81 € 12,00
In occasione di un festeggiamentio del Corpo Nazionale di Soccorso Alpino nasce l’idea di celebrare la ricorrenza raccogliendo alcune conversazioni con Spiro Dalla Porta Xydias. I ricordi diventano l’occasione per porre problemi, evidenziare dilemmi e confrontarsi su quanto i tempi siano cambiati e su come – in fondo – l’umanità non lo sia affatto.
I. Zandonella Callegher, Alpinista per scommessa, Piero Ghiglione scalate nei cinque continenti, Alpine Studio 2018, pp. 332 € 19,00
Di questo grande alpinista Italo Zandonella Callegher ricostruisce le imprese che hanno interessato tutti i cinque continenti. Ghiglione iniziò tardi ad arrampicare, aveva già trent’anni, ma bruciò le tappe con una enorme e frenetica attività. È morto purtroppo a 77 anni per un banale incidente d’auto che ci ricorda la morte di Tita Piaz morto anche lui per un incidente in bicicletta. A lui, come a Bonatti, è capitato di vedere morire tutti i compagni della sua spedizione al monte Api, una cima che si eleva nel Nepal occidentale con i suoi 7132 metri. Un episodio, avvenuto un mese prima che gli italiani conquistassero il K2, tra i più drammatici nella storia dell’alpinismo, ricostruito in questo libro in ogni suo dettaglio e che offuscò la sua eccezionale carriera alpinistica.
D. Bubani, Il sognatore ribelle, Alpine Studio 2019, pp. 121 € 15,00
Tomek, come lo chiamavano gli amici, scomparso sul Nanga Parbat nel gennaio 2018 a 43 anni, era un alpinista del tutto originale: non apparteneva a nessun club, non aveva fatto scuole di alpinismo, era guidato solo dalla sua grande passione per la montagna. Si finanziava con campagne di raccolta fondi online, non amava gli sponsor, evitava il “circo himalayano” delle conquiste ad ogni costo, in ideale collegamento con la tradizione del grande alpinismo polacco.
Questo libro non parla di corde, piccozze difficoltà da superare, ma cerca di capire cosa moveva Tomek come scrive la Tenderini nella prefazione: «un personaggio ricco di vitalità, capace di trasmettere una ventata di entusiamo e di passione, che fa vedere la montagna non come qualcosa da conquistare, ma come un’amica preziosa capace di mettere a dura prova, ma anche di riempire una vita intera».
C. Roccati, Alberto Gnerro, 60 milioni, Chilometri di vita su millimetri di roccia, Alpine Studio 2019, pp. 329 € 19,00 Alberto Gnerro è stato uno scrittore e alpinista appassionato di scalate su roccia e ghiaccio, speleologia, canyoning, mountain bike, sci, pesca, corsa e Christian Roccati in questa curatissima biografia ce ne dà una ampia testimonianza. Alberto Gnerro, è considerato “il più forte climber italiano di tutti i tempi”, per vent’anni in lotta ai vertici delle gare tra Coppa del Mondo, master internazionali; è il primo italiano ad aver chiodato e liberato il 9a.
È nato nel 1969, e il suo livello non ha ancora avuto una battuta d’arresto.
F. Vascellari, Arrampicare nelle Dolomiti sud orientali, 115 vie di roccia: Civetta-Moiazza, Pelmo, Schiara, Bosconero, Marmarole est, Agner-Pale est, Oltre Piave, Vol, 1°, Vividolomiti 2019, pp. 254 € 19,90
Le vie descritte rappresentano una scelta di arrampicate classiche e inedite che vanno dagli aghi della Civetta alla maestosità del Pelmo non trascurando le poco conosciute Dolomiti d’oltre Piave. Il libro è ricco di foto e di ogni lunghezza di corda è descritta dettagliatamente la chiodatura, le difficoltà dei passagi e la discesa.
A. Fornari, Oltre lo strapiombo, Il respiro di una parete. La cima Grande di Lavaredo si racconta, Dbs 2019, pp. 152 € 13,00
Un racconto sulle Dolomiti che parla di geologia, di leggende, di storie di alpinisti, della Grande Guerra e soprattutto delle tre cime di Lavaredo e del loro fascino. Un libro arricchito da stupende foto.
Domenico Flavio Ronzoni, Tre racconti tre montagne, Bellavite 2018, pp. 45 € 5,00
Vengono raccolti in questo volumetto tre racconti con i quali l’autore è stato premiato a Tolmezzo dove ogni anno viene organizzato il Premio Leggimontagna. Tre modi diversi di rapportarsi con il mondo delle terre alte.
Alessandra Panvini Rosati, Sassi dalle mani, Storie e immaginazione, Bellavite 2019, pp. 94
€ 11,00
Storie scritte tra il vero e l’onirico, ove la montagna è un palcoscenico sul quale si intrecciano pulsioni, emozioni e affetti.
Quasi tutte le storie hanno radici nella vita vissuta, e il racconto è molto scorrevole ed appassionante.
Fascismo, Antifascismo, Resistenza
A, rivista anarchica, n. 433, aprile 2019
€ 5,00
Dossier antifascismo. Dalla stessa parte, sempre dedicato alla lotta contro il fascismo. Per la parte dedicata all’attualità il Circolo anarchico C. Berneri di Bologna, Andrea Papi e Francesco Codello propongono, nei rispettivi interventi, approfondimenti sul contesto generale e sulle modalità dell’impegno antifascista oggi.
