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Notiziario CDP 257

Maggio-Ottobre 2018

 

Segnalazioni

Chiesa

Adista, n. 9, 10 marzo 2018                  € 1,00

Camillo De Piaz, partigiano e profeta del Concilio. “L’Osservatore” lo ricorda a 100 anni dalla nascita. 

Un altro tassello di quella strategia, operata soprattutto da papa Francesco, di “riabilitazione” di alcune figure chiave del cattolicesimo italiano del ’900 non amate dalla struttura ecclesiastica del tempo come don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, don Tonino Bello e don Zeno Saltini. 

Nigrizia, n. 3, marzo 2018                    € 3,50

Nel dossier di Antonio Cataldi, Una pagina nera. Le missioni cattoliche italiane nella colonizzazione fascista dell’Etiopia, si racconta che la conquista militare dell’impero d’Etiopia negli anni Trenta fu possibile anche grazie all’avallo della Chiesa che se ne avvantaggiò per fondare nuove missioni e ampliare quelle esistenti. 

Si tratta di una lettura storica di quel tempo per capire come sia stato possibile conciliare il vangelo con la violenza del colonialismo.

A. Cataldi, Le missioni cattoliche italiane nelle colonie d’Etiopia e d’Eritrea, Grifo 2015,
pp. 314 €      20,00 Grazie ad alcuni studiosi, come Boca, Calchi Novati, Rochat, Rainero, si sta affermando anche in Italia una migliore conoscenza del colonialismo italiano in Africa. Mancano invece studi seri sul ruolo della Chiesa e dei missionari italiani nell’avventura coloniale.

Questo volume viene a colmare, almeno in parte, quel vuoto grazie al fatto che l’autore, storico e missiologo, è riuscito ad avere accesso agli archivi degli ordini e delle congregazioni missionarie (cappuccini, lazzaristi-vincenziani, comboniani, consolata) che hanno operato in Eritrea ed Etiopia durante l’occupazione coloniale italiana. Cataldi, che possiede una buona conoscenza delle congregazioni missionarie, fornisce un quadro (e non è un bel quadro) di come si sono mossi gli istituti missionari nel periodo 1890-1945. 

Lo fa con molta pacatezza e serenità, senza però celare scomode verità. Non fa sconti e conclude: «Furono numerosi i missionari italiani che condivisero le ragioni ideologiche, culturali e politiche del regime mussoliniano, sovrapponendo alla coscienza dell’opera evangelizzatrice alla quale erano stati inviati, le esigenze e i deliri della propaganda fascista».

P. Piccini, Teologia della Liberazione. Una riflessione profetica, Quaderno n. 1 della Fondazione  Guido Piccini 2013, pp. 179 s.i.p

A cura di R. Piccini, Teologia della Liberazione. La voce dei suoi teologi, Quaderno n. 2 della Fondazione  Guido Piccini 2013,
pp. 258           s.i.p 

Il presente lavoro di documentazione è diviso in due parti: la prima, dopo alcune nozioni di teologia generale, è un brevissimo excursus sulla Teologia della Liberazione; la seconda, è composta da una scelta dei Dossier teologici pubblicati dalla rivista «Amanecer», che, attraverso la voce di numerosi teologi latinoamericani, esprimono la ricchezza cultu-rale del loro pensiero.

Il cristianesimo, poi, con i suoi valori evangelici, rimane un forte messaggio di concreta speranza, oggi in una società sempre più confusa, dove speranza ed utopia sono, spesso, parole senza valore alcuno.

A cura di Geraldina Colotti, Oscar Arnulfo Romero. Beato fra i poveri, Clichy 2015, pp. 115
                                                               7,90

Romero non è stato un eretico. È però una figura complessa, fragile e visionaria come i poeti

e i profeti, capace di spingersi al limite. Nei suoi discorsi la necessità della violenza per difendersi dalla sopraffazione, il suo rapporto con le organizzazioni popolari, le denunce contro i responsabili della repressione, che gli sono costate la vita. E senza dubbio, in Salvador, i marxisti che cercavano uno sbocco rivoluzionario, simile a quello del Nicaragua, non potevano seguire la via ecumenica.     

L. Bettazzi, Oscar Romero beato martire della speranza. Spunti sulla vita e sugli scritti,  Nordest 2015, pp. 120 €      12,90

Una storia sommaria della vita di questo vescovo martire, in un Paese dell’America Latina, El Salvador, dove, col pretesto della difesa del cristianesimo e la lotta al comunismo, la dittatura uccideva quanti potevano insidiare il potere, dai contadini che chiedevano il sufficiente per vivere fino al vescovo che ordinava ai militari di non sparare sulla povera gente. Conclude il volume una selezione degli scritti di Romero ed un appparato fotografico. 

A. Palini, Una terra bagnata dal sangue. Oscar Romero e i martiri di El Salvador, Paoline 2017, pp. 219 €     16,00

La storia recente di El Salvador è stata caratterizzata da una lunga catena di odio e di violenze nei confronti di quanti si sono impegnati per la giustizia sociale e per il rispetto dei diritti umani. Migliaia sono state le vittime della repressione: uomini, donne, bambini, sacerdoti e laici, campesinos e insegnanti, leader politici e sindacali, torturati, assassinati o fatti scomparire da un regime che si dichiarava cristiano e affermava di lottare contro la sovversione. Oltre alla vicenda di monsignor Oscar Romero, in queste pagine vengono ricostruite altre storie che intendono rappresentare tutte le vittime, per lo più anonime, della dittatura che fino ai primi anni Novanta ha oppresso El Salvador, facendone una terra bagnata dal sangue dei martiri. (dalla quarta di copertina)

M. Barros, Hèlder Càmara. Il dono della profezia, Gruppo Abele 2016, pp. 206 €      16,00 Questo libro è dedicato alla figura di uno dei vescovi latinoamericani più amati, il Vescovo rosso, ma non è una biografia. 

È la testimonianza di un fratello, che è stato suo discepolo e collaboratore e che ha scritto queste pagine, dense di emozione e di ammirazione, per condividerne con i lettori l’eredità spirituale. 

Hélder Càmara era tutto, era profondamente mistico e profondamente politico. 

Univa contemplazione e azione e aveva un senso vivo della realtà e della sua missione come discepolo di Cristo. Una vita dedicata all’impegno per la liberazione, senza mai un attimo di ripensamento nonostante tale posizione gli sia valsa il rifiuto e la persecuzione da parte delle classi dominanti e della stessa gerarchia della Chiesa. «Quando io dò da mangiare a un povero, tutti mi dicono santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista».

P. Mazzolari, La mia miseria, la tua misericordia. Preghiere, A cura di
L. Guglielmoni e F. Negri, EDB 2011, pp. 144
        8,90 

La raccolta di preghiere selezionata dai curatori, Luigi Guglielmoni e Fausto Negri, testimonia che don Primo Mazzolari aveva una conoscenza approfondita della Parola di Dio. Le sue parole innovative e profetiche danno voce alle attese più vere e alle miserie più comuni della Chiesa e di ogni credente; nascono dal radicamento nella Sacra Scrittura e nella perenne tradizione della Chiesa, uniche fonti della possibile “rivoluzione” compiuta nel nome di Gesù. 

J. Mayr-Nusser, Testimone eroico della fede, Messaggero Padova 2016, pp. 109          9,00 Breve biografia e antologia di scritti, discorsi e lettere di un martire del secolo scorso, il beato Josef Mayr-Nusser, morto a 35 anni il 24 febbraio 1945, in un vagone ferroviario a Erlangen (Germania), mentre veniva trasportato a Dachau, condannato a morte per aver rifiutato di giurare fedeltà a Hitler. 

La figura singolare ed eroica di Josef Mayr-Nusser dà una testimonianza chiara e forte di fede cristiana.

A cura di E. D’Agostini e F. Geremia, David Maria Turoldo ribelle per amore, Messaggero Padova 2018, pp. 111 €        9,00 Breve antologia di testi in prosa e in poesia di padre David Maria Turoldo. Offre un significativo ventaglio di tematiche cui egli ha dedicato la sua produzione saggistica e letteraria, ma prima ancora il suo impegno di uomo partecipe della comune vicenda storica ai diversi livelli: religioso, civile e sociale. 

M. Maraviglia, David Maria Turoldo. La vita, la testimonianza (1916-1992),  Morcelliana 2016, pp. 443 €      30,00

Questo volume ricostruisce per la prima volta, attraverso un’accurata indagine d’archivio, l’intera vicenda esistenziale di David Maria Turoldo, nell’intento di restituire alla storia una figura più volte rievocata in termini mitizzanti o aneddotici: la ricchezza dei suoi incontri permette di recuperare la memoria di ideali, tensioni, disincanti che, in ambito cattolico e oltre, hanno percorso il secolo scorso.

G. Franzoni, Autobiografia di un cattolico marginale,  Rubbettino 2014, pp. 261 €      16,00 Giovanni Franzoni racconta qui la sua vita. Divenuto abate nel 1964, partecipa alle ultime due sessioni del Concilio Vaticano II, del quale ricorda fatti poco noti e personaggi importanti. Quei “profeti di sventura” che Giovanni XXIII aveva temporaneamente messo a tacere, rialzano presto la testa e vedono nelle scelte sue e di altre chiese locali, una pericolosa deriva radicale. Si possono capire qui i retroscena del suo strano “processo”, al termine del quale è costretto a rassegnare, nel 1973, le dimissioni e a trasferrirsi in modesti locali lungo la Via Ostiense con la Comunità nel frattempo costituitasi attorno a lui e che tuttora opera cercando di testimoniare un modo “altro” di essere Chiesa.

A. Antonelli, A piedi nudi. Sull’asfalto liquido del potere, Gabrielli 2015, pp. 143 €      13,50 Don Aldo Antonelli, parroco ad Antrosano in provincia dell’Aquila, il “prete rosso”, da sempre testimone in prima persona di campagne di denuncia e di pressione per sostenere il cambiamento dentro e fuori la Chiesa, diventa dal 2012 blogger dell’Huffington Post. Da questa fortunata e inusuale connessione – tra un quotidiano globale e sicuramente superlaico e un parroco – nasce una cronaca molto interessante, soprattutto per chi non è religioso nel senso stretto del termine, della evoluzione che negli ultimi anni attraversa la Chiesa. 

M. Sambruna, I preti operai in Italia, Intermedia 2014, pp. 389 €      15,00

Il testo approfondisce un aspetto del cattolicesimo contemporaneo finora mai affrontato in modo organico: i preti operai in Italia. La vicenda dei preti operai italiani riguarda un arco temporale che va dalla fine degli anni Sessanta alla seconda metà degli anni Ottanta. La loro scelta è ricca di stimoli intellettuali nel tentativo forse impossibile di coniugare dottrina cristiana e marxismo e di prefigurare quindi un nuovo modello di sacerdozio e di Chiesa. Lo studio verte principalmente sull’esame analitico dei documenti prodotti dai sacerdoti al lavoro, sull’indagine dei rapporti con la gerarchia cattolica e sul loro percorso esistenziale attingendo a documenti in parte inediti.

A. Schina, Bruno Borghi. Il prete operaio, Centro di documentazione Pistoia  2017, pp. 126
      10,00 Bruno Borghi: l’intelligente e scanzonato amico di Don Milani negli anni di seminario; porta avanti con estrema coerenza il suo discorso pastorale, navigando imperterrito tra minacce continue di sospensioni a divinis. Bruno Borghi è stato “eccentrico”, nel senso letterale “fuori dal centro”, ma, proprio per questo, non meno protagonista di altri del secondo dopoguerra italiano, nella dimensione ecclesiale ma anche in quelle sociali, sindacali e politiche, attraversate nella realtà fiorentina a partire dagli anni ’50 e ’60 e arrivando all’inizio del nuovo secolo. 

Bruno Borghi è stato sempre guidato dalla convinzione che la manifestazione di una soggettività consapevole e partecipata degli “ultimi” potesse mutare lo stato delle cose presenti, ed è ascrivibile a pieno titolo tra gli antimoderati del ’900 italiano. Completano il volume alcuni suoi testi, le note biografiche sui personaggi che compaiono nel testo, con indicazioni per eventuali approfondimenti, una bibliografia.

G. Crea, Tonache ferite. Forme del disagio nella vita religiosa e sacerdotale, EDB 2016, pp. 243 €      22,00 Padre Giuseppe Crea, comboniano, psicologo e psicoterapeuta, docente di Tecniche psicodiagnostiche all’Università Pontificia Salesiana ci ricorda che la Chiesa ha bisogno di cambiare rotta. «I tempi sono particolari – dice – il pontificato è propizio, il rinnovamento può essere profondo, dobbiamo formare preti capaci di governare una comunità parrocchiale, con tutto quel che ciò comporta. Ma la persona non è un automa. Quando si sta in mezzo alla gente, entra sempre in gioco la dimensione affettiva. Se il prete non è del tutto maturo, ma cova frustrazioni e conflitti, questi possono essere le premesse delle prime sbandate». E poi continua:  «Sempre in famiglia, accade che il marito picchi la moglie e si dica: l’ha fatto una volta sola, speriamo non si ripeta. Invece il segnale è forte e non va fatto cadere. Con un presbitero accade una cosa analoga: si spera che si ravveda, che non accada più. Lo si sposta… Ma intanto la patologia lavora. Spostarlo è spesso peggio: chi ha problemi relazionali si convince di non essere compreso dai superiori e dai confratelli, ma nella comunità continua a fare il “superprete” e tutti lo gratificano…

Nella solitudine e nella frustrazione, le patologie figlie di una precedente fragilità hanno gioco facile. Dovremmo saper fare formazione permanente che non consiste in un anno sabbatico o negli esercizi spirituali. Occorre un collegamento stretto tra formazione e vita, senza sosta, che aiuti il prete a imparare sempre».

A. Rinaldi, Dalla parte dei piccoli. Chiesa e abusi sessuali,  La meridiana 2018, pp. 146 €      15,00 

Il discorso sugli abusi sessuali sui minori nella Chiesa cattolica offre diversi spunti di riflessione che in questo libro sono riassunti in due tematiche principali: la questione del potere spirituale e gerarchico, con riferimento al clericalismo, e la necessità di una formazione umana completa che abbia a fondamento la persona. Dunque, per colpire la piaga alle radici e porsi sulla strada della prevenzione, la proposta avanzata nel volume è che la Chiesa agisca nel campo della formazione umana che, in modo multidisciplinare con gli altri campi formativi, definisca in maniera chiara e trasparente l’identità del chierico, ai fini della riscoperta della vera natura del ruolo e dell’autorità di cui sarà investito.

Islam

S. Scaranari, Jihad. Significato e attualità, Paoline 2016, pp.136 €     11,00

Il fenomeno del jihad armato è entrato nelle nostre case con i ripetuti attacchi degli ultimi anni, suscitando un dibattito molto articolato.

Focalizzare l’attenzione sul tema risponde a una specifica necessità di conoscenza.

Il volume ricostruisce il significato del termine jihad a partire dalla dottrina coranica.

Il termine indica lo sforzo che il fedele deve compiere per porsi alla sequela della volontà divina, sinonimo quindi di lotta individuale e interiore per approfondire le proprie conoscenze religiose, mettere in pratica le prescrizioni coraniche ed evitare di cedere alle passioni.

Successivamente, nel contesto dei primi secoli, il termine ha acquisito un’importanza o un significato che all’origine forse non aveva, venendo a indicare, nel diritto classico e nella tradizione storica, l’azione armata finalizzata all’espansione dell’Islam e, se necessario, alla sua difesa. In questo senso il jihad non è un bene in se stesso, bensì un male che diventa lecito, anzi obbligatorio e quindi un bene, in rapporto allo scopo cui tende, ovvero abolire un male maggiore, la mancata sottomissione al vero Dio.

Ma non basta che una guerra veda dei musulmani in armi perché si possa parlare di jihad; ci sono delle regole, delle situazioni ben precise, delle condizioni specifiche perché si possa invocare il jihad che, per sua natura, ha una forte componente religiosa.

Non è una guerra combattuta da musulmani, è un conflitto combattuto da uomini e donne per l’Islam,  con una forte motivazione interiore e vissuta come una dimensione spirituale della vita.
Il volume esamina poi lo sviluppo del jihad nel corso della storia, arrivando ai giorni nostri, in cui il martirio-suicidio, ignoto nell’Islam sunnita fino al XX secolo, è diventato uno strumento privilegiato di lotta. (l.c.) 

G. Musso, La caserma e la moschea. Militari e islamisti al potere in Sudan, Carocci Editore 2016, pp. 215 €     23,00

Il volume ricostruisce la storia dell’ultima, e tuttora in corso, esperienza politica attraversata dal Sudan, nata nel 1989 da un’alleanza tra militari e islamisti.

Hasan al-Turabi, artefice del colpo di Stato del 1989, ha dato vita a un’insolita coalizione, quella tra militari e islamisti, che rappresenta l’unica eccezione alla consolidata rivalità che da sempre ha caratterizzato questi due gruppi di potere. 

Il movimento islamista sudanese, primo gruppo appartenente alla “famiglia” dei Fratelli Musulmani in grado di conquistare il potere in un paese del mondo arabo, ha concepito il proprio esperimento come un’alternativa ai sistemi politici sperimentati dal Sudan fino al 1989, e come un modello che altri avrebbero potuto seguire.

L’insolita alleanza tra islamisti e militari alla base del regime sudanese coniuga la capacità di controllo sociale dei militari con la funzione legittimante del movimento islamista. 

Esso, tuttavia, non è riuscito a rappresentare un’ “alternativa islamica” rispetto al modello autoritario dominante nel mondo arabo, ma anzi ne ha accentuato i caratteri violenti e predatori.

Esacerbando le fratture identitarie, il regime si è spinto fino a compromettere l’unità del paese, rotta dalla secessione del Sud nel 2011.

Partendo dalla vasta letteratura disponibile, da documenti originali e da un lavoro di ricerca sul campo condotto a più riprese tra il 2006 e il 2011, il libro ricostruisce una storia poco nota, fa chiarezza su quell’intreccio tra islamismo, conflitti armati e aspirazioni democratiche che caratterizzano la politica araba attuale.  (l.c.)

Lavoro

Missione Oggi, n. 2, marzo-aprile 2018 

Abbonamento ordinario €     30,00

Nel dossier Globalizzazione impoverimento e nuove disuguaglianze a cura di Marino Ruzzenenti articoli su: Rapporto Oxfam disuguaglianze planetarie e italiane nel 2017; Disuguaglianza e povertà crescono anche in Italia. Conferme dall’Istat; Dalla Caritas una fotografia preoccupante della condizione giovanile; Il disagio nel mondo del lavoro. Rapporto Fondazione Di Vittorio; Povertà e disuguaglianze alla luce del magistero di papa Francesco; Globalizzazione e impoverimento patto dell’umanità per cambiare; Globalizzazione come povertà di diritti. 

F. La Torre, Per un pugno di amianto. L’avventura di un minatore siciliano a Cassiar, Iacobelli 2016, pp. 251 €     15,00

L’Autore agli inizi degli anni ’60 partì dalla Sicilia per andare a lavorare in una miniera d’amianto, a – 40 °C di temperatura a Cassiar, là dove il Canada si avvicina all’Alaska.

Come lui tantissimi altri operai fecero questa scelta, una scelta che li portò a partire dalla propria casa e dai propri affetti per andare a lavorare in questa cittadina mineraria della profonda British Columbia. 

Ed è questo un libro di memorie, memorie di La Torre che racconta la propria esperienza di vita e quella di altri amici minatori nelle sperdute regioni del Canada. 

Il volume è frutto di un’accurata ricerca di testimonianze  e di materiali che, mettendo insieme vecchie foto e filmini in otto e superotto, restituiscono la concretezza di una vita, e di tante altre vite. Dalla viva voce del protagonista veniamo a conoscenza del quotidiano vissuto di tanti amici che come lui avevano cercato un riscatto personale, un futuro in una nuova realtà. 

La Torre nella narrazione  si astiene da ogni commento e da qualsivoglia interpretazione personale, i frammenti di vita degli amici minatori sono svelati con rispetto, astenendosi dal giudicare le mille reazioni che una vita di enorme disagio porta inevitabilmente con sé.

Ma è questo soprattutto il racconto di un dramma; un dramma perché quella di Cassiar era una miniera di morte. 

Tanti operai infatti si sono ammalati lavorando quotidianamente a contatto con l’amianto e l’absesto, facendo brillare cariche esplosive con cadenza quasi giornaliera. Dagli anni ’80 le nuove scoperte sulla tossicità dell’amianto ne azzerarono praticamente l’uso in tutto il mondo, e la miniera, dopo un breve declino, fu costretta a chiudere. Declino che piano piano spense i motori dei bulldozer, le micce degli esplosivi e il via-vai nelle strade di Cassiar.

Ma la realtà ci dice che delle tante persone di cui si racconta la storia, molte non potranno leggere queste pagine, morte proprio là dove avevano cercato con fiducia e coraggio una nuova vita. (l.c.)

A. Saibene, L’Italia di Adriano Olivetti, Comunità Editrice 2017, pp. 159       13,00

l libro, frutto di un accurato lavoro di ricerca, celebra la figura di Adriano Olivetti legato ad una pagina importante della storia d’Italia e ad un modello d’impresa che ha pochi eguali nel panorama industriale italiano. 

La cronologia aiuta a fare chiarezza sulle diverse fasi di una vita senza tregua: l’iniziale interesse politico, la scoperta dell’America e di una civiltà industriale che faceva da battistrada, la riorganizzazione dell’azienda familiare negli anni del fascismo, il ritorno a Ivrea e la creazione di un’azienda globale ante litteram, tutto il lavoro culturale e sociale degli anni Cinquanta, la ricerca legata alle prime esperienze dell’elettronica.

L’esperienza olivettiana è stata da sempre avversata, per ragioni diverse, dal capitalismo italiano, dagli intellettuali di formazione marxista, dal cattolicesimo ufficiale. Il nostro establishment non apprezzava un industriale che per un certo periodo non aderì a Confindustria e che giunse a proporre la cessione della proprietà dell’azienda ai dipendenti e a varie istituzioni pubbliche. Ma alcune idee e la possibilità di verificarle nella pratica quotidiana, furono davvero lungimiranti: il lavoro come strumento d’identità dell’uomo, la fabbrica come principio di organizzazione del territorio.
È a Ivrea, negli anni Cinquanta, che il modello “adrianeo” si sviluppa in tutte le sue possibilità; azienda che vedrà lavorare fianco a fianco dipendenti, intellettuali, psicologi e sociologi di fabbrica, architetti, tutti insieme per costruire una nuova idea di fabbrica e di società.(l.c.)

