Sabato 16 marzo, alle 16:30, la Sala Manzini della Biblioteca San Giorgio di Pistoia ha ospitato “Gianna Manzini – RitrattA in piedi”, un’iniziativa curata dal Centro di Documentazione di Pistoia insieme al Centro Filippo Buonarroti Toscana.
Al centro dell’incontro, la figura della grande scrittrice pistoiese (1896-1974), per come emerge dal romanzo autobiografico Ritratto in piedi (1971), costruito intorno alla figura del padre Giuseppe, militante anarchico, e sull’elaborazione, più volte differita, dell’intimità e del mistero connaturati nella loro relazione.
Ne abbiamo parlato con Laura Bastogi, ex insegnante di italiano e latino presso il liceo classico “Niccolini” di Livorno, che attualmente tiene lezioni di letteratura comparata e letteratura italiana all’UNITRE, sempre a Livorno. Membro del comitato scientifico di «Nuovi Studi Livornesi», rivista di storia, letteratura ed arti edita dal 1993, è autrice di saggi su Giorgio Caproni, Cesare Monteverde, Pietro Gori, Vittorio Matteucci, Carlo Coccioli; coautrice di una pièce teatrale su Giuseppe Emanuele Modigliani e di un filmato su Pietro Gori, in occasione dei 110 anni dalla sua morte; è anche corista e ricercatrice nel Coro Garibaldi d’assalto, fondato nel 2012 da Pardo Fornaciari.
Gianna Manzini (1896-1974), pistoiese, ha pubblicato una ventina tra romanzi e raccolte di racconti che hanno attraversato il Novecento letterario accompagnando nel nostro paese la scoperta delle avanguardie moderniste internazionali. La sua produzione ha trovato compimento nel romanzo autobiografico Ritratto in piedi (1971), centrato sulla figura del padre Giuseppe, militante anarchico, e sull’elaborazione, più volte differita, dell’intimità e del mistero connaturati nella loro relazione.
«Hai un bel chiudere la finestra: luce, spazio, voci, esisteranno oltre la tua stanza. Non li avrai aboliti». Sì che, quando sopraggiunsero alcuni suoi compagni, parlava certo del più o del meno, ma serpeggiavano nel suo discorrere frasi che potevano forse significare: “Cenacoli, élite…: è al popolo, invece, che io miro. È verso la grande speranza di questa unità che io mi getto, attingendo una forza che è anche garanzia di salute. L’unità che io dico, contiene il seme di una splendida, progressiva continuità,” e, pensando a me, soltanto a me: “ossia un divenire, una sopravvivenza ben lontana dalla vita eterna che ti promettono se sarai buona. Capisci? Perdersi nella polvere e sentirsi guardati da centinaia di anni futuri. Umanità indissociabile, come una colata di lava. Non si può frantumarla. E appartarsi è un delitto”. — da Ritratto in piedi