Il gruppo di ricerca Schwarzbard affronta il tema del crescente antisemitismo anche nei movimenti di sinistra e il concetto di popolo. Per la parte storica Massimo Ortalli ha curato la rassegna dell’intera bibliografia in italiano sull’impegno antifascista anarchico; Paolo Papini ricostruisce l’esperienza degli anarchici torinesi nella prima resistenza antifascista (1920-1922), dall’occupazione delle fabbriche alla strage del 18 dicembre 1922. Con un’illustrazione di Fabio Santin e una tavola di Roberto Ambrosoli.
Spagna contemporanea, Rivista semestrale di storia, cultura e istituzioni, n. 53, 2018
€ 30,00
Le organizzazioni giovanili del franchismo, dossier coordinato da M. Fincardi e S. Souto Kustrín. Gli articoli: F. Morente: El Sindicato Español Universitario. Estudiantes fascistas, el ejemplo italiano y la lucha contra la democracia en España (1931-1936); T. Moranti Ariño: «Un anticipo di ciò che speriamo diverrà la nazione futura». Socializzazione politica nelle organizzazioni giovanili del fascismo spagnolo, 1936-1945; L. Ballesteros Aguayo: I giornali falangisti per la gioventù nel dopoguerra; C. Fuertes Muñoz: La recepción de la educación política franquista: actitudes ante las organizaciones juveniles falangistas; E. Bengochea Tirado: El discurso imperial y sus límites: hispanización y encuadramiento juvenil en la provincia de Sahara (1961-1975).
Spagna contemporanea, n. 54, 2018
€ 35,00
L’articolo di M. Novarino, Così diventammo antifascisti, ricostruisce il percorso travagliato di due intellettuali, Vasco Pratolini ed Elio Vittorini dove la guerra civile spagnola rappresentò la svolta verso l’antifascismo, come per molti altri giovani italiani. Grazie a quell’esperienza bellica, maturò quello che Lucio Lombardo Radice definì “nuovo antifascismo”.
E. Gobetti, La Resistenza dimenticata, Partigiani italiani in Montenegro (1943-1945), Salerno Editrice 2018, pp. 178 € 14,00
Il libro racconta la storia della divisione partigiana italiana Garibaldi in Montenegro, dal 1943 al 1945.
È una storia sconosciuta in Italia e il cuore del racconto si articola intorno alla data dell’8 settembre 1943, quando circa ventimila soldati italiani, un terzo del totale di stanza in Montenegro, scelgono di non arrendersi ai tedeschi e aderiscono alla Resistenza jugoslava, costituendo una vera e propria formazione partigiana.
Attraverso le storie di alcuni reduci, che l’Autore ha conosciuto personalmente, il volume ricostruisce il dramma di uomini che, prima truppe d’occupazione fasciste, responsabili di una violenta campagna repressiva, sceglieranno coraggiosamente di combattere contro l’ex alleato nazista. Partigiani in terra straniera, circondati dalla diffidenza della popolazione, combattendo in condizioni estreme, questa unità rimarrà integra fino al rimpatrio nel marzo del 1945.
Il contributo della divisione Garibaldi rimane un ricordo importante nell’odierno Montenegro, dove la memoria dei partigiani italiani è ancora viva e attuale, diversamente dall’Italia, dove il silenzio che ha circondato nel corso del Novecento la loro drammatica esperienza è stato totale. Non a caso in Italia non esiste un monumento in ricordo della divisione Garibaldi. Una storia di guerra e di dolore che ha segnato in maniera indelebile la vita dei sopravvissuti; ragazzi che si sono trovati ad essere vittime e carnefici al tempo stesso: ma poi, messi di fronte ad una scelta, hanno saputo imboccare la strada giusta, quella della libertà.
Quaderni del Circolo Rosselli, n. 128, 2017 € 15,00
Numero intitolato a: Carlo e Nello Rosselli nell’80° dell’assassinio. Atti del Convegno Internazionale di Parigi (6 giugno 2017), a cura di Alessandro Giacone e Éric Vial. Interventi di: V. Spini, A. Giacone e É. Vial, P. Dogliani, M. Mioni, M. Bresciani, F. Tortorella, T. Guichard, D. Dilettoso, É. Vial, I. Richet, S. Visciola, M. Calloni, O. Dard, É. Panthou, E. Pavone, F. Margiotta Broglio.
La prima sezione di questo volume è dedicata a “Carlo Rosselli e la sua generazione”, con particolare riferimento ai dibattiti in seno a Giustizia e Libertà. La seconda cerca di esplicitare i canali con cui questo movimento cercò di “influire in un mondo ostile”, tramite quello che era il canale privilegiato per diffondere le idee antifasciste, cioè la stampa. La terza sezione, dedicata agli “altri” Rosselli (“altri” rispetto a Carlo), raggruppa gli interventi su Nello, Marion e Amelia Rosselli. La quarta ed ultima sezione verte sull’assassinio dei Rosselli e le commemorazioni nei decenni seguenti. La riflessione conclusiva di Valdo Spini, in appendice ai due discorsi pronunciati al convegno di Parigi ed alla cerimonia sui luoghi del delitto, si interroga sull’eredità del “socialismo liberale”.
V. Giannattasio, Il fascismo alla ricerca del “Nuovo Mondo”, L’America Latina nella pubblicistica italiana, 1922-1943, Ombre Corte 2018, pp. 233 € 22,00
Il libro di Giannattasio delinea un percorso che ha l’intento di stabilire il quadro entro cui si mosse l’interesse della pubblicistica italiana del ventennio per l’America Latina, e in che modo questo venne sviluppato.