P. Trevisan, Petrolchimico. Autobiografia di un sopravvissuto, Cierre edizioni 2017, pp. 192
       12,00 

Dalla prefazione di Marco Borghi: «Il racconto di Pietro inizia nella Mestre del dopoguerra tra le pieghe familiari della militanza antifascista e resistenziale, impersonata nella figura dello zio Grazioso, per finire decenni dopo – a ridosso del 1989 – quando ormai i cancelli, le rivendicazioni e i fumi tossici di Porto Marghera sono definitivamente lasciati alle spalle. Nel “mezzo” venticinque anni di lavoro, lotta e impegno al Petrolchimico, “volati via – ricorda l’autore – senza neanche accorgermene”.

Ed è proprio l’arcipelago della chimica margherina e il Petrolchimico a diventare il filo conduttore della narrazione autobiografica di Trevisan. Un autentico microcosmo, descritto con minuzia di particolari nei suoi ambienti, tempi e ritmi; uno stabilimento ma anche un laboratorio politico, soprattutto dopo la definitiva rottura di un prolungato silenzio che nelle fabbriche “era d’obbligo”».

Il pane offeso. Parole per la crisi del lavoro, Cultura globale 2013, pp. 77            s.i.p. Il libro accoglie in un unico volumetto le poesie di Luigi Di Ruscio, Fabio Franzin, Francesco Tomada, Riccardo Olivieri, Nadia Agustoni, Ferruccio Brugnaro, Maurizio Mattiuzza, Giacomo Sandron, Adelelmo Ruggieri e Leonardo Zanier e i racconti di Francesco Dezio, Angelo Ferracuti, Alberto Prunetti, Stefano Valenti, Emanuele Tonon, Sebastiano Nata e Bruna Mozzi. È arricchito dagli scatti di Fabio Brilli e dalla copertina di Giulia Spanghero. 

Il lettore avrà il piacere e la sorpresa di scoprire il «canto collettivo e proletario del XXI secolo» come scrive Daniele Maria Pegorari nella introduzione.

A cura di L. Busatto, Vite scandite dal suono di una sirena. La nostra Cogne,  Musumeci 2018,
pp. 223 €     25,00 È un libro di testimonianze sulla storia dello stabilimento più importante della Valle d’Aosta. I racconti dei lavoratori e dei loro familiari, diventano i tasselli di un mosaico collettivo, che parte dalle miniere di La Thuile e arriva alle acciaierie giapponesi.

Il libro è arricchito da tante fotografie dell’archivio storico regionale. 

R. Ciccarelli, Forza lavoro. Il lato oscuro della rivoluzione digitale,  DeriveApprodi 2018,
pp. 219 €     18,00 Il settore della distribuzione sta creando un esercito di nuovi poveri e inaugurando inedite forme di servilismo a chiamata nei trasporti, nelle pulizie e nelle cure familiari, che costruiscono il nuovo capitalismo. 

L’enorme crescita di queste forme di lavoro fa parte di una trasformazione più grande che vede nel cosiddetto lavoro atipico e precario, vale a dire non salariato, né dipendente, il nuovo modello attuale del lavoro. 

Al libro va il merito di tenere desta l’attenzione su di un tema tanto cruciale quanto spesso rimosso.

L.A. Cosattini, Decreto dignità: nuove regole per il contrasto al precariato,  Maggioli 2018,
pp. 88 €     18,00 Il volume esamina nel concreto il contenuto e la portata delle modifiche introdotte dal nuovo Governo, con l’obiettivo di combattere il lavoro precario e di restituire con ciò ai lavoratori subordinati la “dignità” asseritamente perduta.
Lo scopo del lavoro è quello di porre gli operatori del settore nelle condizioni di dare a tali novità normative la più corretta e proficua applicazione. 

L’Autore pone dunque alcuni interrogativi e fornisce ad essi risposte che consentono, per quanto possibile, di recepire al meglio il nuovo regime giuridico. 

Mafia

Memoria e Ricerca, Rivista di storia contemporanea,  maggio-agosto 2017      27,00

Si segnala l’articolo di Claudio Grasso, Un processo di mafia all’ombra del littorio. In questo saggio si descrive e analizza il processo di Monreale del 1931-32, che portò in giudizio l’associazione a delinquere di matrice mafiosa denominata l’«associazione di Monreale e territori limitrofi». La disamina del processo contro le cosche del Monrealese ci permette di addentrarci nel groviglio di contraddizioni e ambiguità che caratterizzarono tali processi, così come la stessa lotta alla mafia fascista.

Una città, n. 244, novembre 2017 €       8,00

Intervista  a cura di Barbara Bertoncin a Pierpaolo Romani che parla dei problemi che gli amministratori locali devono affrontare: la corruzione, la criminalità che offre un’alternativa allo Stato, i contatti tra mafia e istituzioni, i beni confiscati, il gioco d’azzardo.

Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di Avviso Pubblico. Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie, un’Associazione nata nel 1996 con l’intento di collegare ed organizzare gli Amministratori pubblici che concretamente si impegnano a promuovere la cultura della legalità democratica nella politica, nella Pubblica Amministrazione e sui territori da essi governati.

Polizia e Democrazia, n. 4, aprile 2018 

      3,10

Marco Scipolo nell’articolo Gli artigli della Piovra sulle economie europee parla dei cambiamenti geopolitici in corso che le mafie tradizionali cavalcano per aumentare i loro traffici a livello planetario e nel rapporto della Dia si legge anche che “alcuni Stati sembrerebbero addirittura più interessati alla portata finanziaria degli investimenti che non alla possibile illecita provenienza delle somme investite”.

Adista, n. 36,  22 ottobre 2016

Abbonamento annuo €     70,00

Da versare sul ccp. 33867003 intestato a Adista.
Nell’intervista a Rosario Giuè, prete  palermitano già parroco di Brancaccio prima di don Puglisi,  si parla in maniera più generale delle relazioni tra Chiesa e mafia e ne risulta un mosaico eterogeneo, fatto di silenzi e omissioni ma anche di denunce e di impegno civile.

A cura di M. Nasca, Pino Puglisi. Il sorriso della fede, Messaggero Padova 2015, pp. 103 €       9,00 

Breve profilo e raccolta antologica di testi del sacerdote palermitano, don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993. Pino Puglisi era un prete scomodo e pericoloso, perché era capace di generare speranza nel cuore della gente. 

R. Cascio, S. Ognibene, Il primo martire di mafia. L’eredità di padre Pino Puglisi, EDB 2016,
pp. 235 €     18,00

Padre Pino Puglisi è stato proclamato beato nel 2013. Era tornato nella sua Brancaccio nel 1990 per togliere dalla strada quei ragazzini che rischiavano di crescere nel mito di Stefano Bontade, di Michele Greco e dei fratelli Graviano, quelli stessi che allora facevano esplodere bombe a Milano, Firenze e Roma.

Nel quartiere dove era nato aveva cominciato a smontare le certezze dei Graviano, ma anche quelle di Leoluca Bagarella, il cognato di Riina, con l’istituzione del confessionale, il centro di accoglienza con i ragazzi lanciati contro gli spacciatori e con il sostegno al Comitato Intercondominiale.

Aveva dimostrato da subito di non voler vivere nella “palude”, come tanti altri preti che, in quegli anni, non si schieravano né da un lato, né dall’altro, facendo finta di non vedere.

Padre Puglisi faceva paura, come ammetterà molti anni dopo Totò Riina durante un colloquio nel carcere di Opera.

Per soffocarne lo slancio e la passione è bastato un colpo di pistola, ma la morte di padre Puglisi non è stata accompagnata dal silenzio; molti hanno gettato la maschera e hanno cominciato a protestare per far sentire il dolore, la rabbia, oltre i confini della Sicilia. 

Cascio e Ognibene in questo libro  raccontano l’esperienza di quel prete rivoluzionario nella sua normalità che aveva deciso di rimboccarsi le maniche e fare qualcosa. Gli Autori cercano di riportare l’attenzione sul messaggio di padre Puglisi, sul suo modello di prete, di cristiano e di cittadino, illuminato dal Vangelo di Cristo. Seguendo il suo esempio, lo scopo del libro è quello di fare un passo in avanti rispetto alla riflessione finora condotta dall’antimafia sociale. Puglisi ha lasciato una sfida da raccogliere: l’elaborazione di una pastorale più vicina agli ultimi e capace di fronteggiare i fenomeni mafiosi, soprattutto quelli di natura culturale. (l.c.)

G. Panizza, Cattivi maestri. La sfida educativa alla pedagogia mafiosa, EDB 2017, pp. 204
    15,00 Giacomo Panizza, prete di frontiera come si diceva un tempo, riassume le sue esperienze in una città, Lamezia Terme, in Calabria, dove il potere mafioso ha un ruolo centrale.

Panizza rovescia il significato della definizione “cattivi maestri”: essi sono in realtà quelli che, con il loro esempio e le loro parole, reagiscono all’ordine esistente in nome dell’uguaglianza e della solidarietà con e tra gli umili, gli ultimi, gli oppressi.

Lui ha scelto di stare dalla parte della giustizia, che non vuol dire la legge scritta degli uomini, bensì quella di chi sa opporre alla ragione dei forti quella dei deboli.

Ogni capitolo di questo libro ha in realtà degli insegnamenti da offrire, concentrati sul grande tema del governo mafioso di un territorio, di cui è fondamentale conoscere il funzionamento per meglio riuscire a contrastarlo.

Là dove a dominare è la morale mafiosa, l’Autore analizza il comportamento mafioso, l’agire delle organizzazioni criminali nella conoscenza del funzionamento di una società.

Piegate al raggiungimento degli scopi dei clan, le regole “educative criminali” si impongono nelle comunità locali, insegnano la prepotenza, riproducono modalità rigide e ripetitive di comportamenti sociali, come la riscossione del pizzo. Per poter realizzare un dominio innanzitutto economico, di conseguenza politico, e per esercitare la sua funzione criminale, il potere mafioso deve avere anche potere culturale, con una base forte nel “senso comune”.

Si tratta dunque non tanto di combattere “l’illegalità”, quanto di “riprendersi la società”, cominciando dalla politica. È dunque il contesto che va cambiato, se davvero si vogliono sconfiggere le mafie. 

L’autore parla “dell’inaspettata capacità d’azione”, che sonnecchia nella società come un fuoco coperto dalla cenere; è la scoperta delle energie possibili che possono scaturire dal lavoro con gli emarginati, ma anche insieme alle persone comuni e in situazioni comuni. 

Sulla fiducia  in queste energie  ha scommesso don Giacomo agendo, e rischiando, ma con risultati evidenti. (l.c.)


U. Santino
, Le fiabe di Nonna Eroina. Illustrazioni di F. Donarelli, Di Girolamo 2016, pp. 139 €     15,00 Umberto Santino, fondatore e direttore del centro Giuseppe Impastato di Palermo, con la collaborazione del vignettista, Franco Donarelli, ha rappresentato le vicende più tragiche e atroci della mafia siciliana attraverso la satira, ispirandosi alla raccolta di fiabe di Giuseppe Pitrè, noto soprattutto per il suo lavoro nell’ambito del folclore regionale. 

La scelta della satira, spiega Santino, è dovuta al fatto che il non prendersi sul serio è una forma di terapia, offre la possibilità di mettere in risalto gli errori comuni promuovendone il cambiamento.

I. Vadori, La voce di Impastato. Da Peppino Impastato a Mafia Capitale. l’Italia sotto, inchiesta,  Nuovadimensione 2018, pp. 221 €     16,50 Giovanni Impastato, fratello di Peppino scrive: «Peppino era un poeta, un artista, parliamoci chiaro, e noi sappiamo benissimo che i poeti, gli artisti rispetto a buona parte dei politici e dei militanti comunisti hanno una maggiore sensibilità, perché riescono a capire, a percepire con grande anticipo le trasformazioni di un’intera società, di un intero mondo, gli artisti ci arrivano prima». Il libro traccia il percorso di una inchiesta giornalistica che dipana i fili del rapporto tra Stato e mafia partendo dall’attivismo di Peppino Impastato per arrivare a Mafia Capitale e alle mafie del nord. 

C. Cavaliere, La democrazia mafiosa. Mafia e democrazia nell’Italia dei comuni (1946-1991),
Luigi Pellegrini 2017, pp. 241 €     16,00

Sfogliando le pagine del libro di Claudio Cavalieri ci si imbatte in una documentata ricostruzione storica della rinascita dei comuni nel secondo dopoguerra. Si prende in considerazione il periodo che va dalle elezioni amministrative del 1946 all’approvazione della legge sugli scioglimenti dei consigli comunali per mafia del 1991. Per questo motivo il saggio è anche una breve storia sulla nascita della nostra democrazia in un periodo di forti contrapposizioni ideologiche che hanno permesso alla mafia di diventare la classe dirigente in larghe aree del Paese, come si ricava dai documenti poiché il problema non risiede nel funzionamento della democrazia ma nelle mancate contromisure alla gestione mafiosa su circa l’8% della popolazione italiana. Siamo quindi invitati a “ragionare in maniera meno ortodossa su un fenomeno sul quale siamo ben lontani da una soluzione”. Lavori come questo saggio rendono intellegibili i nessi tra le istituzioni democratiche e la mafia permettendoci una presa di coscienza su questioni fino ad ora erronaneamente sottovalutate. (e.p.)

A cura di N. Dalla Chiesa, Mafia globale. Le organizzazioni criminali nel mondo,
Laurana 2017, pp. 301 €     18,00

Questo libro, frutto di un lungo lavoro collettivo, di ricerca e di didattica, di discussione e di studio, cerca di capire i problemi, le dinamiche e i protagonisti di queste organizzazioni criminali che si stanno moltiplicando ed estendendo ormai in più continenti.
 

G. Trimarchi, Calabria ribelle. Storia di ordinaria resistenza, Città del Sole 2012, pp.198                                 15,00

Questo testo dà voce ad alcuni uomini e donne calabresi che vivono quotidianamente le conseguenze della loro coraggiosa decisione di non soccombere alla mafia ribellandosi.

Fino ad ora la ’ndrangheta era stata analizzata solo attraverso i vari processi penali o le vite degli ’ndranghetisti , qui invece sono le vittime a parlare e raccontano le loro tragedie personali in un mondo complesso e difficile. 

L’autore analizza anche il fenomeno da altri punti di vista, proponendo riflessioni che sono sorprendenti ed efficaci se solo si adoperasse una diversa impostazione mentale: come incidere sui giovani che vengono reclutati in rete allettati da guadagni facili e cospicui e l’altra economia fondata sui valori del commercio equosolidale, finanza eticamente orientata e controllata dai risparmiatori.

Altri punti su cui agire sarebbero la depenalizzazione delle droghe e il controllo dei territori di origine che potrebbe evitare ai mafiosi di riprodursi e rimpiazzare subito gli elementi che vengono arrestati che sono solo il braccio armato. 

Se la mafia calabrese perdesse il controllo sul territorio  perderebbe la sua capacità di accumulazione e riproduzione e conseguentemente il consenso e la stima sociale del luogo; questo è confermato dalla genesi della mafia italiana in America. (c.b.)

A. Ingroia con P. Orsatti, Le trattative. Dal sistema criminale alla trattativa Stato-mafia. Ventisei anni di attacchi ai PM e di ricerca della verità, Imprimatur 2018, pp. 231 €     17,00

Nella primavera del 2018, dopo un lungo percorso investigativo e processuale, si è giunti a una sentenza, quella per il processo sulla Trattativa.
Il contenuto di questo libro di Ingroia è la ricostruzione diretta di questa lunghissima stagione giudiziaria che si intreccia con la storia del potere in Italia, la ricostruzione dello scenario in cui si inserirono sia la strategia stragista sia la trattativa. 

Tale ricostruzione avviene attraverso la rilettura della sua più che ventennale attività presso la procura di Palermo e non si ferma alla semplice discussione sui risultati dei processi. 

G. Bianco, G. Gatti, Alle mafie diciamo NO, Città Nuova 2018, pp. 255 €    15,00

Duecento pagine per mostrare quanto di buono l’Italia è in grado di fare contro le mafie, quando sceglie di combatterle senza dividersi in fazioni. 

Religione

Esodo, n. 4 ottobre-dicembre 2015 €       8,00

Dio non necessario?

In questo numero la rivista intende porre il tema del divino oggi vissuto nelle varie forme del sacro, del mito, delle religioni storiche e si chiede se oggi si riproponga in modo forte la domanda radicale sul divino capace di spingere l’umano a uscire da sé, dall’illusione della propria autosufficienza, da ogni costruzione “troppo umana” dell’umano.

A cura di A. Melloni, Rapporto sull’analfabe-tismo religioso in Italia, Il Mulino 2014, pp. 512                                   38,00 

La laicità delle democrazie si declina non più come distanza neutra dalle chiese e dalle differenti etiche, ma come capacità di formazione di cittadini dialoganti e tolleranti, realmente liberi di professare ciò che credono, nel rispetto di quelle basi infinitamente alte della Dichiarazione dei Diritti Universali che sono la base di ogni democrazia.

A fronte di tali raccomanda-zioni e attraverso un per-corso di confronto con altre esperienze europee il testo analizza la realtà italiana attraverso l’apporto e la ricerca di giuristi, storici, pedagogisti, sociologi af-frontando i nodi principali della declinazione specifica del religioso in Italia.

L’analfabetismo religioso ha un’altra più subdola conseguenza: esso è causa ed effetto del ritardo del paese sulla libertà religiosa. Tra il 2007 e il 2011 si sono affossate proposte di legge e possibilità di adeguamento della legge, della scuola e dei diritti che cercavano di adeguarsi alla velocità di cambiamento della società, e di richiamarsi finalmente al dettato costituzionale. Si è preferito, con la polemica sul crocefisso a scuola, esorcizzare la realtà puntando ad un cristianesimo civile della maggioranza e della tradizione di fatto ignoto alla Costituzione, e che svilisce lo Stato e la stessa fede cattolica che si accontenta di essere ridotta a religione civile pur di mantenere una posizione di preminenza. 

J.S. Spong, La nascita di Gesù tra miti e ipotesi. Introduzione e cura di don Ferdinando Sudati,  Massari 2017, pp. 189 €      12,00 

In questo libro viene compiuta un’attenta rivisitazione dei racconti sulla nascita di Gesù fatta da un teologo statunitense il cui pensiero si caratterizza per una proposta di rinno-vamento profondo e radicale della fede cristiana.

Come scrive Ferdinando Sudati nell’ampia introdu-zione: “Il nuovo lavoro di Spong sarà una felice sorpresa per molti lettori, soprattutto cattolici, che in questi anni si sono familiarizzati con il problema del Gesù storico. 

Vi troveranno in bella sin-tesi i dati della migliore storiografia critica e indi-pendente attorno ai vangeli dell’infanzia, cioè dei rac-conti del concepimento e del-la nascita di Gesù come sono riportati da Matteo e Luca”.

D. Romano, Il processo di Gesù. Prefazione di Sebastiano Tafaro,  Nuova Palomar 2018, pp. 231 €      18,00

Il testo si segnala per l’esatta ricostruzione storica del contesto preso in esame e per un originale tentativo di interpretazione del comportamento delle autorità sinedriali, a proposito del quale l’autore avanza un’ipotesi nuova e interessante. L’opera viene offerta come suggerimento per ulteriori ricerche e approfondimenti e propone una serie di indicazioni tematiche tali da renderla strumento prezioso di lavoro e di studio sull’argomento. 

P.F. Zarcone, Gesù, Giacomo e Paolo. Alle origini del cristianesimo,  Massari 2015, pp. 286
      14,00

Dopo circa duemila anni la figura di Gesù, insieme alla sua azione, è ancora oggetto di discussioni e di sforzi per ricostruirla. In tempi più recenti i testi evangelici sono stati fatti oggetto di analisi ad ampio raggio per focalizzare un profilo non più considerato assurdo o ideologicamente condizionato: vale a dire che la passione e morte di Gesù costituirono la sconfitta terrena di un movimento non solo religioso ma anche rivoluzionario. 

Questo aspetto viene ancora rifiutato dalle Chiese cristiane, ma ormai gli studi al riguardo vanno aumentando e si deve prendere atto della assenza di confutazioni specifiche su quanto in essi contenuto. 

L’altra questione ancora aperta riguarda le origini del Cristianesimo, con particolare riguardo al primo secolo, cioè il periodo in cui furono poste le prime basi teoriche.

P.F. Zarcone, Il Messia armato. Yešū’ bar Yōseph,  Massari 2013, pp. 288 €      18,00

Questo libro si situa sul terreno storico e fornisce un’interpretazione in termini politico-rivoluzionari del Gesù “realmente esistito”. A differenza di altri autori, però, Zarcone estende l’indagine al proseguimento della vicenda cristologica (ruolo del fratello Giacomo, la resistenza antiromana in Palestina, movimenti ebraici di rivolta). Esamina poi le ricadute in campo teologico di queste interpretazioni storiografiche e approda infine ad una panoramica dei movimenti che direttamente o indirettamente hanno fatto riferimento a questa visione “combattiva” e politicamente “sovversiva” del Cristo. Prefazione di don Ferdinando Sudati.

P. Richard, Memoria del movimento storico di Gesù. Quaderno n. 6 della Fondazione  Guido Piccini,  Liberedizioni 2011, pp. 174 €      12,60

Pablo Richard cileno, fa parte del Departimento Ecuménico di Investigaciones, dirige da 40 anni il Movimento popolare della Bibbia per l’America Latina ed è uno dei fondatori della Teologia della Liberazione. Partendo dal movimento storico delle prime comunità cristiane prima dell’editto di Costantino il  libro si propone due obiettivi: il primo, rivolto ai credenti della Chiesa latinoamericana, è  quello  di dare uno strumento di interpretazione biblica fondato sulla centralità dell’uomo e sulla giustizia, sull’uguaglianza e sulla fraternità universali; il secondo è quello di una profonda riforma della Chiesa che abbia i suoi fondamenti nei veri valori umani, sociale e spirituali.  

 

S. Ciappi, L’uomo che non voleva morire.Storia di un pescatore di anime,  Gabrielli 2017, pp. 197 €      14,50

Si tratta di un saggio costruito attraverso un’originale rilettura degli ultimi capitoli del Vangelo di Marco. 

Il saggio si svolge tra considerazioni storiche e teologiche circa la figura di Cristo e con incursioni nella quotidianità attraverso le varie esperienze che l’autore ha fatto in qualità di criminologo nei luoghi della violenza e della sofferenza. 

L’autore alterna infatti una serie di capitoli dal sapore più prettamente attuale e psicologico intorno alla figura del padre, alla psiche, e alla mindfulness, a passaggi più prettamente esegetici e interpretativi. Discute intorno alla figura tutta umana di Gesù, riportando ipotesi, dati, informazioni spesso anche rare e di valore storico-esegetico.

A cura di M. Contu, M.G. Cugusi, M. Garau, Tra fede e storia. Studi in onore di Don Giovannino Pinna,  Aipsa 2014, pp. 327 €      14,00 Tra fede e storia. Studi in onore di Don Giovannino Pinna è il terzo quaderno della Fondazione “Mons. Giovannino Pinna”, che raccoglie una serie di saggi, curati da amici, ma soprattutto da studiosi e docenti provenienti da Italia, Malta, Norvegia e Portogallo, e dall’America Latina: Argentina, Cile e Uru-guay. I diciannove contributi ripercorrono alcuni dei principali filoni di ricerca seguiti da don Pinna nel corso della sua attività di sacerdote e di studioso: le vicende della storia della Chiesa e dei suoi pastori, alcuni dei quali divenuti venerabili, beati e santi; le migrazioni; la Chiesa e la società sarda; il tema della fede e dell’educazione delle famiglie; la salvaguardia del creato; i conflitti e le forme di schiavitù dell’uomo. 

P. Ricca, Dal battesimo allo “sbattezzo”. La storia tormentata del battesimo cristiano,  Claudiana 2015, pp. 343 €      19,50 Comune ai cristiani di tutte le chiese, il battesimo – come l’eucarestia – unisce e al contempo divide la cristianità: a partire da un’articolata indagine storica, Paolo Ricca riflette sui diversi argomenti teologici legati al tema e cerca di collocarlo in un orizzonte ecumenico, indicando, inoltre, in che modo potrebbe unire tutti i credenti in Cristo.

Questo libro si propone di raccontare le tappe principali della storia del battesimo e di chiarire, per quanto possibile, alcune questioni cruciali. Infine intende riflettere sul valore dei diversi argomenti teologici e situare il problema in un orizzonte ecumenico. 

P. Stefani, Sulle tracce di Dio, Qiqajon 2017, pp. 125 €      10,00

Si tratta di una raccolta  di  aforismi  suddivisa  in  due  parti  e  in  18 capitoletti che formano un insieme di spunti, guizzi, gocce di riflessione come li presenta l’autore nella sua premessa.

Si  potrebbe  dire,  citando  Qohelet  (libro  biblico amato e tradotto da Stefani), che questi aforismi sono «pungoli», «chiodi ben piantati» come sono sempre le parole dei sapienti. In effetti Stefani si può davvero annoverare in questa categoria, tra coloro cioè che, dal cammino della vita, hanno imparato  qualcosa  e  la  vogliono  offrire  al prossimo senza alcuna pretesa. Nei suoi pensieri si colgono uno sguardo profondo  e  una  sapienza  vissuta,  coltivati nelle vicende liete o tristi dell’esistenza (la famiglia, con figli e nipoti; gli incontri; gli amici, alcuni dei quali ormai scomparsi), simile per certi versi al saggio re di Gerusalemme.  Un  equilibrio  derivante  da  una  meditazione  interiore,  esigente  e  mai  scontata,  da  uno sguardo realistico sul mondo, da quella malinconia inevitabile quando si è consapevoli  del  trascorrere  del  tempo. (dalla recensione di Piergiorgio Cattani).

G. Battaglia, Le religioni e il male, Il canneto 2017, pp. 299 €      24,00 

Le religioni possono ancora rappresentare la risposta alle grandi domande umane? 

Il nuovo saggio di Gino Battaglia affronta questo tema ripercorrendo le varie posizioni assunte dal pensiero e dalla fede di fronte alle questioni fondamentali: bontà divina e dolore umano, onnipotenza di Dio e malvagità dell’uomo, sofferenza innocente e crudeltà della creazione, salvezza e peccato. È l’antica questione della teodicea, della giustificazione di Dio davanti a quella che è forse la più grande obiezione alla sua esistenza.

Dan Millman, Il ritorno del guerriero di pace. La scuola segreta,  Il punto d’incontro 2017,
pp. 254 €      14,90 Nel suo ultimo bestseller Dan Millman ci conduce attraverso una profonda indagine spirituale, per ritrovare il legame tra la vita quotidiana e la possibilità trascendente. Nel corso della sua ricerca, Millman si trasferisce da Honolulu al deserto del Mojave, a una animatissima città asiatica e a una foresta remota, fino a scoprire il mistero della scuola segreta. Mentre attraversa i continenti, apprende fondamentali lezioni che indicano la via verso una vita colma di ispirazione, nell’eterno presente. Lungo la strada, incontra personaggi incredibili, esplorando la natura della realtà, il sé, la morte e, infine, un segreto antico quanto le radici del mondo. 

Dalai Lama, Come vivere felici  in un modo imperfetto, Terrra Nuova 2011, pp. 219 €      14,00 

Suddivisa in 25 capitoli, l’antologia, realizzata con estrema cura da Alan Jacobs, raccoglie gli scritti più significativi di quello che è ritenuto uno dei maggiori maestri spirituali viventi, il cui insegnamento ha segnato profondamente gli ultimi cinquant’anni.

Abhayadatta, Vite degli ottantaquattro Siddha. Storie di antichi maestri tantrici,  tradotte e curate da E. Guarisco, Edizioni della Terra di Mezzo 2017, pp. 266 €      25,00 L’antico testo che qui si presenta raccoglie le vite di ottantaquattro Siddha, grandi maestri tantrici buddhisti.

Raccontate con semplicità e freschezza queste biografie intendono testimoniare l’essenza dell’insegnamento tantrico, in modo diretto e vivace, nello spirito anti-intellettualistico che fu proprio di questi illuminati capaci di destare meraviglia e stupore.

Un puntuale corredo di note esplicative e una complessa introduzione a cura del traduttore chiariscono e approfondiscono i passi connessi ad aspetti dottrinali specifici.

H. Joas, La fede come opzione. Possibilità di futuro per il cristianesimo, Queriniana 2013, pp. 272 €     25,00

Hans Joas, uno dei sociologi più influenti del nostro tempo, autore di numerose ricerche nell’ambito della sociologia della religione e di quella legata al pragmatismo americano, propone qui un’analisi accurata della situazione storica contemporanea in relazione al cristianesimo. Partendo col porsi il quesito se la secolarizzazione possa essere diretta conseguenza della modernizzazione, l’autore riesce, attraverso numerose sezioni dedicate tra l’altro al rapporto tra secolarizzazione e morale e alla religione stessa, ad elaborare un proprio pensiero sul futuro del cristianesimo; col diffondersi dell’incredulità, la fede sta diventando sempre più un’«opzione». 

J. Assmann, Il dio totale. Origine e natura della violenza religiosa, EDB 2015, pp. 56         6,00

Jan Assmann, nell’introduzione a questo suo breve ma corposo saggio sulla violenza religiosa, cita John Schmitt. Quest’ultimo afferma che solo nel caso critico della guerra, gli uomini si dissociano o si associano riguardo il principio dell’amico e del nemico. Secondo Schmitt è sempre il raggruppamento umano a essere decisivo: per lui il caso critico è la guerra e questa è il momento della verità; il politico è il totalizzante che elimina tutte le altre distinzioni. Anche le religioni uniscono e dividono gli uomini e pure in questi casi c’è un caso critico: ad esempio la collera di Dio può essere paragonata alla guerra per Schmitt: qualcosa che nella vita quotidiana è stato dimenticato ed è rimasto nascosto. Nella storia delle religioni ci sono molti esempi del genere, specie nella Bibbia. Tutti questi esempi sono in relazione con l’idea dell’alleanza: del patto stipulato fra Dio e il suo popolo, nell’ambito del quale il peccato contro Dio assume il carattere politico di una violazione del patto; in secondo luogo implicano tutti l’uso della violenza da parte dell’uomo, che individua i nemici di Dio. I concetti di alleanza e di fedeltà, in cui si radicano le rappresentazioni della gelosia divina e dello zelo umano per Dio, derivano dalla sfera politica. Nell’apocalisse, nella fine del mondo, il caso critico appare imminente: alla luce della semantica apocalittica, con la sua concezione del giudizio del mondo e distinzione fra salvezza e dannazione, viene offerta all’uomo, nel martirio, l’opportunità di collocarsi definitivamente dalla parte della salvezza ed entrare in paradiso. Si può parlare di religione totale, perché ad essa vengono subordinati tutti gli ambiti della cultura, che vengono regolati dalla Legge, la quale costituisce il fondamento dell’alleanza con Dio. Risultati della riflessione di Jan Assmann: il primo è la relazione evidenziata da Carl Schmitt fra violenza e caso critico come condizione nella quale la dialettica sempre esistente di associazione e dissociazione si trasforma nella distinzione di amico e nemico e, di conseguenza, in un principio totalizzante. 

Questa dinamica appartiene all’ambito della politica ma è penetrata, attraverso il concetto di alleanza ripreso dalla politica come modello del collegamento collettivo con Dio, nella religione che bisogna spoliticizzare e detotalizzare. Il secondo risultato è la relazione fra rivelazione e Scrittura: tornando al mondo antitetico di Carl Schmitt, dal quale è partita la riflessione, l’umanità non può condurre a nessuna guerra, perché essa non ha nemici. Questo induce noi oggi, all’epoca della globalizzazione, a considerarlo l’unica via d’uscita dal profetizzato scontro tra le culture. Dunque non parleremo più di religione né di umanità, perché il principio che relativizza le differenze religiose e culturali è un principio non religioso e si appella non a Dio e alla rivelazione ma alla ragione e al discernimento. (s.m.)

R. Vaneigem, Disumanità della religione. A cura di A. Babini e F. Battistutta,  Massari 2016, pp. 192 €      12,00 Per Vaneigem, con il termine “religione” si intende quel complesso di istituzioni, gerarchie, credenze, riti, scritti e dogmi, sorto come esito indiretto della rivoluzione neolitica in cui l’uomo, addomesticando animali e piante, alla fine ha addomesticato se stesso, divenendo sedentario, cittadino, produttore e infine consumatore. È all’interno di questa divisione del lavoro che sorge il ruolo degli specialisti del sacro, di mediatori tra l’umano e il divino, tra la vita e la morte, proprio delle caste sacerdotali che trovarono ben presto la loro collocazione sociale nel sostenere il potere costituito, giustificando e benedicendo lo sfruttamento in atto. (dall’introduzione di Federico Battistutta)

S. Pilieci, Dialogo tra un ateo e un cattolico. Due visioni del mondo contrapposte,  Kimerik 2017,
pp. 141 €      16,00 

Nel corso della storia è stata presentata un’estrema varietà di argomentazioni a favore o contro l’esistenza di Dio. Il dialogo che viene qui riportato esprime un tentativo semplice di risposta alle grandi domande irrisolte senza scomodare la filosofia e la teologia, ma partendo solo ed esclusivamente dall’esperienza.

E. Bernardi, B. Coccia, A. D’Angelo, L. Scoppola Iacopini, Credenti, non credenti: storia di un confronto politico, Apes 2016, pp. 373 €      25,00 Il libro non intende ripercorrere puntualmente le tappe storiche ma, più semplicemente, grazie all’impegno di valenti ricercatori, ricostruire alcuni passaggi ritenuti fondamentali nel dialogo talvolta fattosi scontro, tra credenti e non credenti nel nostro Paese.

J. Shelby Spong, M. López Vigil, R. Lenaers,
J. M. Vigil
, Oltre le religioni. Una nuova
epoca per la spiritualità umana,  Il segno dei Gabrielli 2016, pp. 239 €      16,50 

La tesi degli autori del libro è che le religioni così come le conosciamo siano destinate a lasciare spazio a qualcosa di nuovo aprendo all’insopprimibile dimensione spirituale dell’essere umano. C’è insomma – dicono gli autori del libro – tutto un mondo nuovo che cerca di venire alla luce se il cristianesimo riuscirà a liberarsi di dogmi, riti, gerarchie e norme, cioè di tutti quei rituali religiosi che, spesso e volentieri, hanno finito per sovrapporsi al Vangelo, soffocando la vita che Gesù ha difeso, a cui ha dato dignità.

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M. V. Fiorini, L’armonia universale, scoperte nelle piramidi le meraviglie di Maat, Priuli & Verlucca 2016, pp. 139 €     14,90

L’architetto ed egittologo Marco Virginio Fiorini per la prima volta in un libro racconta e svela la sostanza e la forma che gli egizi già conoscevano grazie alle loro profonde conoscenze matematico-geometriche e di cui  hanno lasciato molte tracce. Nel libro l’autore dà spazio anche alle tecniche utilizzate nella costruzione delle piramidi e alle loro finalità. Inoltre nel libro si parla di Maat, un’entità divina attinente ai concetti di verità, giustizia e ordine cosmico a cui tutti nell’ Egitto antico dovevano sottostare. 

B. Salvarani, La Bibbia di De André, Claudiana 2015, pp. 100             19,50 A oltre quindici anni dalla scomparsa Fabrizio De André continua ad essere apprezzato e ascoltato rimanendo al centro di un’amplissima fioritura di iniziative tanto da far pensare che il cantautore genovese sia riuscito a intercettare, soprattutto post-mortem, un grande bisogno di poesia e di legami sociali. Alla luce di una ricerca critica ormai cospicua, Brunetto Salvarani ripercorre le domande sulla religione e le tracce della Bibbia affioranti a più riprese nella produzione di De André di cui racconta la vita corsara e i temi chiave, intrecciando strettamente biografia e scelte artistiche.

Situazioni internazionali

Mosaico di pace, n. 1, gennaio 2016 €       3,50

Iraq 1991

Questo dossier è dedicato alla prima guerra del Golfo con interventi di: M. Correggia, R. Siciliano, F. Alberti, L. Bettazzi, L. Castellina, T. Dell’Olio, Don Tonino Bello.

Nell’editoriale di R. Sacco a questo numero della rivista l’invito «a operare concretamente contro la corsa alle armi, fermando l’industria e il commercio delle armi, compreso il sistema delle “banche armate”; uscire dal sistema dei cappellani militari; promuovere l’educazione alla pace nelle conmunità cristiane, nelle scuole, e nella società facendo memoria attiva dei volti di pace nonviolenta».  

Mosaico di pace, n. 6, giugno 2018 €       3,50

Fuochi incrociati in Medioriente 

Questo dossier a cura di Franco Dinelli parla del palcoscenico drammatico di guerre, violazioni di diritti umani e interessi economici e militari del Medioriente. In questo settore si ridisegnano equilibri, alleanze e giochi di parte tra potenze e Stati. Questo dossier offre chiavi di lettura di una complessa e intricata situazione geopolitica generale con un focus specifico sulle aree più calde come Siria, Egitto, Yemen e Palestina/Israele. 

F. Dinelli: Disordine mondiale; M. Dinucci: Le sette sorelle; F. Fracassi: Il dramma siriano; C. Cruciati: Un Paese dimenticato; F. Scaglione: Oltre il caso Regeni; N. Julini: La furia israeliana.

Adista, n. 10, 17 marzo 2018 

abbonamento annuale cartaceo €    75,00

L’articolo di U. Vitali: Prepotenze e morte nel Sud-Kivu parla della distruzione delle case, e dell’espulsione dai campi della popolazione di Mbobero, villaggio sulle colline alle porte di Bukavu, la capitale della provincia del Sud-Kivu, nell’est della Repubblica democratica del Congo. Sono circa 2500 persone senza casa, più di duecento abitazioni rase al suolo, perché il presidente Kabila vuole ampliare le terre di sua proprietà.

La rivista ritorna anche con il numero del 19 maggio 2018 a parlare  del Congo riportando una testimonianza dei religiosi comboniani nell’articolo Un paese abbandonato da tutti.

Il popolo congolese sta vivendo un’altra pagina insanguinata della sua tragica storia nel silenzio vergognoso dei media sia italiani che internazionali. 

La ragione di questo silenzio sta nel fatto che nella Repubblica democratica del Congo si concentrano troppi ed enormi interessi internazionali sia degli Stati Uniti come della Unione Europea, della Russia come della Cina. 

Il Congo infatti è uno dei Paesi potenzialmente più ricchi dell’Africa, soprattutto per i metalli utilizzati per le tecnologie più avanzate. 

Per questo oggi è destabilizzato in preda a massacri, uccisioni, violenze, soprusi, malnutrizione e fame.

A-rivista anarchica, n. 403, dicembre 2015-
gennaio 2016 €       4,00

A cura di O. Bellani si conclude con questo numero la serie di corrispondenze dal Chiapas inziate nell’estate 2014 e uscite su tutti i numeri per undici puntate. Su questo reportage si parla di frugalità, produzione e sviluppo, buen vivir, immaginario alternativo. 

A-rivista anarchica, n. 416, maggio 2017 €       4,00

G. Raimondi nell’articolo sul Chiapas riprende il discorso sulle ultime scelte zapatiste: la candidatura di una donna indigena alle elezioni presidenziali del 2018 in Messico.

Spagna contemporanea, n. 50, 2016   €     25,00

La questione catalana 

In questo dossier articoli di: J. Beramendi: Nazione e nazionalismo in Catalogna, 1808-1936; C. Molinaro, P. Ysàs: Il problema catalano, il problema spagnolo. Dal franchismo alla democrazia; J. L. M. Ramos: Il movimento operaio in Catalogna e la questione nazionale; J. Figuerola: Chiesa, cattolicesimo e questione catalana; P. Lo Cascio: Le commemorazioni del 1714 e del 1914 nella narrativa politica e istituzionale catalana; D. Serapiglia: Barca, més que un club: le radici del catalanismo blaugrana nel contesto della sportivizzazione spagnola; S. Forti: Gli storici e l’indipendenza catalana: il dibattito sulla stampa (2012-2016); M. di Giacomo: Musealizzare il passato: Il sistema catalano.

Il becco, n. 3, marzo 2016

Easter rising. 

Il centenario, la memoria, il futuro. 

Nel 2016 l’Irlanda e gli irlandesi (i due termini non sempre indicano la medesima cosa) hanno celebrato il centesimo anniversario della Rivolta di Pasqua, il tentativo – coraggiosamente visionario e militarmente sconclusionato – di un gruppo di patrioti, capeggiati da James Connolly, di liberarsi dal dominio straniero e dare una patria a tutti i nati sull’Isola d’Irlanda. È una storia complessa, quella precedente e successiva all’Easter Rising: una storia nella quale si intrecciano questioni economiche, religiose, politiche e sociali in un’Isola quanto mai ricca di differenti culture.

È in un questo oceano di contraddizioni che nasce e si sviluppa l’idea repubblicana sposata dai cattolici ma partorita dal protestante Theobald Wolfe Tone. Intervista a Riccardo Michelucci e articoli di: D. Gasparo, J. Vannucchi, N. Bassanello e L. Croatto.

R. Michelucci, Bobby Sands. Un’utopia irlandese, Clichy 2017, pp. 120 €       7,90

L’autore racconta la storia di Bobby Sands, un eroe che si è battuto per i diritti dei repubblicani dell’Irlanda del Nord. Ne ripercorre le vicende a partire dall’infanzia, quando Bobby bambino soffre vedendo la mamma piangere e sogna di diventare ornitologo osservando gli uccelli e la natura. Solo nella prima adolescenza può capire bene quello che succede per le strade del suo paese: manifestazioni con repressioni violente da parte della polizia, teppisti protestanti che picchiano militanti e studenti. Bobby si sente vicino fin da subito a quella lotta per i diritti dei repubblicani e ne prende parte fino a diventare militante dell’Ira. Ma è dal blocco H del “Maze”, penitenziario di Long Kesh, che compie la sua rivoluzione. Scrive Michelucci: «Eri un prigioniero di guerra e da anni te ne stavi in cella nudo pur di non indossare quell’uniforme carceraria che avrebbe svilito la tua lotta. Dietro a quelle sbarre hai scoperto di possedere una forza di volontà capace di cambiare il mondo».
In carcere si concentra sulla lettura della storia irlandese, scrive poesie e articoli e coltiva la sua passione per l’ornitologia, osservando gli uccelli da dietro le sbarre. Nelle pagine del diario di prigionia si paragona all’allodola, perché anch’essa ha, come lui, lo spirito della libertà e della resistenza, secondo una storia popolare raccontatagli da suo nonno. Bobby coinvolge i detenuti negli scioperi della fame, per reclamare i diritti, primo fra tutti il riconoscimento di prigioniero politico per i detenuti dell’Ira e, anche attraverso i suoi scritti, che in qualche modo escono dal carcere, ottiene grande consenso fra la gente. Muore ventisettenne, dopo uno sciopero della fame di sessanta giorni. Scrive Séanna Walsh, un’attivista irlandese, che diventò amico di Bobby a Long Kesh: «Sapeva che gli inglesi non avrebbero avuto pietà eppure aveva fiducia che i compagni che sarebbero venuti dopo di lui e un’intera generazione di giovani che ancora doveva nascere, avrebbero garantito il suo obiettivo, il suo sogno». (s.m.)

M. Tatsos, La ragazza del Mar Nero. 

La tragedia dei greci del Ponto, Paoline 2016

pp.211 €      15,00

All’inizio del secolo scorso, circa settecentomila greci vivevano sulle sponde del Mar Nero. Di fede cristiano-ortodossa, avevano salvaguardato la loro identità etnica, culturale e religiosa, pur facendo parte dell’Impero ottomano, in una situazione di convivenza pacifica. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, tutto cambiò. Prima il genocidio degli armeni (1915), quindi la persecuzione dei greci e degli assiri. La politica attuata tra il 1916 e il 1923 nei confronti dei greci del Ponto portò a massacri, deportazioni, marce forzate in pieno inverno, arruolamento degli uomini in battaglioni di lavoro. 

Dei settecentomila abitanti originari, circa la metà trovò la morte, mentre i sopravvissuti fuggirono in Grecia.