Il legame che unisce l’Italia con il subcontinente americano precede l’ascesa del regime mussoliniano, ma proprio durante il ventennio trova modo di esprimersi in maniera più netta e approfondita. Si tratta di un vincolo che si basa su un sentimento di vicinanza culturale, rafforzato dall’esistenza di grandi comunità di emigrati italiani, presenti praticamente in ogni nazione della regione.
La politica rivolta agli italiani residenti all’estero, che si va affermando dopo la marcia su Roma, il desiderio di coinvolgerli nel progetto totalitario di formazione di una nuova identità nazionale, la volontà di farne degli strumenti di propagazione del fascismo, e di utilizzare le comunità d’oltremare per un aumento dell’influenza politica e culturale, divengono stimoli forti per approfondire la conoscenza della regione.
Si manifesta quello che, in fondo, è una sorta di stigma della regione, un interesse che spesso trova sfogo in espressioni razziste verso alcune componenti delle comunità locali, ma che si presenta anche nei confronti dei bianchi per la loro incapacità di sfruttare le grandi possibilità di crescita che la regione fornisce.
Le mire del governo di Roma, per trovare attuazione, ebbero bisogno di far rivivere negli emigrati italiani il sentimento di italianità, e far combaciare questo sentimento con il fascismo stesso. A tale scopo, il regime volle mostrare, attraverso una capillare opera di propaganda, una nuova immagine dell’Italia, rispettata a livello internazionale, che fosse in grado di suscitare l’orgoglio dei figli lontani e di riaccendere in loro la fiamma dell’italianità. (l.c.)
J. Fucik, Scritto sotto la forca, Memorie di un condannato a morte della Resistenza antinazista, Red Star Press 2015, pp. 169 € 15,00
Scritto sotto la forca è la cronaca della prigionia dell’Autore, diario che il combattente ceco riuscì a tenere in cella e che descrive la terribile esperienza da lui vissuta prima della condanna a morte per impiccagione.
Fucik cadde nelle mani dei nazisti nella primavera del 1942, prima incarcerato a Pankrac, a Praga, successivamente trasportato in Germania, comparve dinanzi al tribunale nazista di Berlino il 25 agosto 1943, che lo condannò a morte. Morì l’8 settembre 1943. Giornalista, dirigente dell’organizzazione studentesca comunista, militante rivoluzionario, da sempre impegnato a favore del movimento operaio, Fucik ha rappresentato una delle figure più importanti del comunismo ceco negli anni ’30. Entrati i nazisti a Praga nel marzo del 1939, continuamente braccato dalla Gestapo, continuò la sua lotta di militante democratico nella clandestinità, fino al giorno del suo arresto. Nella letteratura di testimonianze, di memorie, di cronache e di diari, uscita dalla Resistenza contro il fascismo, questo libro resta un esempio unico. L’Autore, già crudelmente lacerato dalle torture subite, esprime la sua esperienza di moribondo con una vitalità e una forza appassionate. Nel mantenere questa straordinaria condizione di equilibrio e di serenità, non reprime nulla di sé, non impone il silenzio a nessuno dei suoi affetti più cari. Nel suo animo gli affetti individuali non sono divisi dall’impegno sociale, l’amore per i propri familiari è tutt’uno con l’amore per tutti gli uomini, con l’amore della libertà e della giustizia. Fucik non è mai solo: anche quando è più isolato e indifeso, fra le mani dei carnefici, egli avverte intorno a sé il grande esercito dei compagni che gli comunica energia e a cui deve rendere conto. E nello scrivere clandestinamente, su minuscoli frammenti di carta, le sue note di prigioniero, a nulla egli pensa meno che a farne delle meditazioni con se stesso, delle confessioni private.
Il libro fu concepito come una relazione di esperienze da trasmettere ai compagni, uno strumento per l’azione da consegnare a coloro che avrebbero continuato la lotta. (l.c.)
Migranti
Adista, n. 22, 15 giugno 2019
Abbonamento annuale € 75,00
Numero speciale Attraversare la frontiera. L’Italia, l’Europa e la sfida delle migrazioni realizzato dall’associazione Officina Adista nell’ambito della serie “Conoscere, capire, scegliere. Le parole del nuovo millennio”.
Il fenomeno migratorio in Italia dalla seconda metà del Novecento a oggi, le leggi sull’immigrazione dagli anni ’80 al presente, opportunità e problemi della situazione attuale; la normativa europea; il viaggio dei migranti fino al Sahara, le torture in Libia, l’attraversamento del mare; l’esperienza di accoglienza delle comunità di Vicofaro e Ramini a Pistoia; i corridoi umanitari. Interventi di J. Gaillot, F. Pittau, S. Briguglio, M. Ambrosini, C. Mattiello, M. Biancalani, M. Matteucci, Mediterranean Hope.
Fondazione Leone Moressa, Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione.
Prospettive di integrazione in un’Italia che invecchia, Il Mulino 2018, pp. 190 € 18,00
Questa edizione si concentra sull’impatto economico, fiscale e sociale dell’immigrazione in Italia, fotografando la situazione attuale e raffigurando alcuni scenari possibili alla luce delle dinamiche in corso. Accanto all’analisi puntuale di banche dati ufficiali, il volume propone approfondimenti tematici a cura di esperti del settore e attori istituzionali, fornendo al lettore una panoramica ampia e informazioni utili a valutare i processi in corso. Nella parte finale si dà conto dell’impatto economico delle principali comunità immigrate in Italia, sintetizzando per ciascuna di esse i principali indicatori economici.