La giornalista Maria Tatsos ci racconta la storia di una di loro: Eratò Espielidis (1896-1989), nata sulle sponde del Mar Nero a Kotyora (l’odierna Ordu), e della sua famiglia. La vicenda personale e quella di un popolo sono raccontate dalla Tatsos al tempo stesso con l’obiettività della studiosa e la passione di chi è direttamente coinvolto.

G. Gabellini, Ucraina. Una guerra per procura, Arianna 2016, pp. 335 €     14,50

Questo volume indaga le ragioni che stanno alla base della cronica instabilità ucraina ed evidenzia come le contraddizioni interne al Paese vengano regolarmente sfruttate dalle maggiori potenze mondiali a proprio vantaggio.

A cura di F. Anghelone e A. Ungari,Atlante geopolitico del Mediterraneo 2016,
Bordeaux 2016, pp. 409 €      20,00

Questo volume dell’Atlante Geopolitico del Mediterraneo cerca di rispondere sul perché  il terrorismo di matrice islamica ha compiuto un salto di qualità rispetto ad Al Qaeda, occupando ampie porzioni di territorio tra la Siria e l’Iraq come hanno dimostrato gli attentati alla sede di Charlie Hebdo e quello al Bataclan che  sono diventati i simboli di un terrorismo che colpisce ormai indiscriminatamente sul suolo Europeo così come nei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente 

L’edizione 2016, oltre a saggi di appro-fondimento che analizzano il fenomeno dell’Isis, presenta 11 schede relative agli Stati della sponda sud del Mediterraneo. Ogni scheda è composta da una parte storica e da una relativa all’attualità politica, economica e sociale del paese preso in esame. 

A cura di F. Anghelone e A. Ungari,Atlante geopolitico del Mediterraneo 2017,
Bordeaux 2017, pp. 384 €      20,00 

La Turchia, una volta alleata di ferro dell’Occi-dente, dopo il tentato golpe dei militari è alle prese con una svolta autoritaria di stampo islamista. La Russia è sempre più protagonista in Siria, al fianco del regime di Assad. 

Il terrorismo di matrice islamica continua a colpire l’Europa con attentati feroci e sanguinosi. L’autoproclamato Stato Islamico continua a spargere la propria scia di odio e di sangue in Siria, in Iraq e in molti altri paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. L’edizione 2017, oltre a saggi di approfondimento sul fenomeno dei Foreign fighters e sulla politica mediterranea dell’Unione europea, presenta 11 schede relative a ogni Stato preso in esame. 

V. Poletti,  L’incendio del medioriente, le connessioni inattese. Le primavere arabe, gli Stati Uniti, l’Islam politico, Prospettiva editrice 2015, pp. 172 €     14,00

Il testo esamina lo svolgersi degli eventi riguardo alle Primavere arabe in Tunisia, Egitto e Bahrein, alle guerre civili in Yemen e in Libia, alla rivoluzione siriana e alla insurrezione in Iraq. Lo scritto analizza le convergenze tra la strategia americana in Medio Oriente e i disegni di espansione dell’Islam politico, le relazioni tra le Amministrazioni statunitensi e le organizzazioni islamiste, le connessioni tra gli organismi collegati al governo degli Stati Uniti e i raggruppamenti degli oppositori ai regimi del Medio Oriente e del Nord Africa, il ruolo della Repubblica Islamica dell’Iran.

A cura di “Osservatorio Iraq” e “Un ponte per…”,  Rivoluzioni violate. Cinque anni dopo: attivismo e diritti umani in Medio Oriente e Nord Africa, Edizioni dell’asino 2016,
pp. 162 €     12,00

Da anni ormai le guerre civili in Medio Oriente e in Africa settentrionale sono al centro dell’attenzione mondiale. Guerre architettate con secondi fini dai governi che sacrificano la popolazione per il monopolio dei giacimenti petroliferi arabi e africani. In questo libro si raccontano gli attentati, i massacri compiuti dalle milizie dei jihadisti più influenti ma anche la risposta delle persone attraverso manifestazioni e sollevazioni popolari. 

“Siria. C’era una volta un paese” si intitola uno dei capitoli: oramai non rimane che un inferno di distruzione dopo i bombardamenti, tutti guardano la morte in faccia ogni giorno. C’è voglia di libertà e di cambiamento. 

Il testo, curato da “Osservatorio Iraq”, progetto editoriale indipendente di libera informazione, e da “Un ponte per…”, un’organizzazione di volontariato che è attiva su scala internazionale, fa una ricostruzione critica di questi conflitti, ripercorrendo anno per anno i rapidi movimenti del Califfato e dell’estenuato fronte ribelle.

S. Dabbous,Come vuoi morire? Rapita nella Siria in guerra, Castelvecchi 2014, pp. 186 €      14,50 

Il 3 Aprile del 2013 la giornalista Susan Dabbous è stata rapita in Siria insieme ai suoi tre colleghi. Rinchiusa inizialmentre in una casa prigione viene successivamente trasferita in un appartamento con una donna, il cui compito è quello di insegnarle a pregare e di islamizzarla. È sempre con lei che Susan è costretta a riflettere sulla domanda che le viene posta ogni giorno, domanda che darà anche il titolo al libro,: “Qual è la tua morte preferita?”. L’autrice descrive passo per passo la sua terribile esperienza come ostaggio in Siria, mostrando la situazione interna del paese prima e dopo la guerra. 

G. Alizzi, Sham sham. Persone cose e luoghi siriani, Mesogea 2016, pp. 134 €      19,50 

Al ritorno da un viaggio in Siria cominciato nel 2010 per ragioni di studio e conclusosi poco prima delle proteste antigovernative del 2011, Giuseppe Alizzi ci parla in questo taccuino di viaggio di luoghi, persone e cose di una Siria che non c’è più e potrebbe non esserci mai più.

R. Sirignano, La mia Siria. L’umanità che resiste, Villaggio Maori 2018, pp. 137            14,00 

Rosanna Sirignano ha avuto modo di vivere la Siria per  gran parte della propria vita. In questo libro sono raccolte testimonianze sulla terribile situazione siriana da sette anni teatro di sanguinosi scontri. Le storie parlano di quotidianità, quelle quotidianità stravolte prima dal regime dittatoriale, poi dalla guerra, scontri che parlano di oppressione e libertà, di censura, di dolore, di separazione, di perdite. 

Il libro ha lo scopo di sensibilizzare il lettore sul lato umano della questione, aggiungere punti di vista, scardinare pregiudizi, talvolta fa ridere, talvolta commuove, per ridare umanità ad un tema che spesso i mezzi di comunicazione hanno reso sterile.

C. Glass, La Siria brucia. L’Isis e la morte della primavera araba, Stampa alternativa 2016, pp. 109 €     15,00 

Dalle origini, nel bel mezzo della Primavera araba del 2011, la guerra civile siriana è costata più di 270.000 vittime e si calcola che 8 milioni di siriani, più di un terzo della popolazione del paese, sia stato costretto ad abbandonare le proprie abitazioni. Le radici profonde di questo conflitto non sono mai state capite bene in Occidente, soprattutto dal governo degli Stati Uniti e da quelli europei che, prevedendo una rapida uscita di scena di Assad, ne hanno fatto una condizione irrinunciabile per qualsiasi negoziazione. Le conseguenze di questo errore di calcolo, afferma Charles Glass nella sua analisi, hanno dato un grande contributo al disastro oggi in corso sotto i nostri occhi.

 
T. Anderson, La sporca guerra contro la Siria. Washington, regime e resistenza, Zambon 2017, pp. 272 €      16,80 Benché tutte le guerre facciano ampio uso di menzogne e inganni, la guerra sporca contro la Siria ha fatto affidamento su un livello di disinformazione di massa mai visto a memoria d’uomo. Una propaganda che si attiene tipicamente a un modello deprimente nella sua prevedibilità fatto di demonizzazione del leader nemico, seguita dalla demonizzazione del popolo nemico attraverso racconti di atrocità, reali o immaginarie. Ancora oggi, molti immaginano il conflitto siriano come una «guerra civile», una «rivolta popolare» o una sorta di scontro confessionale interno e tali miti rappresentano un successo delle grandi potenze che hanno condotto negli ultimi quindici anni una serie di operazioni di cambio-regime nella regione mediorientale.

P. Bourdieu, In Algeria. Immagini dello sradicamento, Carocci 2012, pp. 312 €     37,00 

Il volume raccoglie fotografie scattate dal giovane Pierre Bourdieu in Algeria durante la guerra di indipendenza (1954-1962).

L’Autore, uno dei maggiori scienziati sociali del XX secolo, viene mandato nel paese maghrebino per svolgere il servizio militare, e lì rimarrà dal 1955 al 1959. Sotto l’impulso di un grande desiderio di conoscenza, egli avverte una grande curiosità e un genuino trasporto nei confronti della popolazione algerina, e le fotografie scattate raccolte in questo volume, accompagnate da lunghi estratti dei suoi scritti di argomento algerino, sono espressione di una grande partecipazione emotiva nei confronti di una realtà a lui fino a quel momento sconosciuta. Una volta immerso nel caleidoscopio della guerra coloniale, percepisce un’attrazione fortissima per gli ambienti, gli stili di vita, le pratiche di lavoro e gli universi mentali di una popolazione con la quale viene in contatto del tutto casualmente. Desiderio appagato mettendo a valore l’occasione di essere “sul campo” e di poter quindi ascoltare, guardare, registrare, incontrare, fotografare direttamente un oggetto di ricerca per lui inedito.

Le fotografie di Bourdieu ci permettono di condividere il suo sguardo sul mondo sociale da un’angolazione nuova. È in Algeria che nasce, verso la fine degli anni Cinquanta, la vocazione di Pierre Bourdieu per il mestiere di sociologo. Queste fotografie sono la testimonianza di un viaggio di iniziazione e di una conversione profonda all’origine di una traiettoria scientifica e intellettuale straordinaria.

Se il cuore delle fotografie è lo sradicamento inferto dalla politica coloniale, intorno, tuttavia, emerge il tema dello spazio di possibilità aperto dalla rivoluzione, che sembra incrinare alcuni rapporti di dominio tanto tra algerini e francesi, quanto all’interno della stessa società tradizionale araba. (l.c.)

C. Pianciola, La guerra d’Algeria e il “manifesto dei 121”, Edizioni dell’asino 2016, pp. 64
      8,00 Nel 1960 un gruppo di intellettuali sottoscrive

il “manifesto dei 121”, che denuncia la brutale repressione e l’uso sistematico della tortura praticata dall’esercito francese in Algeria e solidarizza con l’insubordinazione alle gerarchie militari e con il sostegno alla causa della indipendenza algerina. È un episodio della storia politica e culturale del Novecento da rimeditare nella sua complessità. Chiude il libro la testimonianza di Louisette Ighilahriz, algerina militante all’epoca nel Fronte di liberazione nazionale.

G. Franchi e L. Manes, Che cosa c’è da nascondere nella valle dell’Omo. Le mille ombre del sistema Italia in Etiopia, Re:common 2016, pp. 47           s.i.p. Un’analisi e una spiegazione eterodossa del cosiddetto “Sistema Italia”, basato sulla sinergia tra pubblico e privato, a partire dal ruolo che la nostra cooperazione gioca in contesti come quello etiopico. E ancora una denuncia della crescente repressione portata avanti dal governo di Addis Abeba nei confronti di ogni forma di dissenso e delle politiche di sviluppo, che si intrecciano con faraonici progetti infrastrutturali spesso contrassegnati da forti interessi italiani. Come nel caso delle dighe nella Valle dell’Omo, località dove è impedito l’ingresso a tutti.

(Re:Common è un’associazione che fa inchieste e campagne contro la corruzione e la devastazione dei territori in Italia, in Europa e nel mondo. Contatti:  www.recommon.org, info@recommon.org)

A. Tonelli, Lettere dalla Somalia 1985-1995, EDB 2016, pp. 287 €     18,00

Annalena Tonelli partì per il Kenya nel 1969 e ha vissuto nel deserto del nord-est per 17 anni. Trasferitasi successivamente in Somalia ai tempi della guerra civile, è stata uccisa a Brama, nell’ospedale in cui curava malati di tubercolosi e di Aids. 

Il volume raccoglie le lettere inviate dalla Somalia nel periodo 1985-1995 a familiari e amici. In quel Paese, dilaniato dalla guerra civile, la missionaria italiana ha operato per dieci anni tra Belet Weyne, Mogadiscio e Marka. La sua azione di promozione umana consiste nello sfamare i più deboli, curare gli ammalati e ricostruire scuole per dare a tutti una speranza. La sua è una vita di preghiera, di servizio, di fraternità, spesa interamente per gli altri e con gli altri.  (l.c.)

G. Battiston, Arcipelago Jihad. Lo Stato islamico e il ritorno di al-Qaeda, Edizioni dell’asino 2016, pp. 188 €     12,00 

Questo libro racconta una storia del jihad, la più rappresentativa oggi. Inizia tra la Giordania e l’Afghanistan alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, passa per il Medio Oriente e finisce nel cuore dell’Europa ai giorni nostri. 

Ruota intorno ad alcuni personaggi principali, incluso il sedicente Califfo Abu Bakr al-Baghdadi e la vecchia guardia della leadership qaedista, Osama bin Laden e il suo successore Ayman al-Zawahiri. È una storia contrassegnata dalla diffusione del salafismo-jihadista, da un parricidio e da una sanguinosa contesa per l’egemonia del jihad in cui si combinano elementi ideologico-dottrinali, interessi prosaici, scelte strategiche, pressioni esterne e rivalità personali. 

D. Pepino, Nell’occhio del ciclone. La resistenza curda tra guerra e rivoluzone, Tabor 2014, pp. 31                       2,00 

Nell’incendio che dilaga in Medio Oriente, l’ordine imperiale si sta sgretolando. Crollano gli Stati nazione, si sfaldano le frontiere, nuove e vecchie forze si affrontano tra le macerie dell’ordine capitalistico. Chi sta davvero combattendo sul campo le forze dello Stato islamico e le mire delle potenze capitalistiche, sono le forze del PKK e del PYD, alla guida di un movimento popolare, dal basso, fatto di uomini e donne, che oltrepassa le frontiere nazionali, etniche, religiose. È un processo rivoluzionario quello in atto in Rojava (nord-Siria, Kurdistan occidentale),
una rivoluzione della quale, come troppo spesso accade, i rivoluzionari sono gli ultimi ad accorgersi.

 
E. Battaglia, I nuovi volti del Mediterraneo.Dalle guerre altrui in terra di nessuno alla resistenza del popolo curdo, Erranti 2016, pp. 239
                                                    12,00 

Il lavoro di Elma Battaglia indaga le singole vicende e le relazioni socioculturali e politiche esistenti tra i Paesi di una vasta area geografica, che dalle Colonne d’Ercole di Gibilterra giunge all’estrema propaggine della Turchia, passando per il Maghreb.

Grazie ai fermenti presi in considerazione, politici, ma anche sociali, culturali e religiosi, il Mediterraneo è stato scenario di una serie di processi inediti, capaci di mettere in discussione il modello eurocentrico di sviluppo e gestione della cosa pubblica. In questa ricerca, le varie fasi e gli argomenti trattati vengono articolati seguendo la carta geografica del territorio. Il libro, articolandosi in quattro parti, nella prima esamina l’area del Maghreb in seguito alla crisi del 2008, soffermandosi in particolare sulle Rivolte arabe nei loro diversi aspetti, partendo dalla Tunisia fino alla Libia, e ponendo l’accento sulle cause e le conseguenze economiche, politiche e sociali che esse hanno avuto sulla sponda sud del Mediterraneo. Vengono inoltre affrontate e analizzate le crisi siriana e irachena, i conflitti interni tra sciiti e sunniti e la diffusione dei fondamentalismi islamici, fino ad arrivare alla nascita dello Stato islamico.

Nella seconda parte si affronta la questione della Repubblica turca, dalla sua formazione ed evoluzione nel contesto mediorientale ed europeo. Oggi come ieri, la Turchia rappresenta uno dei Paesi “democratici” più controversi in materia di diritti e riconoscimento delle minoranze. All’interno del contesto turco si inserisce la questione curda che, analizzata nella terza e nella quarta parte del volume, anche grazie ad una ricerca maturata sul campo sia nelle aree del Kurdistan turco che a Istanbul, ha avuto rilevanza internazionale dagli anni Ottanta in poi, ma che da quasi un secolo vede questo popolo diviso in quattro stati e costretto a subire continue persecuzioni da parte di governi autoritari e nazionalisti. In queste ultime due parti viene tracciata una breve storia dei rivolgimenti storici e politici che hanno visto protagonisti il popolo curdo e la nazione turca, e viene sottolineato come la questione curda in Turchia sia soprattutto problema politico ed economico. Vengono approfondite le vicende politiche legate al PKK e al suo leader Ocalan. Questo libro rappresenta una testimonianza diretta importante; impreziosito da uno sguardo ampio su tutto il Mediterraneo, ha il merito di offrire un contributo fondamentale nella lettura della questione curda. Il popolo curdo basa la sua ideologia dominante sul sistema del confederalismo democratico. Il paradigma del confederalismo democratico consiste nel perseguire i principi di libertà democratica, ecologica e di genere. In diverse regioni del Kurdistan si stanno sperimentando e mettendo in pratica nuove forme di esercizio del potere  fondate sull’autogoverno. 

La rilevanza a livello geopolitico di quest’area e soprattutto l’autodifesa messa in atto dai combattenti curdi contro lo Stato islamico, sono i segnali che questo popolo potrebbe determinare gli equilibri di un nuovo assetto della Mezzaluna Fertile.

Il volume è corredato da un’appendice fotografica che documenta la vita politica e sociale del popolo curdo oggi. (l.c.)

G. Breccia, Guerra all’Isis, Diario dal fronte curdo, Il Mulino 2016, pp. 210 €     16,00 

Gastone Breccia ha voluto raggiungere le zone del conflitto e raccontare quanto ha visto in questo libro-reportage. I curdi sono il più numeroso gruppo etnico senza un proprio stato, pur essendo la quarta popolazione del Vicino Oriente, dopo arabi, turchi e persiani. Sono più di 28 milioni, vivono fra Turchia, Iraq, Iran e Siria e si battono divisi tra peshmerga del KRG (Kurdistan Regional Government iracheno) e reparti militari delle fazioni-partito, PKK e PYD, costituendo una specie di esercito leggero, capace di condurre una guerra convenzionale contro le milizie dell’ISIS. È una tragedia che si è abbattuta con violenza soprattutto sulla popolazione civile dell’ovest iracheno e della Siria.

C. Galal, Cairo calling. L’underground in Egitto prima e dopo la rivoluzione, Agenzia X 2016, pp. 279 €     15,00

Il Cairo, città dalla civiltà millenaria, dalla posizione strategica nel settore più delicato della scacchiera geo-politica internazionale, è il fulcro su cui si snoda la narrazione di Claudia Galal. E Il Cairo, megalopoli dove si concentrano le contraddizioni e le disuguaglianze più atroci del nostro presente, ci chiama chiedendo attenzione e solidarietà, in un momento così oscuro della sua storia attuale.

Questo libro, scritto da una donna italiana con padre egiziano, ripercorre i cinque anni trascorsi dalla rivolta del gennaio 2011, fino ai giorni nostri che vedono al potere il dittatore El Sisi, artefice di una delle stragi più feroci della storia moderna, il 18 agosto del 2013 in piazza Rabaa, a Il Cairo.

Ripercorrendo mentalmente le vicende dell’E-gitto di questi ultimi anni, l’Autrice ci lascia un appassionato diario personale che segue tappa dopo tappa la rivoluzione innescata da piazza Tahrir e la sua caduta nell’infernale e paranoico stato di polizia di El Sisi.

È questo un memoir affettivo nel quale si intrecciano fatti di cronaca, vicende personali, luoghi, incontri, immaginari e riflessioni.

Si sente il travaglio di una giovane donna alle prese con la sua mezza identità egiziana, in questo volume,  che cerca di comprendere la realtà egiziana di questi ultimi anni attraverso le voci dei parenti in Egitto, dei tanti amici writer o musicisti che grazie a skipe o a telefonate la rendono partecipe della speranza o del terrore che essi vivono a Il Cairo. Poi due viaggi in Egitto con il registratore in mano a cercare artisti che vivono e lavorano lì, per sapere cosa sentono e sognano i giovani egiziani.

Con la determinazione propria di Claudia Galal, si può sentire il respiro del Nilo, il vento che soffia su piazza Tahrir e per i quartieri popolari, ma soprattutto si ascoltano le voci di una scena controculturale in fermento che tenta ancora oggi di organizzare battaglie in nome della libertà d’espressione e per la parità dei diritti. Sono inoltre presenti nel libro fotografie scattate dall’Autrice e da altri fotoreporter a Il Cairo, che ci rendono visivamente partecipi della vita in questa città oggi. Fotografie soprattutto di murales e concerti, espressione di una scena underground ancora in piena espansione. (l.c.)

R. Casement, Il rapporto sul Congo, Fuorilinea 2011, pp. 187                    16,00

Questo libro è la puntuale ricostruzione fatta dall’irlandese Roger David Casement, diplomatico al servizio di Sua Maestà britannica, incaricato di recarsi in Congo in seguito all’insistenza delle voci riguardo le atrocità da parte dei belgi ai danni dei nativi. 

Casement scopre che da anni è in atto un genocidio, infatti in alcuni villaggi un tempo popolosi, la popolazione è diminuita fino al 98%. Casement ascolta le testimonianze dei sopravvissuti sui massacri e le violenze subìte, e annota ciò che vede, riportandolo nel famoso rapporto che presenta al parlamento britannico nel 1904. 

È un testo eccezionale per il suo valore storico  e morale, in quanto scritto da uno dei primi europei che fa una analisi sulla realtà del colonialismo. 

G. Flego, Un milione di vite. Un medico ricorda il genocidio in Rwanda, Terre di Mezzo Editore 2015, pp. 128        12,00

L’autore riporta in questo volume il suo diario di ricordi sul genocidio dei Tutsi in Rwanda. L’autore all’epoca dei fatti, nel maggio del 1994, aveva trent’anni e stava tornando da cinque anni in Africa. Aveva vissuto per tutto quel periodo nelle zone rurali del sud del Ciad, era innamorato del Sahel, del suo lavoro di medico e di ogni cosa dentro e intorno a lui, stava mettendo in pratica i frutti di ciò che aveva imparato all’università. A fine maggio Gaddo Flego si fece assegnare una missione breve e urgente da un’associazione umanitaria che corrispondeva a dire “voglio andare in Rwanda”. Scrive: «Un milione di vite in attesa di una telefonata che sarebbe sicuramente arrivata e mi avrebbe detto dove e quando ritirare un biglietto aereo e fare il check-in, un lasciarsi andare tra Genova, Bruxelles e Africa, tra aeroporti, pensioni e maisons de passage. 