Fondazione Leone Moressa, Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione, La cittadinanza globale della generazione “Millennials”, Il Mulino 2019, pp. 208 € 19,00 In Italia la condizione occupazionale dei giovani è drammatica: nella fascia tra 25 e 29 anni il tasso di occupazione è del 54,6%, oltre 20 punti in meno rispetto alla media dell’Unione europea, mentre la disoccupazione per la stessa fascia d’età è al 19,7%, contro il 9,2% di media Ue.
Per questo l’edizione 2019 del Rapporto sull’economia dell’immigrazione si focalizza proprio sulle prospettive per i giovani in Italia e in Europa, fotografando i movimenti attuali e presentando alcuni possibili scenari. Accanto all’analisi puntuale di banche dati ufficiali, il Rapporto presenta approfondimenti sul contributo degli immigrati all’economia italiana: il mercato del lavoro, l’imprenditoria, il fenomeno delle rimesse sono alcuni fra i temi analizzati.
Nell’ultima parte del volume viene descritto l’apporto delle principali comunità immigrate in Italia, sintetizzando i maggiori indicatori economici di ciascuna di esse.
E. Iula, Migrazioni e Modernità. Una lettura generativa, Queriniana 2019, pp. 221 € 16,00
Il testo nasce da un ciclo di lezioni sul rapporto tra migrazioni e modernità, tenutosi presso la Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale. Si tratta dell’approfondimento tematico di un testo, recentemente edito, centrato sull’etica generativa. Il saggio, oltre che con i dati raccolti dalle Scienze sociali, si misura con autori e testi che si sono sforzati di cogliere il senso del migrare come tale, intersecando discipline diverse: filosofia, antropologia e anche teologia biblica.
N. Capovilla, B. Tusset, «Non sapevo che il mare fosse salato», Paoline 2017, pp. 119
€ 13,00
“Ci hanno letteralmente lanciati dentro una barca. Circa 20 in un gommone. Quattro giorni di viaggio.
Niente acqua. Niente cibo. A un certo punto ho bevuto acqua di mare: non sapevo che il mare fosse salato”.
Queste le parole di Festus, uno dei cinque ragazzi (Mady nato nel 1998 in Costa d’Avorio, Amadou nel 1997 in Gambia, Moussa nel 1992 in Mali, Festus nel 1992 in Nigeria e Ousain nel 1991 in Senegal) che, attraversando il Mediterraneo, ce l’hanno fatta.
Nel libro, i loro racconti si alternano con le parole di un parroco che a Marghera, con le catechiste e alcune famiglie, ha fatto della sua casa un porto aperto dove chi arriva permette a chi li accoglie di aprire il proprio cuore per farvi entrare il mondo. Sono le parole dell’arcivescovo di Agrigento che cura la prefazione al testo.
N. D. Coniglio, Aiutateci a casa nostra, Laterza 2019, pp. 137 € 14.00
Il titolo e il sottotitolo ben esemplificano il canto e il controcanto che l’agile libretto espone in una argomentazione dialettica, accessibilissima nel linguaggio, nutrita di dati e indicazioni bibliografiche a piè di pagina per chi volesse approfondire.
Punto di partenza sono i luoghi comuni che circolano sul tema sia nella pancia profonda del paese, sia in bocca a politici, non proprio limpidi, né propriamente teste pensanti, nostalgici dei pieni poteri. Luoghi comuni come: gli immigrati ci rubano il lavoro e abbassano il nostro salario; rallentano lo sviluppo della nostra economia; consumano il nostro welfare state. Quindi, aiutiamoli a casa loro! Diversamente una minoranza si oppone: no, apriamo a tutti le frontiere! Ma – sostanzialmente – ciò che veramente ci vuole sono muri e blocchi navali!
L’Italia, per un secolo, (metà 1800-metà 1900) paese di emigranti, è diventata terra di immigrazione. Oggi, in un anno, arrivano in media circa 300 mila stranieri. Per gestire correttamente questo fenomeno, relativamente nuovo, prima dobbiamo conoscerlo. Per questo il testo ne indaga gli effetti, positivi e negativi, sull’economia del paese ospitante; così che, a lettura ultimata, si possa vagliare quanto corrette fossero le nostre opinioni iniziali o quante invece generiche, se non addirittura errate sul fronte del nostro interesse nazionale.
Inoltre, in particolare e in generale, il fenomeno dell’immigrazione va compreso e gestito, che ci piaccia o meno. L’Italia, demograficamente, è un paese in declino: o si immette linfa nuova, regolare, o, prima, crolla lo stile di vita e, poi, ci estinguiamo. A livello mondiale “in presenza di disparità economiche, sociali e demografiche così ampie e crescenti, bloccare l’immigrazione è… impossibile. Il continente africano sta sperimentando una transizione demografica” già verificatasi precedentemente in Asia. Né allora, né ora si è mai assistito all’arrivo di orde di disperati “come spesso i media (e i politici che soffiano sul fuoco) raccontano. Sicuramente, però, il futuro prossimo dell’Europa sarà un futuro di immigrazione. “Come possiamo accompagnare nel modo meglio possibile i flussi migratori che ci interesseranno?” Cos’è in fondo l’immigrazione?
“Fondamentalmente è una questione di domanda e di offerta nel mercato del lavoro. La forte espansine dei flussi risponde alla robusta richiesta di forza lavoro straniera (dalle famiglie e dalle imprese nei paesi sviluppati) e alla disponibilità dei cittadini stranieri a prendere i lavori offerti.
I governi europei dovrebbero provare a regolare questo mercato per aumentare i benefici che esso infonde a tutti gli attori coinvolti, piuttosto che provare ad arrestare e contenere il suo funzionamento”. Paesi che da molto tempo prima di noi sono oggetto di flussi migratori assai consistenti, per avvantaggiarsene e contenere costi e problemi della migrazione irregolare, elaborano, praticano e via via rielaborano schemi di immigrazione temporanea per migliorare – nell’interesse reciproco – le strategie adottate. Ciò vuol dire governare i fenomeni in atto, invece di gridare “al lupo, al lupo” senza la benché minima progettualità politica. I paesi che si attrezzano non sono necessariamente isole umanitarie; vedi Australia, Canada e Nuova Zelanda.
Gridare “ al lupo, al lupo” porta voti facili. Ma, una domanda: dov’è la politica?
“I paesi ricchi come il nostro sono e saranno sempre meta di immigrazione. Ogni sforzo per rendere le frontiere più aperte e i flussi più regolamentati e prevedibili sarà un importante passo per rendere la diversità una fonte di straordinaria ricchezza e, allo stesso tempo, evitare di gestire il fenomeno migratorio in un modo che rende il nostro paese più disumano e, allo stesso tempo, più povero”. (l.b.)
E. Mbolela, Rifugiato. Un’odissea africana, Agenzia X 2018, pp. 190 € 15,00
L’autore, nato nel 1973 nella Pubblica democratica del Congo, viene arrestato e condannato a due anni di prigione per aver partecipato a una grande manifestazione organizzata nell’aprile del 2002 dal primo partito di opposizione a Mobuto (Udps: union pour la democratiè et le progrés social). Riesce ad evadere nel giugno dello stesso anno e, per non compromettere la sua famiglia, diviene esule e, dopo un’odissea durata sei anni, lasciata la RdC, passando per Camerun, Nigeria, Benin, Burkina Faso, Mali, il deserto algerino del Sahara e il Marocco, nel 2008 raggiunge l’Olanda. Un viaggio atroce per tutti, ma infinitamente peggiore per le donne, soggette a continui passaggi di mano dove lo stupro è il supplemento obbligato per transitare da uno stato all’altro.
E, arrivato in Europa, ancora umiliazioni, precarietà, sfruttamento.
Una scuola, questa, che convincerà l’autore a continuare le lotte intraprese nella sua patria e, poi, in Marocco: per dare voce ai senza voce. Con i proventi del suo libro, pubblicato inizialmente in Germania, vera e propria autobiografia di una generazione in fuga, e con il contributo di due donatrici tedesche, ha potuto aprire a Rabat una struttura – di nome Baobab – che accoglie donne migranti che arrivano in Marocco. Per chi volesse sostenere e/o partecipare in prima persona alle azioni di solidarietà o per organizzare un incontro con l’autore, seguono le e-mail dell’autore e della referente in Italia. Per Mbolela: arcom100@yahoo.fr; per la referente, Valentina Malli: rifugiato@gmx.com. (l.b.)
A cura di P. Beccegato e R. Marinaro, Falsi miti. Storie di migranti oltre i luoghi comuni e le fake news, EDB 2018, pp. 147 € 10,00
Il volumetto raccoglie testimonianze di operatori a vario titolo impegnati sul fronte dei migranti. Attingendo alle loro esperienze sul campo, ogni autore racconta con il proprio stile una vicenda. Sono assistenti sociali, giornalisti, avvocati. E, altrettanto variegato, è il ventaglio delle situazioni esistenziali che i migranti affidano agli operatori. Qualcuno è nato in Italia, altri vi arrivano dopo traversate allucinanti; altri, messisi in cammino da anni, per la chiusura delle frontiere da parte degli stati europei, si trovano bloccati in un paese che non era la loro meta; altri, pur essendo arrivati a destinazione, non arrivano mai perché, ridotti in schiavitù, ogni giorno si fanno 14 ore di lavoro per 20 euro, a discrezione di un caporale. Chiude il libretto un articolo che analizza alcuni luoghi comuni sui migranti, come essi nascano, perché si affermino e quale società prefigurino.
A cura di A. Triulzi, P. Di Luca, N. Cangi, Parole oltre le frontiere, Dieci storie migranti, Terre di mezzo 2018, pp. 329 € 14,00
Il volume raccoglie le storie dei dieci migranti finalisti del Premio Dimmi, acronimo di Diari Multimediali Migranti, il concorso nazionale dedicato ai racconti di vita delle persone migranti residenti o anche solo soggiornanti in Italia.
Le voci qui raccolte offrono una testimonianza per chiunque voglia approfondire e conoscere più da vicino il vissuto di chi è costretto nel XXI secolo a lasciare il proprio Paese e a migrare lontano dalla propria terra e famiglia.
Diversi sono i racconti che incontriamo in questo libro, perché diversi sono i vissuti personali e le esperienze dei dieci testimoni-protagonisti, ma tutti accumunati dalla speranza di chi cerca un futuro migliore.
In queste storie incontriamo disastri politici, economici, ambientali, la determinazione di chi non si lascia abbattere dalle avversità, il trauma del viaggio e dell’arrivo, la mancata accoglienza, ma anche la straordinaria forza d’animo di chi è riuscito a cambiare la propria condizione. Queste pagine raccontano di loro, ma anche di noi, dell’Italia di oggi, dove i diritti di migranti e richiedenti asilo vengono sempre più assediati, minando le conquiste della nostra stessa società. (l.c.)