E poi riparto e dopo un po’ arrivo a Entebbe, l’aeroporto di Kampala, in Uganda, e sono passato 20.000 metri sopra quello che per tutti è un buco nero, non ancora il posto dove si consuma un orrore indicibile». Attraversa l’Uganda a bordo di una delle classiche gip delle organizzazioni umanitarie, fino ad arrivare in Rwanda e racconta: «Il Rwanda è piccolissimo, il paese è diviso in due. È un attraversamento cupo, le strade sono pessime, i villaggi sono rovine di case incendiate e distrutte. L’inquietudine del viaggio è soprattutto legata al costante avvertire la presenza di una non violenza che si manifesta». Il medico nel diario racconta poi le emozioni e le esperienze vissute in prima linea, presso l’ospedale di Nyamata: ricorda le condizioni dei malati, la cooperazione con gli altri volontari, la difficoltà di far fronte ai bisogni primari, il clima della guerra, gli scempi quotidiani ecc. (s.m.)

E. Susani, All’ombra del baobab. Racconti di un volontario in Africa, Edizioni Dalla Costa 2013, pp. 261 €      12,00

I sessantacinque racconti di questo libro sono di fatto un diario dell’Autore che ha vissuto per lunghi periodi in Africa; dai primi appunti di quarantacinque anni fa in Sierra Leone, a quelli successivi in Somalia, fino ai più recenti in Mali.
Dalla prima avventura in Sierra Leone, per passare poi in Somalia, Senegal, Marocco, Mozambico, fino all’ultimo viaggio, i racconti completano e danno forma e bellezza ai suoi appunti che fissano situazioni, personaggi, emozioni, aspetti di vita quotidiana, e cambiamenti in atto. Nella postfazione Riccardo Borghi, presidente della sezione di Opera di Unitre, traccia un accorato profilo della personalità dell’uomo e dell’amico Susini e scrive: «Eugenio con la sua vita e i suoi scritti ci ha lasciato un esempio alto di amore integrale per gli oppressi del mondo, di dedizione a un ideale pratico di giustizia e di emancipazione».

Nel volume sono inoltre presenti le cartine dei luoghi descritti, un repertorio di immagini e un approfondito apparato di note. 

M. Seoane e H. R. Nuñez, La notte dei lapis, Portatori d’acqua, pp. 204 €      14,00

La feroce dittatura argentina è l’argomento di questo libro, ma la materia della “notte dei lapis” è per lo più composta dai desideri e dai sogni che i desaparecidos non hanno potuto realizzare. Questo libro vuole essere il manifesto di una generazione che ha lottato strenuamente contro il Potere pagando un prezzo altissimo: essere completamente can-cellata. La testimonianza diventa essenziale perché i desaparecidos possano continuare a vivere nel presente e nel futuro; il solo luogo dove ciò è possibile è la memoria, una memoria che non sia falsificata ma ricordo attivo.

C. Bustos, Il Che vuole vederti. Le guerriglie di Masetti in Argentina e del Che in Bolivia viste dall’interno, Massari 2015, pp. 318 €     20,00 Ciro Bustos è nato a Mendoza (Argentina) nel 1932. Diplomatosi all’accademia di Belle Arti, ha svolto attività di pittore, grafico e disegnatore.
Nel 1961 incontra il Che a Cuba e viene chiamato a far parte del gruppo guerrigliero che, sotto la direzione di Jorge Ricardo Masetti, avrebbe tentato di avviare la guerriglia a Salta, nel Nord dell’Argentina (1963-64). 

Le drammatiche vicende interne e i meccanismi che portarono alla distruzione dell’Ejército guerrillero del pueblo, vengono qui raccontati per la prima volta dall’interno. 

Sopravvissuto alla sconfitta di Salta, Bustos viene scelto di nuovo dal Che per l’impresa boliviana (1967). Catturato insieme a Régis Debray, riceve una condanna a 30 anni di carcere. Amnistiato nel 1970, da allora vive esiliato in Svezia. Con queste memorie Bustos descrive due pagine della storia guerrigliera che nel bene e nel male hanno condizionato tutti i successivi sviluppi della storia latinoamericana.

C. Fanti, S. Romagnoli, M. Correggia, La lunga marcia dei senza terra. Dal Brasile al mondo, EMI 2014, pp. 222 €     17,00

Il Movimento dei lavoratori rurali senza terra (MST) è oggi uno dei più significativi movimenti sociali brasiliani e dell’America latina.

La loro lotta si inserisce nella traiettoria storica dei movimenti contadini brasiliani e latinoamericani che, durante il XX secolo, hanno instancabilmente perseguito l’obiettivo di una riforma agraria con l’assegnazione della terra a tutti i lavoratori rurali, continuamente contrastati dalla dittatura militare che si è sempre opposta con forza al diritto elementare di milioni di contadini ad avere un pezzo di terra di proprietà, perpetrando massacri di agricoltori che hanno dato la vita per una società più libera e più giusta.

Il movimento non è nato per iniziativa di partiti politici; dalla sua fondazione rivendica l’autonomia politica da partiti, chiese, stati e governi. E sostiene anche l’alleanza di classe tra tutti i contadini e i lavoratori della città.

L’MST riunisce oggi circa seicentomila famiglie che nel corso degli anni hanno conquistato la terra. Tuttavia, vi sono ancora in Brasile più di quattro milioni di famiglie di lavoratori senza terra, molte delle quali espulse dalle loro terre per l’avidità del latifondo, l’espansione dell’agrobusiness e la costruzione di dighe per la produzione di energia elettrica.

L’MST è anche un movimento di iniziative e proposte. Molti dei suoi insediamenti rurali si sono trasformati in veri laboratori di una futura società in cui vengono sviluppati progetti cooperativi di agroecologia, agroindustrie, piante medicinali, semi non OGM. 

Inoltre, è anche un movimento di formazione, di qualificazione culturale dei propri militanti e dei bambini nati e cresciuti negli accampamenti e negli insediamenti. L’MST rivolge le proprie energie verso una reale democratizzazione dell’educazione in ambito rurale, con un’ampia rete di scuole dei campi nelle quali i figli dei contadini imparano a leggere e a scrivere a partire dalla realtà in cui vivono. 

Questo libro è una delle opere più solide e ben documentate sul movimento degli agricoltori senza terra, soprattutto per il fatto di avere come fonti primarie le testimonianze di militanti protagonisti di tale storia.

Le Autrici contestualizzano l’MST nella storia del Brasile, ricordando le lotte sociali dal tempo della colonizzazione portoghese, iniziata ai primordi del XVI secolo, fino ad arrivare all’attuale congiuntura politica ed economica, analizzando le tese relazioni tra l’MST e i governi Lula e Dilma. 

In ambito internazionale, l’MST ha da sempre aiutato le organizzazioni di agricoltori di più di cento paesi, contando su un’ampia rete mondiale di solidarietà, e la sua consulenza è richiesta ovunque ci siano lotte contadine e riflessioni sul futuro della terra.

Questo volume è un importante documento storico, politico e culturale. È una testimonianza che ci rivela come persone e famiglie impoverite, sprovviste di beni essenziali come terra e abitazione, siano capaci di trasformarsi in soggetti della storia e in interlocutori che nessun governo o forza politica ed economica può permettersi di ignorare. (l.c.)

Il Saccheggio, Racconti dal Chiapas e dal mondo passando per i banchi della “Buona Scuola”, Re:Common 2017, pp. 52 €      s.i.p.

Riportiamo la quarta di copertina: «Estrattivismo è una parola ancora poco usata in Italia. Fa pensare subito al processo di rimozione di risorse naturali dai sottosuoli allo scopo di esportare materie prime. In realtà, l’estrazione mineraria è solo una parte, seppure importante, della storia. 

L’estrattivismo si fonda sulla sottrazione sistematica di ricchezza dai territori, combinata con il trasferimento forzato di sovranità sugli stessi, da chi li vive a chi li depreda, da chi sopravvive grazie ad essi, a chi se ne serve per garantire la riproducibilità di un modello basato sul profitto a vantaggio di pochi, tendenzialmente sempre gli stessi. L’estrattivismo viaggia veloce e lontano, alimentandosi delle sue stesse bugie. Ma in molti casi, come in Chiapas, le comunità non si fanno trovare impreparate, e a volte sono sufficienti le domande di un ragazzino inesperto, ma curioso, a svelare l’ipocrisia di fondo su cui si costruisce questo tragico inganno».

M.T. Messidoro, Diez años después. El Salvador oggi tra paure e speranze, Stelle cadenti 2017, pp. 52 €       s.i.p. Maria Teresa Messidoro ci informa sul difficile periodo di transizione alla democrazia, su quello che è successo dopo gli Accordi di pace e su quello che sta accadendo adesso, con il governo di Sanchez Cerén, legato al Frente. Viene così a colmare un vuoto d’informazione, sia sul dopoguerra sia sul recente periodo costellato da tanti piccoli progressi di enorme importanza per il popolo salvadoregno, ma puntualmente ignorati non solo dai mezzi di comunicazione italiani main stream, ma anche da quelli locali, troppo spesso impegnati a coprire malefatte di ogni tipo e ad attaccare le riforme “comuniste” e “chaviste” del nuovo governo.

A cura di M. Miranda, Politica, società e cultura di una Cina in ascesa. L’amministrazione Xi Jinping al suo primo mandato, Carocci editore 2016, pp. 231 €     20,00

Il presente volume inaugura una collana di studi e ricerche sulla Cina contemporanea in lingua italiana, “Cina Report”, che si propone di fornire una riflessione sulla realtà odierna di tale paese, volta all’approfondimento della politica interna, delle relazioni internazionali, della società, dell’economia, della sfera culturale e letteraria della Repubblica popolare cinese. 

A questo primo lavoro si prevede ne seguano altri con cadenza annuale, sotto la stessa forma di raccolte di saggi a firma di vari autori. Negli ultimi anni in Italia, in virtù anche del maggior peso raggiunto dalla Repubblica popolare cinese a livello internazionale, l’attenzione per la realtà cinese è cresciuta sensibilmente, ed è andata oltre quella di operatori economici e imprenditori. L’interesse per la Cina contemporanea ha raggiunto pure soggetti istituzionali e interlocutori del mondo politico; inoltre una maggiore sensibilità verso la cultura cinese si sta sviluppando grazie anche alla diffusione della lingua. Sulla scia del processo di valorizzazione del patrimonio culturale che la Cina sta promuovendo, la collana mira ad adottare un respiro più ampio, dando spazio a contributi che si propongano di diffondere elementi nuovi e originali alla realtà cinese.

La prospettiva storica è essenziale nello studio della contemporaneità cinese, e per questo la collana si prefigge di interpretarla collegando i diversi fenomeni in una visione complessiva a medio e a lungo raggio.

I volumi di questa collana si avvalgono di fonti primarie e materiali in lingua cinese, fondamentali per garantire l’originalità delle analisi raccolte. L’attenzione rivolta alle fonti in lingua originale, proponendo in modo critico materiali inediti tradotti per la prima volta, è un requisito indispensabile per restituire ai lettori un esame puntuale e un’immagine delle tante Cine che sfuggono all’attenzione dei più.

Nel rivolgersi al grande pubblico “Cina Report” adotta un approccio divulgativo, senza rinunciare alla scientificità, con l’obiettivo di costituire uno strumento di approfondimento fruibile sia da un pubblico di non specialisti sia da parte di studiosi del settore.

Questo primo volume della collana presenta un’analisi introduttiva dell’amministrazione del segretario del Partito comunista cinese e presidente della Repubblica Xi Jinping, nel corso del suo primo mandato quinquennale, iniziato nel 2012. Ponendo come limite temporale gli ultimi giorni del 2015, l’analisi politica è andata indietro negli ultimi tre anni.

Nei saggi qui raccolti, a firma di vari autori, il filo dell’analisi si snoda tra temi diversi, prevalentemente in ambito interno e internazionale: dalle misure politiche e dalle riforme economiche e sociali varate negli ultimi tre anni, al controllo ideologico sulla stampa e sugli intellettuali. Inoltre altri studi presenti prendono in esame particolari fenomeni di natura culturale, letteraria, economica e sociale. Nelle ultime pagine è presente un glossario dei termini cinesi, a cura di Sara Pilia. (l.c.)

Storie d̓Italia

Cahiers di scienze sociali, n. 3, giugno 2015

          s.i.p.

R. Saponaro e M. Bragadin nell’articolo: Trauma dell’intervento e primo conflitto mondiale. Letterati italiani per la guerra riporta le posizioni e gli interventi di D’annunzio, Marinetti, Angiolo Silvio Novaro, Giuseppe Ungaretti, Mario Rigoni Stern, Emilio Lussu.

Mentre S. Paba in I fantasmi del ’14-’18 e il milite ignoto.  Filmare la Prima guerra mondiale tra  dinamiche della memoria ed elaborazione del lutto è una analisi approfondita di tutta una serie di pellicole che rievocano la Grande guerra da molti punti di vista, dei dispersi e dei morti.

Il presente e la storia,
n. 88, dicembre 2015 

                           20,00

L’articolo di Salzotti sulla liberazione dei prigionieri italiani durante la Grande guerra caduti in mano della monarchia austro-ungarica e tenuti nei campi di concentramento in Germania, Austria e Ungheria, parla  della loro odissea che inizia nei campi di concentramento e continua con il rientro in Italia dove vengono trattati come traditori – come «sventurati o svergognati»  così definiti da Gabriele D’Annunzio.

Pollicino gnus, n. 244, febbraio 2016

Quota associativa annua                 25,00

…e rovina della gioventù 

Il rifiuto della guerra tra diserzione e solidarietà

M. Marzi: Un eccidio dimenticato. La manifestazione contro la guerra del 25 febbraio 1915 a Reggio Emilia; E. Bertani: Il diritto di obiettare; P. Pugliese: bisogna disertare ancora come e più di cent’anni  fa; E. Ongaro: La vasta opposizioine popolare alla “Grande guerra” dei potenti; G. Giannini: Tregua di Natale del 1914 tra soldati inglesi e tedeschi;

L’antifascista, n. 1/2,  gennaio/febbraio 2016
                                                          2,00

A. Di Maria: Foibe ed esodo: orrore di regime e vendette sbagliate. Le foibe non possono essere semplicemnente liquidate come atto barbarico senza inquadrarle in un contesto più ampio in cui esse avvennero e non è vero che tutto il negativo era dalla parte degli jugoslavi e il positivo da quella degli italiani perché esiste una storia di politica antislava che comincia nel 1918 e anche l’Italia in quanto ai crimini non aveva le mani pulite.

Dolomiti, n. 1, febbraio 2018                    8,00

Segnaliamo Danni, sofferenze e fame: La montagna bellunese durante l’invasione austroungarica del 1917-1918 di Adriana Lotto e Silvia Comin. «La Prima guerra mondiale fu un evento catastrofico senza precedenti che, oltre a causare la morte di oltre 9 milioni di combattenti, si abbatté violentemente sui civili di tutta Europa. In particolare, nel corso dell’ultimo anno, a seguito della rotta di Caporetto, gli eserciti austro-tedeschi dilagarono nelle regioni del Nord-est d’Italia rendendosi responsabili di saccheggi, brutalità, stupri, massacri cui si aggiunsero, nelle zone successivamente occupate, deportazione, internamento, lavoro forzato, requisizioni di risorse alimentari e produttive di ogni genere che finirono col prostrare una popolazione già decimata dalla fame e dalle malattie». 

Nunatak, n. 42, primavera 2016           2,50

Lele Odiardo in Sempre primi nelle imprese più arrischiate: sabotaggi, furti e colpi di mano delle prime bande partigiane in provincia di Cuneo, documenta che l’attività delle divisioni partigiane  a partire dalla tarda primavera del 1944 affonda le proprie radici nell’azione dei piccoli gruppi che per primi presero le armi e la via della montagna, in una situazione di totale incertezza sulle sorti della guerra in corso.

La vita è un sogno. Voci, volti, speranze e battaglie degli italiani. Dal Settecento al XXI secolo, Il Saggiatore 2016, pp. 548 €     22,00

Lettere, pagine di diari, racconti di vita, poesie; più di un centinaio di voci si susseguono per dare forma a un interessante saggio sul popolo italiano. I racconti coprono un arco temporale di circa tre secoli: dal Settecento all’era dell’informatizzazione, passando per due guerre mondiali, l’emigrazione verso il Nuovo Mondo, i movimenti studenteschi e femministi, tenendo in considerazione anche i più piccoli cambiamenti che si sono pian piano verificati nella dimensione quotidiana degli italiani. La varietà di queste testimonianze, insieme all’ordine non cronologico seguito nell’esposizione, ci permettono, paradossalmente, attraverso richiami e parallelismi, di trarre ancor di più uno spirito comune, un filo rosso che connette generazioni all’apparenza molto diverse e distanti tra loro, ma accomunate da un passato, un presente e un futuro da italiani. 

L. Mečnikov, L’unificazione dell’Italia. Da Daniele Manin a Garibaldi, A cura di R. Risaliti,
Stampato in proprio 2017, pp. 153           s.i.p.

Un saggio di una acutezza straordinaria che per certe sue posizioni ideologiche anticipa la genesi stessa del marxismo e del leninismo e portatore di una nuova originale interpretazione del Risorgimento italiano.

A cura di Renato Risaliti, Due russi in missione da Garibaldi, Centro Interuniversitario di Ricerche sul “Viaggio in Italia” 2016, pp. 123                                                                                                         19,00

Il curatore propone tre scritti di due scrittori e giornalisti russi che conobbero Giuseppe Garibaldi in Italia durante gli anni della sua lotta per la libertà. 

Il primo, N. V. Berg, combatté a fianco di Garibaldi nel Nord Italia, il secondo, Lev Mecnikov, lo conobbe a Caprera subito dopo la ferita dell’Aspromonte inflitta dall’esercito Regio.

Il mito di Garibaldi in Russia non nasce all’improvviso, anzi è un processo che cresce gradualmente. Nasce nell’Impero Russo in connessione con gli avvenimenti del 1848-1849, in concomitanza con la nascita della Repubblica romana. 

Il discorso sulla fama di Garibaldi, non solo in Russia ma in tutto il mondo, è un discorso complesso che non si può disgiungere dalla lotta del popolo italiano per riacquistare la propria libertà e indipendenza, dopo secoli di predominio e dominazione straniera.

È all’interno di questo contesto che va visto il grande interesse e la grande ammirazione che scrittori e intellettuali russi ebbero per l’Eroe dei Due Mondi. Questi due russi che si sono presentati da Garibaldi non sono stati né i primi né gli ultimi, ma certamente sono fra i più importanti che ne abbiano parlato, precisando molte circostanze che li hanno indotti a scriverne diffusamente. Ne hanno scritto cogliendo il nostro eroe nazionale in momenti diversi da molti punti di vista. Berg coglie Garibaldi nella sua veste di comandante militare, mentre Mečnikov fornisce un quadro interessante della vita quotidiana di Garibaldi a Caprera, dopo aver assolto la missione di consegnargli una lettera, affinché aiutasse gli insorti polacchi a farsi riconoscere da Francia e Inghilterra come parte belligerante. Gli scritti di Berg e Mečnikov insieme ad altri scritti di russi sul nostro eroe nazionale, sono una fonte importante per lo studio del Risorgimento e delle relazioni russo-italiane; dimostrano la profonda simpatia delle persone progressiste della Russia verso il movimento di liberazione italiano. (l.c.)

C. G. Pini, Adua, Edizioni di storia e letteratura 2016, pp. 96 €     15,00 

Adua, scritto nel 1926, presenta tratti “politici” controcorrente: dall’inconsueto riconoscimento del valore guerriero degli africani all’accusa esplicita, senza attenuanti, ai comandanti e più in generale agli Stati maggiori, passati dalle disfatte della Grande guerra al fascismo. Quelli di Pini erano solo accenni, che assumevano però un valore critico importante, poiché sviluppavano temi che «passarono sotto silenzio in un’Italia che si avviava ormai ad essere totalitariamente fascistizzata» scrive Nicola Labanca.

L. Botta, Figli, non tornate! (1915-1918).  Lettere agli emigrati nel Nord America, Aragno Editore 2016,    pp. 591 €     25,00

Lo storico piemontese Luigi Botta ha raccolto nel suo prezioso libro centinaia di lettere scambiate tra i nostri emigrati negli Stati Uniti e le loro famiglie rimaste in Italia; lettere contenenti in larga parte un’ invocazione di madri, mogli, sorelle ai propri figli, mariti e fratelli. Tali lettere sono raccolte in queste pagine, ordinate, commentate ed indagate in riferimento alle persone che le hanno spedite. Questo volume invita alla renitenza e diventa simbolo di una battaglia contro la guerra e contro la chiamata alla leva militare. (l.b.)

G. Sbordone, Al primo colpo di cannone. La crisi delle certezze socialiste di fronte alla Grande guerra (1914-1915), Ediesse 2016

pp. 201 €      13,00

Lo scoppio della guerra europea, nell’estate del 1914, aprì nell’opinione pubblica italiana un aspro dibattito. Neutralità o intervento? Il Partito socialista, formalmente trincerato dietro la parola d’ordine della “neutralità assoluta”, era in verità diviso, al suo interno, tra spinte divergenti e non facilmente conciliabili.

Una guerra mondiale è una di quelle fasi cruciali in cui la Storia impone accelerazioni alle traiettorie individuali, rendendo bruschi ed eclatanti cambiamenti di rotta altrimenti graduali e silenziosi; pone alternative secche, costringendo i singoli a scegliere tra fedi e appartenenze che fino ad allora avevano potuto convivere senza eccessivi problemi.

La guerra aveva messo i socialisti in un sostanziale “cul de sac”; emergeva un’ecce-zionale varietà di posizioni personali, di dilemmi sinceri e dolorosi, di contraddizioni irrisolte. 

Tutto intorno un sovvertimento generale, con incongruenze equamente distribuite fra le parti in causa, socialiste e non. In un Paese che di fronte alla prima guerra della modernità deve prender tempo per decidere non solo se e quando, ma persino contro chi combattere.

La crisi socialista del 1914-15 si presenta dunque con diverse facce: fuori dal PSI una piccola ma bellicosa schiera di transfughi convertiti alla guerra; dentro al partito una maggioranza neutralista schiacciante, ma attraversata da dubbi e dilemmi profondi, vistosamente divisa tanto sul modo di intendere la neutralità quanto sugli strumenti per difenderla o imporla. E c’è anche chi tenta di inseguire una “impossibile” terza via: sostenere le ragioni dell’intervento dall’interno del PSI. Cosa resta, allora, della parola d’ordine della “neutralità assoluta”?

Non appena si comincia a discutere di un intervento a fianco della Francia e contro l’Austria la “neutralità assoluta” cessa di essere uno slogan condiviso da tutto il PSI.

Le difficoltà del PSI non riguardarono solo le strategie e i mezzi concreti per impedire il conflitto; a fallire fu lo stesso tentativo del Partito di dare un giudizio univoco sulla guerra. Il neutralismo socialista fu quindi segnato da divisioni e incongruenze anche su un piano teorico ed ideologico, a cominciare dalla convivenza tra idealità internazionaliste e sentimenti patriottici. La finale accettazione della guerra fu, forse, una dichiarazione d’impotenza, una resa al nemico, una realistica presa d’atto dei rapporti di forza esistenti; ma fu anche l’esito del disaccordo, della confusione e del travaglio profondo che attraversavano lo stesso campo socialista. Ci si propone, in queste pagine, di sondare la profondità di tale crisi.
La prima parte del volume affronta la questione nei suoi termini generali, abbozzando anche un panorama di ciò che accadde nelle diverse parti del Paese. La seconda parte approfondisce invece un caso specifico, quello del socialismo veneto: di una regione, cioè, posta al confine tra Italia e Impero austro-ungarico, dove la guerra materialmente si combatté. E forse proprio per questo il travaglio del movimento socialista appare qui particolarmente evidente. (l.c.)

F. M. Agnoli, Maggio 1915. Come gli italiani furono costretti alla Prima Guerra Mondiale, Il Cerchio 2016, pp. 95                           18,00

Nel maggio 1915 l’Italia fa il suo ingresso nel primo conflitto mondiale a fianco dell’Intesa contro l’Austria-Ungheria, un anno dopo l’inizio della guerra. A causa di quest’anno di ritardo la posizione dell’Italia al momento dell’entrata in guerra si pone in termini del tutto diversi rispetto agli altri belligeranti per quanto riguarda il governo, l’opinione pubblica, l’apparato diplomatico e quello militare.

Nei primi mesi del 1915 il popolo italiano, pur non ancora direttamente impegnato sul campo e malamente informato, aveva saputo abbastanza della drammaticità del conflitto.

Una situazione, quella italiana del maggio 1915, che vide il governo e le classi dirigenti al corrente di tutto, ma che si comportarono come se vivessero in un altro paese, e un popolo che, per quanto soggetto alla censura, aveva invece fatto tesoro degli avvenimenti dell’anno trascorso e non vedeva nessuna ragione per prendere parte al grande massacro.

In Italia, il conflitto, anziché diminuire ingigantì incomprensioni, fratture, divisioni. Le piaghe e gli orrori della guerra furono nella guerra sabauda ancora peggiori che negli altri paesi europei. Si spiega così perché fin dall’inizio per combattere una guerra che si pretendeva patriottica fu necessario ricorrere ai processi militari, alle fucilazioni sul campo, al fuoco dei cannoni per dissuadere interi reparti alla resa. La riflessione di Agnoli si inserisce in questo contesto, ponendo l’accento sul fatto che l’intero percorso bellico dello Stato sabaudo fu segnato da una mancata condivisione della decisione di entrare in guerra fra governo e popolo, da un’assenza di iniziali entusiasmi, da una mancanza di scopi sentiti come comuni da conseguire, e negando la falsa immagine che vedeva il popolo italiano compatto nel sostenere lo sforzo bellico e un esercito animato da un elevatissimo senso del dovere, disponibile ad ogni sacrificio, incluso quello della vita, pur di conseguire la vittoria finale. (l.c.)

G. Tonini e A. Curti, Lettere dal fronte, Un carteggio autentico, un amore più grande della guerra, Itinera 2015, pp. 93 €     18,00

Continuano a uscire biografie delle persone che hanno combattuto nella Grande guerra e in questa corrispondenza commentata si ricreano le vicende umane e storiche di quel periodo, l’illusione di una guerra che doveva essere lampo, la consapevolezza dei danni che avrebbe arrecato nel futuro immediato, la coscienza di aver buttato via in modo inutile gli anni migliori  della loro vita.

M. Milani, Due soldati, Effigie, 2016, pp. 100 €     12,00

L’autore racconta l’esperienza di vita della Grande guerra vissuta dal padre Carlo, basandosi sulle testimonianze dello stesso. Un’esperienza dura e traumatica, della quale non si parla volentieri: trovarsi improvvisamente a ventidue anni a dover combattere nell’inferno dell’Ortigara e a sottostare alle drammatiche condizioni di vita della trincea, mangiando pane e terra e dormendo accanto a cadaveri in decomposizione. Fondamentale è stata la grande forza delle persone che nonostante tutto hanno messo le loro energie “a disposizione della Nazione”.

G. Capoccetti, L’irto sentiero ovvero le mie memorie, Fuorilinea 2014, pp. 254                        16,00

Giuseppe Capoccetti, soldato nella Grande guerra, venne spedito al fronte all’entrata in guerra dell’Italia nel 1915. Distintosi per coraggio e valore, riceve nel 1916 la medaglia di bronzo al valor militare. In seguito alla disfatta di Caporetto viene fatto prigioniero e trasferito nel campo di concentramento di Meschede, in Germania. Viene liberato alla fine del 1918.

Le memorie dell’Autore non sono state scritte giorno per giorno, ma in età matura, e sono il frutto di uno sforzo di ricostruzione dei fatti dell’infanzia, dell’adolescenza, dell’emigrazione e della Grande guerra.

Sono questi anni cruciali per l’Italia e il mondo, anni di profonde trasformazioni e sconvolgimenti che segneranno il passaggio da un’epoca, caratterizzata da cambiamenti lenti, ad un’altra segnata invece dal consolidamento delle società industriali. 

Gli sconvolgimenti che segnano anche la vita di Capoccetti ne determineranno il destino che si scontrerà inevitabilmente con la Grande guerra. È qui che il memoriale dell’Autore si alza di tono e di pathos, quando innesta la sua storia nelle vicende belliche della Prima guerra mondiale. Con Capoccetti sembra di rileggere alcune pagine di Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu. 

La guerra descritta è come la guerra descritta da Lussu: a mano a mano si fa strada l’idea che non finirà mai. 

Anche gli episodi, distaccati l’uno dall’altro, acuiscono l’irrealtà: tra un attacco e un contrattacco solo il ricordo della famiglia e la ricerca dei conoscenti riporta ad una dimensione reale. Infine il ritorno a casa, dove anche Capoccetti, come tanti altri soldati, misurò le proprie disavventure con quelle subite dalla famiglia che aveva perso beni e agiatezza. Il racconto si inserisce di diritto tra i numerosi memoriali sulla Grande guerra. Lo stile crudo e scarno restituisce ancora di più la verità ai fatti. 

Non c’è evocazione di miti e ideali, c’è invece il dolore e l’orrore. Meta dunque dell’Autore è quella di fissare nella memoria collettiva l’inutilità di ogni conflitto. (l.c.)

G. Petracchi, 1915. L’Italia entra in guerra, Della Porta Editori 2015, pp. 230        17,00

Il 24 Maggio 1915 l’Italia entra in guerra a fianco dell’Intesa. Questo volume prende le mosse dal Luglio 1914, l’inizio della prima guerra mondiale, e ricostruisce tutto ciò che precede quella data, per capire la profondità delle radici italiane nella Triplice Alleanza, ricostruendo gli avvenimenti che portarono alla sofferta decisione di reciderle, e di entrare in guerra contro i vecchi alleati. Il libro nasce dai ricordi del padre dell’autore, Raffaello Petracchi, a cui il testo è dedicato, soldato durante la Grande guerra.

Raffaello Petracchi, il “ragazzo del Novantanove”, fu richiamato sotto le armi nel Maggio del 1917; gli mancavano cinque mesi per giungere al compimento del diciottesimo anno d’età; per lui cominciava la vita militare. La prima missione che il reggimento d’artiglieria di Petracchi dovette svolgere fu quella di bloccare l’esodo degli sbandati italiani alla stazione di Bologna, dopo che la Quattordicesima armata austro-ungarica aveva sfondato completamente il fronte italiano sull’Alto Isonzo, a Caporetto. Masse d’uomini si disperdevano e con ogni mezzo raggiungevano le più lontane retrovie del fronte. I campi di raccolta riorganizzavano gli sbandati e li rispedivano al fronte in nuove formazioni. La Compagnia di Petracchi fu allora comandata di scorta ai treni che riavviavano a nord quella truppa. Attraverso i racconti del padre l’Autore ha appreso molto sulla materialità della guerra, sugli aspetti antropologici e su quelli psicologici. Ma ciò che suo padre non sapeva spiegargli è quali fossero state le ragioni profonde dell’immane tragedia da cui fu presa e deviata tutta la sua vita, e chiedeva al figlio perché l’Italia fosse scesa in guerra, perché non fosse rimasta neutrale, e avesse voltato le spalle alla Triplice Alleanza. Questo volume intende rispondere all’artigliere Raffaello Petracchi, e a tanti che come lui, si ponevano e si pongono queste domande. (l.c.)
G. M. Trevelyan,
Scene della guerra d’Italia (1915-1918), Fuorilinea 2015 pp. 294          16,00

L’Autore, intellettuale e accademico inglese, studioso del Risorgimento italiano, in particolare della figura di Garibaldi, partecipò al primo conflitto mondiale dirigendo un’Unità di ambulanze della Croce Rossa britannica sul fronte italiano.

Nel libro fornisce un resoconto delle impressioni che ha provato durante i primi tre anni di servizio con l’esercito italiano. Avendo avuto il privilegio di osservare direttamente lo spirito dell’esercito italiano e la natura della guerra combattuta al fronte, l’Autore descrive momenti di vita militare risultato di migliaia di conversazioni e di episodi, di notte e di giorno, nella vittoria e nella sconfitta, nel riposo e nell’azione, sull’Isonzo, lungo le strade di Caporetto e Gorizia.  Il militarismo e l’autoritarismo prussiano da una parte, e dall’altra l’oppressivo dispotismo dell’Austria, appaiono i veri nemici da battere, gli ostacoli alla crescita di quella civiltà della pace che farebbe sbocciare una nuova era di comprensione tra i popoli. Nel racconto della guerra tende a valorizzare l’aspetto “costruttivo” a scapito di quelli “distruttivi”, una sfumatura di quella complessa visione della storia che vede l’umanità procedere verso traguardi di civiltà sempre più alti. Deriva forse da quest’ottica il fatto che l’Autore scriva di caduti, feriti, prigionieri sempre e solo in termini numerici, in assenza di ogni approfondimento del singolo destino individuale. Opzione determinata dalla volontà di non insistere troppo sul dramma della morte, per non seminare dubbi e incertezze sulla necessità della “crociata” anti-tedesca e per non far trasparire l’atroce realtà della trincea. Sono queste pagine in cui la guerra è vista da un inconsueto angolo visuale: il servizio della Croce Rossa in primo piano, le fasi del conflitto sullo sfondo. 

Particolare cronaca dal fronte che, coerentemente con un conflitto che è stato combattuto da gigantesche masse umane, lascia poco spazio all’individualità e privilegia le azioni collettive. (l.c.)

R. Serra, Lettere dal fronte, Introduzione di M. Onofri, Elliot 2015, pp. 91 €       9,50 

Renato Serra (1884-1915) durante la sua breve esistenza (mori’ a soli 31 anni, colpito a morte davanti al Podgora durante la prima guerra mondiale), ha anticipato la figura dell’intellettuale antifascista che sarebbe emerso nei decenni successivi. 

Arriva al fronte ai primi di luglio, morirà neppure due settimane dopo. 

L’ultima lettera è emblematica, e nell’introduzione al volume Massimo Onofri spiega che “se la riporto tutta è per il fatto che certifica un’ordinaria giornata al fronte di Serra, tutto impegnato qui a sottolineare l’ordinarietà, non soltanto per tranquillizzare l’anziana madre visto che, anche con gli amici più cari o coi parenti coetanei, l’atteggiamento non cambia”. E anche la partenza per la guerra, dopotutto, per lui era semplice ordinarietà. 

Non c’è mai, nelle sue lettere, un cedimento alla retorica presente in tanti suoi contemporanei. Andare a combattere il nemico per compiere il Risorgimento, insomma, faceva parte di quel destino ineluttabile che contraddistingueva quelli della sua generazione. 

Serra è come in un’altra dimensione, riflette sulle donne di San Vito al Tagliamento, paese oggi a cavallo tra il Friuli e il Veneto, terra di “pianure piatte, dove l’aria e la luce è sempre ferma; o sotto il velo dell’umidore fumante e un po’ guasto; o piena di splendore afoso” e dove “tutti sono in mano dei preti”. 

Riconosciuto più come critico poetico che letterario, Serra, inizialmente convinto della superiorità dell’essere  un uomo di lettere  rispetto all’esistenza ordinaria, ha preso coscienza dei limiti che quella condizione offriva; consapevolezza maturata proprio con l’avvento della guerra, di fronte alla quale il letterato è solo un uomo illuso.

F. Malfer Arlanch, L’anima è triste palpita il cuore. Prigionieri, piroscafi e speranze, Grande guerra: parte prima, Osiride 2016, pp. 622 

F. Malfer Arlanch, Budet mir. Verrà la pace. Storie di uomini e donne che vissero la guerra in Russia, Grande guerra: parte seconda, Osiride 2016, pp. 140

I due volumi €     48,00 Nel primo volume si narrano le vicissitudini di migliaia di uomini partiti nel 1914 come soldati austroungarici, resi prigionieri in Russia e ritornati in Trentino, Venezia Giulia e Istria come cittadini italiani tra il 1916 e il 1920.

Nel secondo volume si raccontano le storie private di alcuni prigionieri di varie valli trentine e le scelte da loro fatte per sopravvivere e poter tornare alle loro case. Dalla Presentazione dell’autrice si evince quale siano state le sue intenzioni nella elaborazione di questi due poderosi volumi: «Non sono una storica. Sono fondamentalmente una figlia, una mamma ed una moglie. Sono anche una nipote ed ho voluto molto bene ai miei nonni. Sono anche una maestra ed ho per tanti anni insegnato la Storia così come la riportavano i libri, con un poco di attenzione però alla storia locale, alle tracce del passato che posso osservare nel territorio in cui vivo.  (…) Nel corso della mia ricerca ho letto tante lettere ingiallite e lacere. Sono stata sommersa dalla sofferenza, dal dolore che traspare da queste lettere, da questi diari spesso sgrammaticati. Ma anche mi hanno colpito i sentimenti degli uomini, espressi spesso con molto pudore. Mi è sembrato ingiusto che il ricordo di tanto dolore dovuto a una guerra andasse perduto. Non fosse altro che perché, se lo dimentichiamo, se lo copriamo con la retorica delle celebrazioni ufficiali, sarà più facile ripetere gli stessi sbagli. Questo è il mio lavoro. Non un asettico testo di storia, ma un omaggio devoto a chi visse quelle tragedie».

C. Bermani e A. De Palma, E non mai più la guerra. Canti e racconti del ’15-’18, Società di Mutuo Soccorso Ernesto de Martino 2015, pp. 139 + CD audio €     22,00

La Grande guerra è stato un gigantesco sanguinoso rito di passaggio verso la società di massa, una macchina di morte a livello industriale di proporzioni mai vedute, un laboratorio di trasformazioni sociali, culturali, linguistiche.

Per il nostro Paese quella guerra significò il momento più significativo della sua unificazione non solo territoriale, perché milioni di soldati provenienti da tutta Italia si incontrarono e si incrociarono nelle trincee del nord Italia.

In questa realtà avvenne un’alfabetizzazione di massa; vennero scritte milioni e milioni di lettere, migliaia e migliaia di diari. Ma nacquero anche i canti. 

Sono stati i canti dei combattenti la colonna sonora di quella esperienza di psicologia sociale che è stata la Grande guerra.

I soldati contadini, buttati nella fornace di una guerra di cui non conoscevano o non condividevano i fini, cantarono e presto dimenticarono i canti dell’innologia ufficiale e dei suoi canzonieri mentre cantarono con altro spirito e ricordarono quelle canzoni che nascevano tra di loro dal basso delle trincee.

Questo libro di Bermani e De Palma raccoglie decine di quei canti, sfiorando la canzone patriottica e immergendosi in quel canto popolare che sale dalle trincee. 

Quei canti raccontano il dolore della partenza per il fronte e l’abbandono delle famiglie, le battaglie, la morte, ma anche la fame, il freddo, le malattie.

I modelli musicali e testuali sono rielaborazioni di altre canzoni della guerra, canzonette in voga all’epoca, canti di tradizione orale, canti epico-lirici. Accanto ai canti ci sono i racconti; alcuni sono contestuali ai canti, altri invece sono frammenti di lunghe interviste sulla guerra. Le persone intervistate erano poco più che bambini o adolescenti all’epoca dei fatti, e questo conferisce un aspetto quasi fiabesco alla narrazione. Si tratta di un libro che si situa nel solco di quelle ricerche che, attorno agli anni ’80, attraverso lo studio e l’analisi del mondo dei documenti popolari, hanno definitivamente sfatato il mito della Grande guerra e mostrato cosa sta dietro alla retorica delle patrie.

Il volume contiene inoltre due CD audio con le registrazioni originali dei canti e delle interviste. (l.c.)

L. Terzi, Due anni senza gloria 1943-1945, Einaudi 2011, pp. 92 €     12,00

Sulla memorialistica degli anni di guerra questa è un libro anomalo in quanto non parla di  atti valorosi, di scelte difficili, parla di una vicenda comune, quella di un giovane richiamato in guerra a diciotto anni, un giovane appartenente a una famiglia borgese di onestà integerrrima che scrive «Nello sfacelo generale, Paolo e io non sentivamo  di avere alcun obbligo morale, alcun pegno di lealtà verso nessun potere costituito, ma solo verso la nostra famiglia; né alcun punto di riferimento tranne quelli della nostra cultura letteraria e della nostra coscienza morale…. che non poteva esser che quella, severa e onesta delle nostre famiglie». La sua è stata una vicenda comune a molti altri, proletari, contadini, impiegati travolti dagli avvenimenti che si difendono dalla storia che devono sopravvivere e proteggere i propri figli e dove la scelta non sia stata ragionata, convinta, ma piuttosto determinata dalle occasioni e dal caso. 

È anche la cronaca della formazione di una coscienza civile, lontana dalla retorica che spesso innerva le rievocazioni di quei tempi difficili, e confluisce naturalmente nell’autobiografia (parziale, ma densissima) di un uomo che sente di aver partecipato a quel clima generale, e alle battaglie che vi si combatterono, quasi come un “imboscato” .

Terzi ingrossò le fila di quella “zona grigia” (secondo la definizione coniata da Primo Levi, e giustamente rievocata a più riprese nel corso del libro) composta da tutte le persone che non aderirono con convinzione al fascismo, anche solo per limiti anagrafici, e si limitarono a prendere atto del contesto sociale e politico in cui era stato dato loro di vivere.

G. Melis, La macchina imperfetta. Immagine e realtà dello Stato fascista, Il Mulino 2018, pp. 616          38,00 Lo Stato fascista è studiato qui nei suoi meccanismi essenziali. I cambiamenti e le continuità che lo caratterizzano: nei ministeri, nei nuovi enti pubblici, nel rapporto contraddittorio fra centro e periferia. E in primo piano il nuovo soggetto che ambiguamente penetra nello Stato e al tempo stesso se ne lascia penetrare, statalizzandosi: il Partito fascista. E poi le élites, fra continuità e innovazione: burocrazie, gerarchie politiche centrali e periferiche, magistrature ordinaria e amministrativa, podestà, sindacalisti e capi delle corporazioni, autorità scolastiche, sovrintendenti alle belle arti, uomini dell’impresa pubblica e del parastato. Uno Stato ben lontano dall’essere la «macchina perfetta» che vorrebbe sembrare. Nell’affresco, ricco di particolari, emerge una visione complessa di quello che volle e non riuscì a essere lo Stato fascista e al tempo stesso Stato nel fascismo. 

T. Borsa, Un silenzio italiano. I gas in Etiopia fra propaganda e rimozione, Cleup 2017

pp. 86          14,00

L’Autore aggiunge un importante contributo nella conoscenza della guerra italiana in Etiopia del 1935/36, momento fondamentale nella storia del ventennio fascista riportando l’attenzione sul tema del largo utilizzo da parte dei fascisti delle armi chimiche per sconfiggere gli etiopi, pratica che ha portato alla morte di centinaia di migliaia di morti. La tragedia dei gas in Etiopia è sempre stata sottovalutata, quando non proprio oggetto di una vera e propria rimozione collettiva. Luce sulla vicenda è stata fatta alla metà degli anni Sessanta dallo storico Angelo Del Boca, che per primo ha dato voce a un vero e proprio “silenzio italiano”, un segreto durato sessant’anni. E soltanto del 1996 la conferma ufficiale da parte dei Ministeri degli Esteri e della Difesa italiani che i gas, proibiti dal protocollo di Ginevra del 1925, erano stati usati non solo saltuariamente, ma in quantità elevate. La propaganda di regime, distorcendo le informzioni che arrivavano in Italia durantenil conflitto in Abissinia, aveva creato una guerra “altra” nascondendo costantemente la verità. Il volume approfondisce un episodio della storia italiana spesso dimenticato, e sfata il mito spesso utilizzato dalla storiografia di un colonialismo italiano che non avrebbe avuto quei tratti di barbarie e violenza insiti in ogni forma di colonialismo. (l.c.)