P. De Robertis, Migranti SPA, Il business dell’immigrazione: cifre, vittime e carnefici, Rubbettino 2018, pp. 153 € 14,00
L’autore, editorialista del quotidiano “La Nazione”, dà voce a quanti, nell’accoglienza dei migranti, vedono all’opera soggetti non proprio disinteressati, improvvisate cooperative sociali e dubbie ong, pronte a sfruttare il business di turno, mentre lo Stato non controlla e un esercito di volontari cerca di supplire al vuoto dell’integrazione, portando generosamente aiuto. Ogni capitolo del testo è corredato da diagrammi e dati.
F. Piantoni, Per una etica dell’ospitalità, Qiqajon 2017, pp. 85 € 9,00
L’autore lavora in una cooperativa sociale, attiva a Bologna, nel campo dell’accoglienza di immigrati. Il testo, edito dalla Comunità di Bose, s’interroga sull’etica del
l’ospitalità, attraverso pensatori da Deridda a ritroso, passando per Kant, fino all’antica Grecia, per chiudersi sulla vicenda di Antigone che, alla ragion di Stato, oppone il rispetto verso la legge non scritta, la legge naturale alla cui unica autorità è disposta a sottomettersi.
A. Ahmadzai, Lontani dalla luna. Dall’Afganistan all’Italia, Fara editore 2018, pp. 47 € 7,00
È il racconto autobiografico di un minorenne afgano di etnia pasthun che con il fratello cerca una via di fuga verso l’Occidente per sottrarsi ai Talebani che vogliono convertirlo alla loro causa. Proviene da una famiglia da sempre in lotta con i Talebani e da essa è aiutato ad allontanarsi, affrontando un viaggio che è un salto nel buio e che lo porterà prima in Pakistan, in Iran,Turchia, Bulgaria, Serbia, ai confini con l’Ungheria, l’Austria e infine in Italia. Non certo un viaggio lineare; molti saranno i passi indietro, costellati da compagni di sorte scomparsi nel nulla, passi silenziosi e sempre di notte “lontani dalla luna”, nemica con il suo chiarore di chi clandestinamente prova a varcare le frontiere fra gli stati.
Il racconto è una lunga sequenza del degrado umano che ugualmente contamina Oriente e Occidente. Imbattersi nella pietà di altri ugualmente ultimi è rarissimo.
Ma succede. Allora si spartisce l’acqua e ci si salva insieme, riconoscendosi umani.
R. Sardella, «Perché non se ne stanno a casa loro?», Afriche: uno sguardo ravvicinato, Paoline 2019, pp. 157 € 14,00
Perché non se ne stanno a casa loro? È la frase che più si sente ripetere quando si parla di immigrati. Il libro di Rosario Sardella, nato dai viaggi compiuti dall’Autore in Mozambico, Kenya, Sierra Leone e Benin, porta il lettore a conoscere da vicino i drammi del continente africano.
È un viaggio all’interno di questo continente attraverso le voci dei suoi protagonisti, la memoria dei luoghi visitati, come i villaggi, le baracche e i campi profughi del Mozambico, gli slum e le discariche oceaniche del Kenya, l’odore soffocante respirato per le strade in Sierra Leone dopo l’epidemia Ebola, la bambina resa madre in Benin… Ma è anche il racconto di chi, in Africa, promuove la cooperazione; di chi crede che la scuola sia un rimedio alla povertà e alla miseria e per questo la realizza; di chi ha il desiderio di curare i bambini, di chi accompagna i rifugiati nella loro vita.
A cura di G. Bonansea, Memorie migranti, Visualità, sentimenti e generazioni in una prospettiova transnazionale, Morlacchi 2018, pp. 226
€ 16,00 Il volume getta uno sguardo sulla scuola come spazio strategico di scambi, incontri, interazioni fra studenti nativi e studenti migranti di prima e seconda generazione. Un orizzonte relazionale che ridisegna, reinventa, riconfigura attraverso plurali forme di rappresentazioni giovanili – mai sganciate da emozioni, sentimenti, empatie – le nuove geografie di un’Europa oggi più che mai in profondo disequilibrio. Il testo, che parte della ricerca Bodies Across Borders: Oral and Visual Memory in Europe and Beyond (acronimo Babe), si apre anche, attraverso i contributi di studiose e insegnanti, a luoghi e prospettive che sempre contemplano la questione della memoria culturale e visuale della migrazione. Una prospettiva che, per i migranti, guarda alla rappresentazione del confine, del transito, dei ricongiungimenti a famiglie e gruppi. È il caso dei bambini peruviani che dopo anni di attesa nel loro paese ritrovano in Europa padri e madri. Ecco allora che l’Europa diventa uno spazio prefigurato, immaginato, sognato dentro e fuori le trame reali e simboliche delle memorie.
A cura di C. Albarello e A. Di Febo, Noi e gli altri, Tredici ragazzi raccontano i migranti, Città Nuova 2018, pp. 93 € 12,00 «È da un po’ di tempo ormai che si sta stretti sul nostro pianeta e la situazione è diventata abbastanza precaria: ci sono persone che viaggiano fino a noi da pianeti lontani, solcando i mari della galassia su pesanti piattaforme di metallo, per scappare da luoghi che si sgretolano sempre di più, di giorno in giorno».
I racconti sono elaborati da tredici studenti delle scuole superiori italiane, selezionati attraverso il concorso letterario Scriviamoci 2018, organizzato dal Cepell (Centro per il libro e la lettura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali) e l’Atlante digitale del ’900 letterario (un archivio della letteratura più o meno nota del secolo appena trascorso). L’argomento al centro della raccolta è il fenomeno delle migrazioni:
si tratta delle biografie immaginarie di migranti che abbandonano il loro Paese, spinti dalla guerra e dalla fame, e che partono in cerca di un futuro migliore.
Minoranze
A-Rivista Anarchica, n. 437, ottobre 2019
€ 5,00
Gli articoli di G. Bezzecchi: Gli zingari? Facciamoli scomparire e N. Budini Gattai: Se non è segregazione, poco ci manca, ci raccontano dell’esito fallimentare di politiche sociali e abitative; l’impossibilità per moltissimi rom e sinti di andare a scuola, accedere ai servizi di welfare, avere accesso all’acqua; la ghettizzazione nei campi nomadi e la nascita di questo fenomeno tutto italiano, lo spostamento di centinaia di famiglie che aumenta le situazioni di precarietà, alcuni dati sulle popolazioni rom presenti in Italia.
Militant A, Soli contro tutto, Seconda edizione di un romanzo non autorizzato, Goodfellas 2017, pp. 352 € 12,00
Militant A, il front man di “Assalti Frontali”, ci racconta la storia di una scuola elementare della sterminata periferia romana dal nome di un bambino diventato famoso suo malgrado, Iqbal Masih, e della lotta contro il decreto Gelmini che ha visto protagonisti i suoi alunni, i genitori e la maggioranza delle maestre con la direttrice in testa, a difesa del tempo pieno. Ma ci racconta anche dell’incrocio di due mondi, quello formato dalla comunità della scuola e quello di un campo rom non autorizzato che spunta una mattina di settembre proprio lì vicino. C’è solo una strada, via Casilina, che separa le due realtà: di qua la scuola, occupata e piena di striscioni per attirare attenzione, di là i rom romeni, nascosti e accucciati dentro un canalone per sopravvivere agli sgomberi. Totale incomunicabilità e paura, di qua e di là. Poi, succede che qualcuno (il protagonista Luca insieme alla dirigente scolastica) incontra i volontari di una mini associazione di aiuto ai rom (personaggi forse volutamente descritti come stravaganti se non marginali a loro volta), i quali stanno cercando di convincere alcune famiglie rom a mandare i figli a scuola. Quei bambini rom saranno elemento di discordia all’inizio con combattivi genitori che pensano che il loro quartiere, la loro periferia debba essere difesa contro tutto e tutti, contro il Governo che gli toglie un diritto importante ma anche contro quelli più sfigati e ancora più marginali di loro stessi. E mentre il racconto avanza, organizzato bene e sciolto da farsi leggere volentieri, emerge – nelle riflessioni del protagonista – il ruolo della periferia metropolitana, luogo dove vivono persone in carne ed ossa, dove si consuma la vita vera, essendo ormai il centro (di qualsiasi area metropolitana) più che un museo all’aperto, un grande centro commerciale. Questo romanzo ci parla delle trasformazioni che le periferie metropolitane hanno subìto in questi anni. Che non sono tutte negative. Nelle periferie l’abbandono e l’esclusione sono stati metabolizzati: nessuno si aspetta più grandi progetti, c’è abitudine al degrado. Ma sta scattando una risposta autonoma. Nascono associazioni, gruppi di volontariato per cose pratiche (pulizia del verde pubblico, cura di orti sociali, ludoteche autogestite, ecc.), quasi fossero repubbliche a parte o, se si preferisce, autonome, con regole che cercano di convivere con quelle ufficiali dello Stato e quelle delle attività illegali se non della malavita. Ma sono vive. Accanto al rancore nei riguardi degli abitanti del centro si stanno sviluppando attività culturali e sociali autogestite (nel libro si cita Metropoliz che è un esempio lampante di come una vecchia fabbrica abbandonata, sia diventata centro sociale autogestito pieno di iniziative ma anche sede del terzo museo di arte contemporanea di Roma, riconosciuto anche da istituzioni accademiche e visitato da cittadini di tutta Roma. Insomma, si comincia a vedere l’inversione dei flussi: dal centro verso le periferie. In questo contesto, la lotta raccontata finisce piuttosto male, ma questo lo sapevamo già. Il dato positivo, invece, è l’emersione dal buco nero della totale clandestinità dei rom e di una rinnovata solidarietà che rinforza i legami sociali di quella periferia. Un buon libro, da leggere. (i.b.)
W. Ferrari, D. Pepino, «Escartoun», La federazione delle libertà, Itinerari di autonomia, eresia e resistenza nelle Alpi occidentali, Tabor 2014, pp. 125 € 6,00
Nell’anno del Signore 711 e dell’Egira 89, il governatore di Tangeri pose le fondamenta del primo avamposto islamico in Europa: Gibilterra. In pochi anni una parte consistente dell’Islam si impiantò nella regione dell’Andalusia, dando vita – in meno di mezzo secolo – a una civiltà complessa, dinamica, colta e tollerante. Mentre il resto dell’Europa bruciava gli eretici e le popolazioni vivevano in condizioni pietose, le scienze e le arti fiorivano nella Spagna moresca e la cultura greca e le opere di Aristotele venivano tradotte e diffuse in Occidente.
Insieme a filosofi e scienziati, tra gli altri, giunsero in Andalusia pastori con le loro greggi e, dal sud della Spagna, si diffusero fino ai Pirenei e, di lì, in Occitania, fino alle Alpi mescolandosi con i locali.
Nonostante l’affiliazione all’Islam, questi pastori condividevano con le genti del luogo credenze preesistenti sia l’Islam che il Cristianesimo come il culto della “Dea Madre” e tradizioni antiche che rimandavano a una società cooperante ed egualitaria che la durezza della vita in alta quota imponeva, come il “Cerchio dell’Uguaglianza”.