M. Alonso, S.P. Karavis, E. Gobetti, Sperimentazioni belliche e provvedimenti di rigore. La memoria dei crimini italiani in Spagna, in Grecia e in Jugoslavia (1936-1945), Zikkaron 2016, pp. 136       12,00

Nei tre saggi pubblicati in questo volume si parla di oblio, e specificamente di oblio di crimini commessi dall’Italia fascista in Spagna, Grecia e Jugoslavia. Nel caso della Spagna si tratta di crimini di guerra connessi all’uso dell’arma aerea, un uso terroristico e indiscriminato che si è esteso dalle potenze fasciste a tutti i combattenti nella Seconda guerra mondiale. In Grecia e nella ex-Jugoslavia invece, i crimini sono tipicamente “fascisti”, attengono cioè alle modalità di occupazione di territori appartenenti a Stati stranieri che il regime aveva acquisito nel suo progetto, di stampo nazionalista a sfondo razziale, di espansione della potenza imperiale dell’Italia. In tutte queste circostanze, il risultato fu quello di una violenza estrema: la guerra fu il contesto favorevole, lo spazio naturale e desiderato, il luogo perfetto per lo sviluppo dei reali progetti politici e sociali dei fascismi, già abbozzati in tempo di pace, ma radicalizzati in tempo di guerra.

Perché i crimini italiani vengono sottostimati anche nella memoria delle popolazioni che li hanno subiti?

I saggi qui raccolti cercano di mettere in luce i motivi di questa marginalizzazione delle responsabilità italiane in questi tre teatri di guerra.
Nei casi trattati ci troviamo davanti a un paradosso: la memoria dei crimini italiani e/o fascisti è sbiadita in tutti e tre i Paesi, confinata a situazioni locali, casi singoli di comunità particolarmente colpite. L’occupazione italiana sembra aver lasciato poche tracce nella memoria nazionale, in tutti e tre i casi sospinta in secondo piano da quella dei crimini tedeschi.

Gli studiosi italiani hanno ormai da venti anni rimesso in discussione l’immagine del “buon italiano”.

Sono usciti numerosi contributi che hanno sottolineato la portata autonoma della condotta criminale italiana nella Seconda guerra mondiale. Se la reazione a una narrazione del tutto assolutoria delle decisioni delle autorità politiche e militari, e dei comportamenti delle truppe italiane, è stata opportuna, sembra che in seguito prevalga nella storiografia un afflato etico e un intento espiatorio che ha offuscato la capacità di conoscere e analizzare. Il mito della mitezza del popolo, e quindi dell’esercito, dell’Italia fascista si è nutrito di oblii e cancellazioni interessate. Analogamente l’ambigua posizione dell’Italia, Paese a un tempo sconfitto e cobelligerante, con un governo istituzionalmente chiamato a rispondere delle colpe del fascismo, ma che si definiva caratterizzato dall’opzione antifascista, ha potuto essere utilizzata per una rimozione dei crimini commessi dagli italiani nella loro condotta di guerra e di paese occupante.

C’è stata quindi un’attiva politica delle istituzioni italiane che ha sostenuto, e in parte provocato, l’oblio diffuso nella popolazione sul passato di guerra fascista; la conoscenza dei crimini fascisti all’estero rimane appannaggio di una ristretta minoranza di cittadini. (l.c.)

G. Piacci, Non ci rovinate il pranzo, Processo a un partigiano, Redstarpress 2016,
pp. 63                         9,00

Non ci rovinate il pranzo è una sceneggiatura in cui si narrano le fasi del processo a Tommaso Bonetti, trasposizione letteraria di Giuseppe Bonfatti, protagonista dell’episodio dal quale l’opera prende forma. L’ex partigiano Bonfatti, tornato dal Brasile, nel 1990 a Viadana, uccise a colpi di piccone Giuseppe Oppici, un ex fascista: «Non mi riconosci ancora? Sono io, sono tornato apposta dal Brasile per fartela pagare» – lo sentirono dire numerosi passanti presenti sul luogo dell’accaduto. 

Nel 1944 alcune camice nere avevano bruciato la casa di Bonfatti a Salina di Viadana, gli avevano anche picchiato madre e sorella e ucciso gli animali che la famiglia allevava, a causa del tentato omicidio di un repubblichino da parte di Bonfatti, per via di alcuni eventi legati alla guerra civile. 

L’ex partigiano fu condannato a sedici anni di reclusione in primo grado e poi a dieci anni in secondo, per essere infine rimesso in libertà nel 1992, perché malato di un cancro al cervello. Fino alla sua morte continuò a definirsi con fierezza un “comunista stalinista”. L’omicidio di Oppici costituisce un episodio emblematico di come la guerra partigiana sia stata una guerra civile e una lotta di classe e di come sia stato difficile fare i conti con la memoria della Resistenza: l’opera di Piacci ne offre una lucida allegoria.  

A Bonfatti sono dedicate alcune pagine della prefazione di Il nemico interno, Guerra civile e lotta di classe in Italia (1943-1976) di Cesare Bermani, uno dei libri fondamentali sulla Resistenza. «Nel cinquantennio successivo, mentre Bonfatti si allontanò in un esilio volontario in Brasile, la vita di Oppici trascorse tranquilla e rimase un fascista incallito e irascibile» – racconta Bermani. «L’11 novembre mi hanno ucciso e non mi sono mai più liberato dall’incubo» – affermò Giuseppe Bonfatti durante un’intervista del 1991. Un suo compagno ex partigiano, in un’intervista pubblicata su L’unità, dichiarò: «Il suo gesto? Bisogna avere visto come io vidi, quella casa distrutta per capirlo. Se n’è andato in Brasile per aiutare gli indios, era una specie di medico. Da noi, dopo la guerra, non è più riuscito a inserirsi, non è stato capace di dimenticare». Una guerra quindi, senza un dopoguerra. (s.m.)

C. Spataro, Il caso Carmelo Clemente. Storia di un partigiano seciliano accusato di essere stato un delarore dell’O.V.R.A., Nuova Ipsa 2018, pp. 117 €    14 ,00 Carmelo Clemente, nato a Marineo nel 1904, fu un partigiano che dedicò la propria vita alla Resistenza contro il nazifascismo.

Fu emarginato, espulso, imprigionato e infine accusato di essere una spia dell’Ovra (la famigerata polizia politica organizzata da Mussolini per reprimere l’antifascismo).

Clemente rinunciò agli affetti familiari,  si spostò nel nord Italia, in Francia e in Argentina, cambiando identità, vivendo di stenti, subendo l’ingiustizia più grave che mai uomo del suo valore potesse pensare di ricevere ma sempre in prima linea nel Comitato di Liberazione Nazionale.

L’autore racconta l’odissea del partigiano Clemente con una rigorosa documentazione recuperata rovistando negli Archivi di Stato e di Fondazioni culturali, nonché setacciando una copiosa bibliografia per rappresentare il dramma ideologico vissuto da una parte di quegli uomini e quelle donne che decisero d’intraprendere il lungo viaggio verso la libertà.

M. Franzinelli, Disertori. Una storia mai raccontata della seconda guerra mondiale,  Mondadori 2016, pp. 388 €     22,00

L’ultima fatica storico-letteraria di Mimmo Franzinelli, affronta una argomento spinoso: la sorte dei disertori italiani nella seconda guerra mondiale. È una ricerca ben documentata che ricostruisce le varie storie personali attraverso il racconto dei discendenti e con il sostegno di carte inoppugnabili scovate negli archivi o tra i diari di famiglia, una ferita mai chiusa che vede la luce dopo 70 anni. Il fatto si spiega perché in Italia i detrattori bollano i disertori come vigliacchi mentre i difensori, meno numerosi, li considerano addirittura eroi. Franzinelli, storico attento non si schiera, si limita a raccontare. Lo studioso annota: “i disertori, all’inizio soprattutto contadini e artigiani poco disposti a morire in una guerra in cui non credono, s’infoltiscono, man mano che le sorti del regime e della guerra precipitano: a loro si uniscono consistenti gruppi che ormai ne hanno abbastanza del fascismo”. La reazione è feroce: su di loro si abbatte una repressione spietata: i corpi massacrati vengono nascosti o sepolti senza nome. La magistratura militare ha perseguito i disertori fino agli anni ’60. Tra l’altro non venne loro riconosciuta l’amnistia Togliatti per l’opposizione dei capi dell’Esercito. La diserzione è un reato che riguarda i loro tribunali: spetta a loro giudicare e punire. (maurizio galli)

S. Baruzzo, Al gancio del Negroni, «Il Popolo Apuano di Stanis Ruinas, Fascismo rivoluzionario e Regime nella provincia del marmo, Solfanelli 2016, pp. 372 €     30,00 

Stefano Baruzzo ricostruisce le vicende carrarine di Stanis Ruinas, pseudonimo di Giovanni Antonio De Rosas (1899-1984), giornalista e scrittore italiano, incaricato nel 1930 a dirigere «Il Popolo Apuano» dove condusse campagne di stampa verso le banche, i commercianti, la stampa locale. Assai aggressiva fu quella contro gli industriali elettrici, e gli industriali del marmo locali ma questo provocò una incompatibilità con il PNF locale e fu costretto a lasciare la direzione del giornale poco dopo.

P. Paris, La chiesetta della pace. Storia dei prigionieri italiani nelle Orcadi, Curcu & Genovese 2016, pp. 254                                   18,00

I nostri militari fatti prigionieri in Africa furono trasferiti nelle Orcadi per costruire la Churchill Barriers, quattro barriere di roccia, pietre e blocchi di cemento che dovevano bloccare gli accessi sottomarini a Scapa Flow, una grande baia, sede della maggior base navale britannica nella seconda guerra mondiale. Un U-boat tedesco era riuscito a superare tutte le misure di difesa e ad affondare l’ammiraglia della flotta  inglese  provocando la morte di 800 marinai. Un inglese Philip Paris, visitando le Orcadi nel 2005 si imbatté nella cappella costruita dai prigionieri italiani e ricostruisce in un libro, tradotto ora in italiano, tutte le vicende che hanno interessato questi prigionieri e la costruzione di quella cappella.

E. Corti, “Io ritornerò”, Lettere dalla Russia 1942-1943, Edizioni Ares 2015, pp. 248 €     14,00

Il volume raccoglie per la prima volta le lettere di Eugenio Corti, autore di capolavori come I più non ritornano e la grande saga del Cavallo rosso, partito volontario per la campagna di Russia il 9 giugno 1942. Le immagini che vide, le storie che incontrò e il gelido calvario della Ritirata confluirono proprio nelle sue maggiori opere. Grazie a queste preziose lettere possiamo conoscere particolari inediti di quella tragica avventura e del cantiere remoto di un narratore assetato di verità e bellezza. (i.m.)  

E. Fantin, Il calvario degli alpini nelle campagne di Grecia e di Russia. Una storia per immagini nel 150° dell’Unità d’Italia (1861-2011), La Bassa edizioni 2011, pp. 253                         s.i.p. 

Realizzato per celebrare il 150° anniversario dell’unità d’Italia, il libro è interamente dedicato agli Alpini, la cui storia è legata ai momenti più drammatici del nostro Paese. In questa opera, alle moltissime foto d’epoca che ritraggono il viaggio e le sofferenze degli Alpini nelle campagne di Grecia e di Russia durante la Seconda Guerra Mondiale, si aggiunge una vasta appendice documentaria che richiama alla nostra memoria gli orrori del passato.  (i.m.)
 

S. Coos, Sfascio. Testimonianze dopo l’8 settembre 1943. Carnia e Val Torre, Aviani & Aviani 2014

pp. 176 €     15,00

S. Coos, Sfascio. Testimonianze dopo l’8 settembre 1943. Val Cornappo, Aviani & Aviani 2014, pp. 197 €     15,00

S. Coos, Sfascio. Testimonianze dopo l’8 settembre 1943. Nelle Valli del Natisone, Aviani & Aviani 2015, pp. 153 €     15,00 

I tre volumi abbracciano il periodo più difficile e cruento del secondo conflitto mondiale, dall’armistizio del 1943 al termine delle operazioni belliche, in Carnia, nelle valli del Torre, del Cornappo e del Natisone. Vengono prese in esame l’occupazione tedesca e cosacca e la lotta di liberazione, con particolare riguardo ai protagonisti civili di tale periodo. Di conseguenza i tre volumi sono una microstoria e propongono ai lettori fatti e dati poco conosciuti, ma utili a riempire vuoti nel complesso quadro della Resistenza. Il primo volume prende in esame l’occupazione tedesca e cosacca in Carnia e nelle valli del Torre, in Friuli, nel periodo più difficile e cruento del secondo conflitto mondiale, dall’Armistizio del 1943 al termine delle operazioni belliche.

L’Autore, avvalendosi di numerose interviste e racconti spontanei che ha avuto modo di ascoltare nel corso degli anni, ricostruisce le vicende di uomini e donne protagonisti di un momento drammatico per la storia d’Italia.

Il libro fa emergere situazioni e avvenimenti che, non solo gettano luce su i principali fatti bellici avvenuti durante l’occupazione cosacca e nelle valli del Torre, ma danno voce a storie di persone che altrimenti non sarebbero state conosciute e si sarebbero perdute nel complesso quadro della Resistenza.

Presenta inoltre sinteticamente la storia del popolo cosacco, a cui era stata affidata dai nazisti l’occupazione della Carnia, e la sua organizzazione militare. 

Il secondo e il terzo volume si radicano sui territori di riferimento, precisandone le tipicità determinate da una complessa realtà civile e militare, che non sempre vide la piena intesa tra i reparti resistenti. (l.c.)

P. Tripodi, Per  sempre partigiano. L’insurrezione di Santa Libera, DeriveApprodi 2016, pp. 243 €     16,00 

È una pagina dimenticata della storia della Resistenza: l’insurrezione di Santa Libera, scoppiata nell’estate del 1946 tra le colline comprese tra le province di Cuneo, Asti e Alessandria e che Pino Tripodi ricostrusce a partire dalla figura di Giovanni «Primo» Rocca, già comandante della Stella rossa, poi divenuta la IX divisione d’assalto Garibaldi, che di quegli eventi fu uno dei protagonisti; testimone di una volontà di mutamento radicale della società.

Così, nell’estate del 1946, dopo la caduta del governo Parri, che aveva già segnato la fine di ogni idea di trasformazione radicale del Paese, si decide che è venuto il momento di agire. Epicentro dell’insurrezione, fissata per il 20 di agosto, sarà la località di Santa Libera, nel territorio di Santo Stefano Belbo. Incruenta, per quanto armata, sostenuta da centinaia di partigiani in armi in tutto il nord, sessanta quelli che terranno Santa Libera per una settimana, la rivolta scuoterà il paese più di quanto sia rimasto nella memoria pubblica. Dopo quattro giorni una delegazione, ancora una volta in armi, sarà ricevuta a Roma dal vicepresidente del Consiglio Pietro Nenni che si impegnerà ad esaudire le prime richieste riguardanti il riconoscimento giuridico dei partigiani.

La smobilitazione arriverà per volontà dei vertici comunisti che ricorreranno al carisma di un ex comandante partigiano come Di Vittorio per far desistere i rivoltosi. 

Con la fine di Santa Libera la Resistenza finisce davvero. L’insurrezione partigiana di Santa Libera, tra Langhe e Monferrato, è l’ultimo tentativo di realizzare un vero cambiamento prima che l’Italia si infili definitivamente nel suo tunnel democristiano. 

L. Borgomaneri, Li chiamavano terroristi.Storia del Gap milanesi (1943-1945), Unicopli 2015, pp. 359 €     18,00 Basata sulla consultazione di una ampia documentazione archivistica, carte riservate di fonte comunista e testimonianze dei protagonisti, l’opera ricostruisce nella sua interezza la storia dei Gruppi di azione patriottica (Gap) operanti in Milano dall’ottobre 1943 al maggio 1945. Integrate dal recupero di decine di biografie di combattenti dimenticati le vicende del più attivo e longevo dei gappismi sono per la prima volta riconsiderate criticamente alla luce delle complesse relazioni intercorse con l’apparato comunista contribuendo così a una nuova lettura delle ragioni e della dialettica interna che guidarono il Pci nel passaggio dalla fase terroristica a quella della guerriglia urbana di massa.

D. Alfonso, N. Sommariva, La ragazza nella foto. Un amore partigiano, All Around 2017, pp. 92      13,00  

Donatella Alfonso e Nerella Sommariva, figlia della protagonista di questa storia, raccontano l’intensa storia d’amore fra la figlia di contadini Maria Berchio e il partigiano Ermanno Vitale, nome di battaglia “Manno”, che combatte con le truppe degli azzurri del capitano “Mauri” contro i nazifascisti nelle Langhe, in Piemonte. Ermanno verrà presto ucciso dai fascisti nel febbraio del 1945, come tanti altri ragazzi in quei terribili mesi, ma il ricordo e l’amore non sarebbero mai svaniti nel cuore di Maria. Le resteranno le foto con Ermanno e le lettere che si scambiavano che la accompagneranno per tutta la vita.
Una storia d’amore impossibile quella fra lei, la bellissima e fiera figlia di contadini, e lui, erede di una ricca famiglia ebrea di Alessandria, ma che mostra, come tante altre, quanto la voglia di vivere potesse essere forte anche nei momenti più bui della storia d’Italia. Il libro è arricchito da fotografie di Maria e Ermanno, insieme e con le loro famiglie, e da fotografie che si scambiavano durante i mesi di forzata lontananza. (l.c.)

M. Franzinelli, L’amnistia Togliatti. 1946. Colpo di spugna sui crimini fascisti, Feltrinelli 2016, pp. 392 €     14,00 

Lo spartiacque nel decisivo passaggio tra dittatura e democrazia, per chiudere i conti con il ventennio mussoliniano e punire gli artefici della dittatura, è l’amnistia Togliatti. Emanata il 22 giugno 1946 per celebrare la nascita della Repubblica italiana, prende il nome dal segretario del Partito comunista, Palmiro Togliatti, che la firmò quale ministro della Giustizia del governo De Gasperi. Ispirata all’esigenza di pacificazione, si è però trasformata – per l’interpretazione estensiva fornita della magistratura – in un generalizzato perdono, applicato anche a torturatori e ad assassini. Piero Calamandrei definì l’amnistia un clamoroso errore della nuova classe dirigente italiana, gravido di conseguenze. Il mancato accertamento giudiziario dei crimini fascisti ha infatti determinato un enorme vuoto di conoscenze sulle dinamiche repressive del regime e della Repubblica sociale italiana. L’approfondita inchiesta di Franzinelli ricostruisce al meglio proprio quell’Italia lacerata dalla lotta politica, con cento drammatici episodi che riaffiorano dai carteggi giudiziari. 

V. Gebbia, G. Bommarito, N. Giangrande, Io c’ero. Parla la vedetta di Salvatore Giuliano, Dario Flaccovio Editore 2018, pp. 222 €     18,00

Salvatore Giuliano, il “bandito”, è una delle figure più note e controverse del panorama storico-politico italiano e internazionale.

Intorno alla fine della Seconda Guerra Mondiale, in Sicilia, la violenza e le uccisioni erano un primato nazionale, così come rapine, estorsioni, sequestri. La vita malavitosa di Giuliano si inserisce in questo contesto, e la sua storia criminale si viene a legare indissolubilmente con la storia della Sicilia e dell’Italia tutta. Eppure le sue “gesta” coprirono l’arco di soli sette anni, dal 1943 alla presunta morte nel 1950, a 27 anni.

Il volume raccoglie la testimonianza di un testimone oculare, Giacomo Bommarito, oggi ultraottantenne, che, dopo aver mantenuto per settant’anni il giuramento del silenzio, racconta la propria verità. Bommarito è stato la “vedetta” di Giuliano, che visse accanto a lui nei sette anni che fecero la storia d’Italia. Un ragazzo che vide Giuliano il 6 luglio 1950, il giorno successivo a quello della morte ufficiale del bandito, e che afferma come sia andata realmente a Portella della Ginestra.
Giuliano, a conoscenza d’impronunciabili verità, scompare stranamente al momento giusto, quando la sua fama e i suoi legami ad altissimo livello erano diventati troppo scomodi per chi gestiva il potere. In fondo, la storia di Giuliano somiglia alla storia del nostro Paese; una storia fatta di menzogne, collusioni, depistaggi, intrecci di potere. A corollario del romanzo, per la prima volta, una perizia criminologica compara il cadavere attribuito a Giuliano con immagini, alcune inedite, che lo ritraggono in vita. (l.c.)

G. Vacca, L’Italia contesa. Comunisti e democristiani nel lungo dopoguerra (1943-1978), Marsilio 2018, pp. 346 €     19,00 

Il libro ricostruisce l’Italia dal dopoguerra alla fine degli anni Settanta attraverso la storia dei rapporti fra i due principali partiti. Dai governi di unità nazionale al duello fra Togliatti e De Gasperi nella guerra fredda, dalla stagione del centro-sinistra al dialogo di Moro e Berlinguer. È la storia del nostro Paese tra i grandi partiti della prima Repubblica. Interessante le conclusioni in cui Vacca sostiene che se il disegno politico di Moro e di Enrico Berlinguer consisteva in una collaborazione di governo transitoria tra Dc e Pci «alla fine della quale, realizzare le condizioni dell’alternanza, entrambi i partiti avrebbero mantenuto le rispettive identità», allora «non era plausibile». Se al sistema fosse stata impressa una torsione bipolare, con ogni probabilità «Dc e Pci non sarebbero più stati se stessi». Perché il sistema politico italiano non si fondava sulla polarità destra-sinistra, ma «sull’antifascismo, che definiva l’area della legittimazione democratica, e sull’anticomunismo che definiva invece l’area della legittimazione a governare»: e dunque inevitabilmente sarebbe emersa sulla destra «una figura politica inconfrontabile con l’identità e la storia della Dc, mentre il Pci sarebbe verosimilmente imploso».

F. Squillace, Democrazia Cristiana. Da Murri a Martinazzoli, De Luca 2017, pp. 119
                                 22,00

Un sintetico excursus sulla Dc dalle remote origini sino allo scioglimento, alimentata da eccezionali personaggi. La Democrazia Cristiana, dopo cinquanta anni di attività, nel 1992 fu al centro di una delle più importanti inchieste della scena politica italiana, denominata Mani Pulite, i processi alla mafia che videro coinvolta anche la figura di Andreotti. La Democrazia Cristiana venne sciolta nel 1994 prendendo il nome di Partito Popolare Italiano, assumendo l’atteggiamento di un partito di centro che guarda a sinistra. Dal 1994 al 2000, molti ex democristiani confluirono in Forza Italia, divenendo di fatto il partito con più alto tasso di presenze della ex DC.

G. Scarpari, Il sole contro. 7 luglio 1960, Reggio Emilia, Bebert 2015, pp. 113 €     15,00

Il volume di Scarpari riporta alla luce un importante episodio della storia d’Italia poco conosciuto e spesso dimenticato.