Nei primi secoli dopo il Mille, la situazione sociale è probabilmente all’origine degli “Escartouns”. Le zone montane, oltre che per i Saraceni espulsi, rappresentavano un rifugio per le comunità ereticali che, con le loro verità di fede, davano voce al disagio delle popolazioni oppresse dalla corruzione e dagli abusi di ogni tipo della Chiesa di Roma e dei feudatari.
I vari soggetti e movimenti presenti nelle valli alpine tra la fine del 1200 e l’inizio del 1300 finirono per saldarsi. Vi affluivano uomini e donne che si definivano i “Poveri di Cristo”. Le loro credenze di fede erano del tutto speculari a quelle dei montanari: solidarietà e fraternità, comunione dei beni, rifiuto di ogni taglia e decima, parità tra donna e uomo, nessun servo, nessun padrone, ma un unico Signore, Dio. Mentre le pianure sprofondavano per quattro secoli nel vassallaggio, l’organismo politico degli Escartouns ha vissuto un’inedita esperienza di democrazia e di governo con suffragio diretto. Al tempo della “Grande Carta delle Libertà”, gli Escartouns – dall’occitano “escarter” cioè “suddividere” – nelle Alpi Occidentali instaurarono una federazione di cinque comuni.
Opponendosi alle richieste del feudatario, nel 1343 ottennero dal Delfino Umberto II il riconoscimento dei loro diritti in cambio di 12 mila fiorini d’oro annui, da “suddividere” tra tutti i soggetti delle comunità.
Il Signore, per parte sua, si impegnava a non attraversare i loro campi né con i cavalli, né con i soldati; non avrebbe imposto gabelle di alcun tipo, né avrebbe gravato le comunità con le odiate corvé.
Confermava loro i diritti sui beni comuni, sui canali di irrigazione e sulle foreste e parimenti riconosceva “di aver ceduto in perpetuo alle comunità diritti e doveri feudali e signorili”. Il Delfino, piuttosto che perdere tutto, dato che il prelievo fiscale era ottenibile a prezzo di continue e tremende rivolte, accettò l’autonomia degli Escartouns.
Ciò si preservò fino al trattato di Utrecht 1713; ma l’estinzione dell’autogestione montana fu decretata dalla Rivoluzione francese e dal potere napoleonico. Agli Escartouns – a differenza dei contadini della Vandea – fu risparmiato il massacro, ma solo da un punto di vista militare.
Di lì a poco, gli abitanti cominciarono a pensarsi “francesi”(1789), poi “piemontesi”(Congresso di Vienna 1815), infine “italiani” (dopo la seconda guerra mondiale 1946). Le scuole pubbliche con l’imposizione della lingua nazionale e il Codice civile napoleonico fecero il resto. Le resistenze ci furono, ma non significative, almeno fino al diffondersi nella regione delle idee socialiste e, maggiormente, durante la lotta partigiana che, vincendo i localismi nazionali, unificò i militanti di entrambi i versanti delle montagne. (l.b.)
G. De Sède, Settecento anni di rivolte occitane, Tabor 2016, pp. 329 € 12,00
Il Midi francese, prima del genocidio dei Catari, costituiva una singolare realtà politica-economica non rigidamente feudale, caratterizzata da situazioni di vassallaggio assai elastiche, forti autonomie e ampie libertà comunali.
Anche la mobilità sociale era molto maggiore che nella restante Europa cristiana e la sua posizione geografica ne faceva un ponte tra i territori cristiani, musulmani, delle Repubbliche marinare, delle enclave pirate.
Tutto ciò rendeva tale società un crocevia di genti, fedi, culture in cui dall’Atlantico al Mediterraneo, dai Pirenei alle Alpi, i trobadori convivevano con Valdesi, cattolici, ebrei. A metà del XIII secolo, da cui prende l’avvio questo saggio, si conclude la crociata contro i Catari (o Albigesi); in realtà crociata contro l’anomalia di una regione di cui il Catarismo fu l’espressione religiosa. La stretta connessione tra eresia e rivolta politica e sociale non viene più messa in discussione da gli storici. I Catari furono massacrati non solo per le loro credenze religiose, ma per le ripercussioni sociali di quelle. La crociata fu una guerra politica a tutto vantaggio della Chiesa di Roma e dei Capetingi; nel 1271, la Linguadoca fu annessa alla Francia.
Da allora in poi, mentre il potere statale si organizzava imponendo un centralismo livellatore delle differenze e specificità, i movimenti di resistenza- che per 700 anni si sono susseguiti in Occitania- hanno assunto le forme più diverse.
Rivendicazioni di libertà perdute, come nell’insurrezionie dei Tuchini ( cosidetti per il motto “tutti per uno”) dell’Alvernia e della Linguadoca nel XIV secolo; sollevazioni contro la miseria come quelle dei Croquants; psicodrammi collettivi come al tempo del carnevale di Romans nel 1580 e la guerra delle demoiselles che si combattè per 43 anni (con soli 2 morti) e che fu , prima di tutto, una lotta per l’uso dei boschi, terre che per secoli avevano permesso ai contadini la sopravvivenza che l’incipiente rivoluzione industriale si apprestava ad espropriare; fino all’insurrezione del Larzac (1970) contro l’ espansione del campo militare, una lotta durata dieci anni e vinta dal popolo. Una lunga storia di resistenza che non è ancora conclusa. (l.b.)