Il 7 luglio 1960 a Reggio Emilia la polizia spara ad una manifestazione antifascista indetta dalla Camera del Lavoro, facendo cinque morti e un’ottantina di feriti tra i manifestanti.

Ad oggi, a 55 anni di distanza, non c’è un colpevole. Attraverso i documenti originali presentati al processo, avvenuto quattro anni dopo i fatti, Scarpari mette in evidenza le contraddizioni, le omissioni e le responsabilità delle forze dell’ordine e dell’allora governo Tambroni nella repressione delle proteste operaie ed antifasciste a Reggio Emilia nel 1960. Apice di una serie di scontri avvenuti fra antifascisti e polizia in quei mesi in molte città d’Italia, quando per la prima volta dalla nascita dell’Italia repubblicana  il MSI viene chiamato a far parte di un governo della Repubblica democratica e antifascista, in un clima generale di repressione da parte delle forze dell’ordine di qualsiasi forma di dissenso,  la strage di Reggio Emilia può essere considerata come una delle tanti stragi italiane sulle quali il segreto di Stato ha fatto per anni calare il silenzio. In appendice è riportata la Sentenza della Corte d’Assise di Milano del 14 luglio 1964 con le motivazioni e una cronologia dei principali avvenimenti della storia d’Italia dal 1945 al 1969. (l.c.)

M. Dendena, Ora che ricordo ancora. Francesca Dendena: storia di un eroe civile, Maingraf Edizioni 2012, pp. 164           s.i.p.                   

Il libro, realizzato a più mani dai familiari, ricostruisce la vita e il ruolo pubblico di Francesca Dendena, figlia di Pietro, vittima della strage di Piazza Fontana in data 12 dicembre 1969.
Quel giorno segnò per sempre la vita di Francesca, e sancì l’inizio del suo impegno per ricercare la verità e la giustizia dovute alle vittime della strage e alle loro famiglie.

Il suo impegno sociale per far continuare a vivere la memoria su una delle più inquietanti vicende della storia politica e giudiziaria italiana è stato continuo e incessante. Francesca ha incarnato l’eroina civile che ha vissuto su di sé la ferita inferta alla sua famiglia, alla città di Milano e al Paese, e ha saputo reagire, riuscendo nell’intento di tradurre la sua sofferenza in un impegno costruttivo, affinché la strage in cui era rimasto ucciso suo padre non fosse dimenticata, ma potesse costituire la base di una nuova stagione della vita civile.
In tutti questi anni, importanti settori dello Stato hanno impedito l’accertamento della verità opponendosi con ostilità alla legittima richiesta di giustizia dei familiari. Si possono e si devono accettare gli errori della giustizia, ma per Piazza Fontana non di errori si è trattato ma di una cinica regia che ha coinvolto gangli vitali dello Stato che di fatto ha impedito il conseguimento della verità giudiziaria.
Francesca, una delle anime dell’Associazione delle vittime della strage, ha cercato nelle scuole, nei convegni, nelle manifestazioni di scuotere le coscienze affinché non venisse accettato il fallimento della giustizia. 

Questa sua battaglia rafforza l’auspicio che la storia di quei terribili anni possa divenire coscienza civile di un popolo.

Il libro si divide in due parti; la prima delle quali è dedicata al ruolo pubblico di Francesca e al suo impegno che ha profuso per tanti anni, arricchita da una serie di discorsi pronunciati durante i vari 12 dicembre susseguitesi negli anni. La seconda parte è composta dai ricordi privati dei familiari. (l.c.)

A. Festival, Full time blues. Un diario-cronaca degli anni ’70, Magmata 2017, pp. 413                   15,00 

Un diario dei ’70 libertari, quelli delle opportunità/possibilità, quelli che non intendevano sostituire poteri ma negarli in toto. Gli anni ’70 non solo delle idee e degli eventi, ma anche e soprattutto delle cose quotidiane, dei tanti piccoli episodi, delle tante relazioni/azioni dirette che trasformarono gli animi ed i rapporti sociali/personali di molti di noi. Una cronaca a posteriori, per percepire gli umori corsi in quegli anni, per visualizzare una delle tante parabole di ascesa-discesa di quel periodo. Una cronaca dal basso, utile a trarre conoscenza e vantaggio dalle esperienze passate. La gioventù, i movimenti, le ispirazioni-aspirazioni, i marxisti-leninisti, gli anarchici, gli happening, le piazze, le metodologie. La rivoluzione vissuta come un processo di ricerca della propria e altrui felicità, non come la presa del palazzo d’inverno; poi man mano la discesa – il riflusso – la roba/eroina. Il diario nasce da un’inestricabile mescolanza di memoria e racconti orali e i nomi citati, tranne quelli tratti dalla cronaca giornalistica del periodo, sono sempre frutto d’immaginazione. (dalla introduzione)

G. Donato, La violenza, la rivolta, Cronologia della lotta armata in Italia 1966-1988, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia 2018, pp. 417
    25,00 Tutto inizia il 24 gennaio del 1966, quando gli studenti di Sociologia di Trento occupano l’Università. È la prima volta in Italia che una facoltà universitaria viene occupata. Ed è la prima scintilla quel conflitto civile che avrebbe insanguinato l’Italia almeno fino ai primi anni Ottanta. Un’Italia che è dell’altro ieri e che oggi già ci sembra impensabile, fra terrorismo, attentati, sequestri, omicidi, guerriglia urbana, stragi di Stato, servizi segreti deviati. Un’Italia frantumata, violenta, triturata sotto il peso di schiaccianti interessi internazionali al tempo in cui il mondo era diviso in due e le due parti si contendevano il mondo. 

Dalla introduzione riportiamo un brano che chiarisce bene l’intento del volume: «In particolare, i riferimenti alla dimensione internazionale mi sono sembrati cruciali per non trasmettere l’idea che la lotta armata in Italia sia stata un fenomeno leggibile e comprensibile esclusivamente all’interno dei confini nazionali […] Inoltre, era indispensabile che trovassero uno spazio adeguato, all’interno del lavoro, le vicende del terrorismo nero e le trame della strategia della tensione, oltre agli episodi più clamorosi della storia del terrorismo internazionale. Si tratta di elementi che considero imprescindibili per proporre ai lettori un’immagine complessiva della durezza di quegli anni: una durezza che è stata certamente esasperata dai gruppi armati di sinistra, ma che non ha avuto esclusivamente a che fare con i loro repertori operativi. La durezza del terrorismo stragista, infatti, è stata con tutta evidenza più brutale, e quella dell’apparato repressivo non è stata certamente contenuta (come dimostrano, per citare un esempio, i casi di tortura riportati anche in questo testo). La violenza che ha segnato quel ventennio, pertanto, non può essere ricondotta esclusivamente alle intenzioni e alle azioni di quanti la rivendicarono esplicitamente come strumento legittimo di battaglia politica: oltre ad essa, c’è stata la violenza indiscriminata di chi ha agito nell’ombra (grazie a coperture di ogni genere) e c’è stata pure la violenza incontrollata di chi ha agito in nome della legittimità istituzionale».

G. Oliva, Torino anni di piombo 1973-1982, Edizioni del Capricorno 2017, pp. 167                   12,90

Alla fine degli anni Sessanta, la violenza politica entra nel panorama della quotidianità: l’Italia post-bellica della rinascita, del boom economico e dell’ottimismo lascia il posto a un’Italia conflittuale e contraddittoria, dove s’intrecciano rabbie, velleità e rifiuti, e dove le forze politiche non sembrano avere più capacità di controllo. In questo quadro generale Torino ha la specificità che deriva dalla sua storia di città industriale. 

A Torino c’era la concentrazione della più grande forza industriale ed economica d’Italia, e la più grande forza organizzata del movimento dei lavoratori. E Torino, più ancora delle altre grandi città italiane, diventa la protagonista assoluta della lotta armata fra il terrorismo di sinistra e lo Stato.

La città paga un prezzo altissimo, in termini di conflittualità quotidiana, di paura collettiva e di vittime dei brigatisti. 

L’Autore ricostruisce il clima dell’epoca e la cronaca quotidiana della città dal 1973 al 1982, in quei dieci anni che segnarono in maniera indelebile la storia recente del nostro Paese. 

Il libro è arricchito da decine di immagini d’archivio che documentano la violenza di quegli anni, e da importanti testimonianze d’epoca. (l.c.)

T. Detti e G. Gozzini, L’età del disordine. Storia del mondo attuale 1968-2017, Laterza 2018, pp. XVIII-210 €     20,00 L’età del disordine descrive con lucidità la crisi non solo economica ma anche, e soprattutto, socio-culturale degli ultimi anni. La mancanza di coordinate per orientarsi nel grande disordine globale ha generato un senso di smarrimento che presto si è trasformato in paura: come scrive Zygmunt Bauman, nella staffetta della storia l’epidemia globale di nostalgia ha raccolto il testimone della precedente epidemia della smania per il progresso. 

Il futuro non si presenta più come fonte di speranza, ma di angoscia. 

Gli autori con questo volume indagano gli ultimi cinquant’anni di storia nel tentativo di trovare un ordine, una spiegazione razionale del perché siamo arrivati a questo punto. In particolare, i due storici si focalizzano sul quinquennio 1968-1973, epicentro dei maggiori stravolgimenti economici e culturali senza i quali risulta impossibile comprendere il presente. (luca picotti)

L. Visca, Pier Paolo Pasolini, una morte violenta, Castelvecchi 2015, pp. 124 €    14, 50

Lucia Visca fu la prima cronista ad arrivare, alle sette del mattino del 2 Novembre 1975, sul luogo del delitto di Pier Paolo Pasolini. Questa cronista è una testimone d’eccellenza di uno dei delitti più misteriosi d’Italia.  

Lucia non si limita a raccontare la personale cronaca della cronaca ma ci spiega anche il motivo per cui il caso è ancora aperto dopo quarant’anni. La giornalista ricostruisce cronologicamente gli atti, i processi, gli indizi, fino ad arrivare a confermare la propria ipotesi iniziale, ossia la presenza di altre persone sulla scena del delitto. 

A. Fiorucci e R. Guadagno, Il divo e il giornalista, Giulio Andreotti e l’omicidio di Carmine Pecorelli: frammenti di un processo dimenticato, Morlacchi 2018, pp. 379 €     15,00

Pecorelli fu ucciso a Roma il 20 marzo 1979, perché era un giornalista scomodo agli   apparati del  potere politico ed economico perché pubblicava sulla sua rivista «OP» notizie riservate – anche quelle relative al memoriale scritto da Aldo Moro prigioniero delle Brigate Rosse. Il processo si  svolse a Perugia nei primi anni ’90. Sul banco degli imputati il sette volte presidente del consiglio Giulio Andreotti, il magistrato Claudio Vitalone, i  boss della mafia Gae-
tano Badalamenti e Giuseppe Calò, accusati di essere i mandanti, e il killer di Cosa Nostra Michelangelo La Barbera e l’ex Nar e uomo della banda della Magliana Massimo Carminati. Conclusione: gli imputati furono tutti assolti in via definitiva.

G. Oliva, Il caso Moro. La battaglia persa di una guerra vinta, Edizioni del Capricorno 2018, pp. 165        9,90 

Il testo ricostruisce la situazione politica in cui si svolge la vicenda, la cronaca quotidiana del sequestro, la strategia della comunicazione usata dai terroristi, le lettere scritte da Moro nei 55 giorni di prigionia, la difficile risposta dello Stato, la «strategia della fermezza» e le aperture alla trattativa con le BR, il tragico epilogo. Un capitolo è dedicato ai «misteri» e alle numerose tesi complottiste che negli anni sono state elaborate.

M. Belpoliti, Da quella prigione, Moro, Warhol e le Brigate Rosse, Guanda 2018, pp. 103
                                  12,00 

In questa nuova edizionc del libro Marco Belpoliti analizza l’uso delle immagini compiuto dalle Brigate Rosse durante gli anni di piombo, rilegge le foto di Moro attraverso l’opera di autori come Andy Warhol, Marshall McLuhan, Pier Paolo Pasolini, John Berger, e interpreta quegli scatti come il segno di un cambiamento in corso negli anni Settanta nell’utilizzo del corpo da parte degli uomini politici. Moro appare come l’ultimo esempio del passato, mentre il corpo stava divenendo lo strumento principale della comunicazione politica. Fotografandolo come un re deposto, i brigatisti hanno umanizzato Aldo Moro, così che la sua immagine continua a interrogarci ancora oggi sul potere, sul terrorismo e sull’idea di un’utopia politica realizzata con il sangue. (dal risguardo)

S. Zecchi, La criminalità servente nel caso Moro, La nave di Teseo 2018, pp. 294      19,00 

Questo libro-inchiesta ricostruisce per la prima volta in modo unitario il ruolo svolto dalla criminalità organizzata durante i cinquantacinque giorni del rapimento. 

Una presenza da sempre accennata ma mai chiarita, nascosta tra carte giudiziarie e cronache sommerse dal tempo, dall’incuria e dall’omissione. 

La ’ndrangheta calabrese, all’ombra del clamore di Cosa nostra, ha infatti scalato i gradi del potere criminale trovandosi a giocare nell’affaire Moro su più tavoli: con le istituzioni, i partiti e i terroristi. Una criminalità servente, al servizio cioè di altre strutture di potere il cui destino sembra legato a doppio filo a quello della stessa malavita organizzata. Con un’inchiesta scottante e molto documentata, Simona Zecchi fa emergere fatti inediti e informazioni poco note, che consegnano un nuovo approccio all’analisi del Caso Moro. I

l quadro che si delinea – partendo da via Fani, attraverso la trattativa e fino all’epilogo di via Caetani – ribalta la versione ufficiale che una parte delle BR, con la connivenza della stessa Democrazia cristiana, ha consegnato alla magistratura e alla verità storica fino ad oggi. (dal risguardo di copertina)

F. Lavagno e V. Satta, Moro. L’inchiesta senza fine, Edup 2018, pp. 295      22,00

Il titolo del libro si riferisce all’esito interlocutorio dell’inchiesta parlamentare  Moro-2 ed è costituito di tre sezioni: la prima è dedicata alla riflessioni degli autori; la seconda sezione riporta i resoconti delle sedute in cui è stata discussa l’ultima relazione della commissione Moro-2, riportando anche documeti elaborati nei decenni scorsi in sede parlamentare e giudiziaria e la terza parte riporta la lettera indirizzata alla presidenza del Moro-2 del giudice Rosario Priore, per anni titolare per la Procura di Roma della vicenda Moro. Spiega come l’inchiesta si sia trasformata in una narrazione più simile ad una ghost story che ad un’analisi tecnico-politica e si sia persa una preziosa occasione per chiudere un periodo storico e politico.

D. Mungo, Avevamo ragione noi. Storie di ragazzi a Genova 2001, Eris 2015, pp. 251 €     13,00 Il romanzo di Domenico Mungo, un episodio dopo l’altro, ripercorre a ritroso le giornate del G8, dalla macelleria della Diaz al primo giorno, quando un corteo colorato e festoso dava il via a un contro-vertice di persone convinte delle proprie ragioni e niente di tutto quello che è successo sembrava possibile. E poi l’incubo: le urla che si confondono con l’eco dei manganelli che battono contro gli scudi, un morto ammazzato e la furia cieca di chi non lo potrà mai accettare. Avevamo ragione noi racconta il trauma collettivo e i sogni infranti di una generazione che dopo quelle giornate non è stata più la stessa, con le emozioni e il terrore di chi in quei giorni c’era e non potrà mai più dimenticare.

P. Ciofi, Del governo della città. L’esperienza delle «giunte rosse» per un’altra idea di Roma, Bordeaux 2016, pp. 183 €     12,00 

Il volume raccoglie scritti, interventi e discorsi di Paolo Ciofi sul tema di Roma e della sua doppia crisi, come grande metropoli europea e come capitale dello Stato unitario. 

È la storia delle “giunte rosse” guidate dai sindaci comunisti Giulio Carlo Argan, Luigi Petroselli e Ugo Vetere nel decennio 1975-1985, che indicarono e percorsero un’altra strada dopo il “sacco di Roma”: priorità ai bisogni sociali nella metropoli devastata dagli interessi della rendita immobiliare e del profitto.  

P. Flecchia, Da Mussolini a Berlusconi. La legittimazione del potere demagogico nell’Italia del ventesimo secolo, Mimesis 2011, pp. 93
      5,90

Un viaggio spassoso nell’intimo dei nostri governanti e nella nostra perversa passione per la demagogia. Questo libro lo affronta con passione, analizzandone tutti gli aspetti di somiglianza e differenza. “I più pericolosi nemici d’Italia sono gli italiani” diceva Massimo D’Azeglio. E questo perché pur volendo riformare l’Italia non si decidono a cambiare loro per primi. Altro attore della storia riletta da Flecchia è il Vaticano. 

Il libro scorre con la prosa di un saggista documentato e degno della satira di Cuore o dell’invettiva di Marco Travaglio.

P. Ceri e F. Veltri, Il movimento nella rete.Storia e struttura del Movimento 5 Stelle, Rosenberg & Sellier 2017, pp. 362 €     19,00 Scritto dai sociologi Paolo e Francesca Veltri è un tentativo di ricostruire la storia del M5S, la sua evoluzione e la configurazione degli istituti di democrazia diretta all’interno del movimento.
Il tentativo intrapreso da Ceri e Veltri di ripercorrere le tortuose vie organizzative del M5S è riuscito e  offre spunti di riflessione per il passato recente e per l’immediato futuro del Movimento.

J. Iacoboni, L’esperimento. Inchiesta sul movimento 5 Stelle, Laterza 2018, pp. 233 €     16,00

Il Movimento cinque stelle è un esperimento di ingegneria sociale che ha inizio molti anni prima di diventare una realtà pubblica, votabile, addirittura in lizza per il governo del Paese. Un esperimento che alla fine – proprio mentre il suo inventore si ammala e muore – riesce nel capolavoro di addensare la frustrazione e la rabbia del popolo  diventando la principale rivoluzione politica di questi anni. Per arrivare a raccontare tutto questo, Iacoboni ricostruisce il suo vero inizio. Quando Gianroberto Casaleggio era un giovane manager alla guida della WebEgg, una piccola azienda di sviluppo tecnologico e consulenza informatica.

Terrorismo

A. Colonna Vilasi, Il terrorismo, Mursia 2009, pp. 213 € 19,00 La strategia della tensione, gli anni di piombo, le br, i nar e le nuove cellule della lotta armata: un̓̓analisi rigorosa delle cause e delle conseguenze del fenomeno del terrorismo di sinistra e di destra in Italia, esaminato anche alla luce di analoghi movimenti internazionali. 

Questo saggio indaga, senza nessun pregiudizio ideologico, le motivazioni, gli interessi e i metodi d̓azione dei gruppi armati e terroristici inserendoli nel contesto sociale e storico in cui si sono sviluppati. Dalla strategia della tensione degli anni Sessanta e Settanta fino alle azioni armate più recenti, la ricostruzione delle trame eversive consente di leggere, per contrasto, anche il complesso percorso di consolidamento delle istituzioni democratiche del nostro Paese.

M. Galfré, La guerra è finita. L’Italia e l’uscita dal terrorismo 1980-1987, Laterza 2014,
pp. XV-254      22,00 

Attraverso una documentazione in gran parte inedita, Monica Galfré ricostruisce il lungo percorso con il quale l’Italia si è lasciata alle spalle la terribile stagione di sangue del terrorismo, restituendo il fenomeno armato alla storia del paese, come parte integrante e non separata. 

Nelle parole dei protagonisti di quegli anni troveremo il racconto del pentitismo e della realtà scottante del carcere speciale, i movimenti e la legge sulla dissociazione, il potere acquisito dalla magistratura nei confronti della politica, il ruolo svolto dalla Chiesa e dal mondo cattolico nella riconciliazione, il processo di autocritica con cui gli ex terroristi hanno delegittimato l’omicidio e la violenza. È una normalizzazione complessa e tormentata, dopo eventi che hanno trasformato nel profondo le coscienze dei singoli e della società, facendo dell’Italia un caso unico in Europa.

F. Paterniti, Tutti gli uomini del generale. La storia inedita della lotta al terrorismo, Melampo 2015, pp. 224 €     16,00

Il testo raccoglie le voci delle testimonianze di uomini che hanno lavorato molto sul fronte del terrorismo: i colleghi del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, uomini che per anni hanno combattuto nell’ombra, in molti casi mentendo anche alle loro famiglie per proteggerle, e che adesso hanno deciso di raccontare le loro storie, rendendo omaggio al loro generale, il fondatore del Nucleo Speciale Antiterrorismo, ucciso dalla mafia il 3 settembre 1982.  Il personaggio principale del libro è, appunto, dalla Chiesa un uomo determinato, astuto e pronto a schierarsi contro la criminalità organizzata, incurante del fatto che in alcuni casi lo Stato non gli abbia fornito l’appoggio necessario. Nei racconti di ufficiali, sottufficiali, carabinieri e magistrati si scoprono le caratteristiche del terrorismo di quasi 50 anni fa, diverso da quello odierno nella tecnica, ma non nell’intenzione e nella violenza. 

A cura di S. Thion, Sul terrorismo israeliano, Graphos 2004, pp. 250 €     22,00 

Il libro prende atto che Israele è uno Stato fondato sul terrorismo («di Stato», appunto). Sostiene questa tesi apportando solidi argomenti. Il primo saggio è di Ronald Bleier che passa in rassegna alcune delle imprese criminali del sionismo con l̓espulsione di oltre un milione di palestinesi dalle loro terre, la distruzione di centinaia di villaggi e gli oltre trenta massacri perpetrati tra il 1947-48 e così via fino ad oggi. Un altro grande merito di questo libro è quello di proporre ampi stralci dei diari di Moshe Sharett a cura di Livia Rokach. I diari di Sharett smontano alcuni dei miti legati alla storia del progetto sionista.

Ma oggi non si ha purtroppo il diritto di criticare il sionismo perché ciò equivarrebbe a dar prova di antisemitismo. 

Questo metodo ricattatorio, divenuto sistematico, lancinante, produce un effetto prevedibile: sempre più gente si rende conto che l̓antisemitismo tradizionale non esiste più, che si deve combattere l̓influenza degli ebrei alleati alla politica di genocidio che si pratica in Palestina e che bisogna far cessare questo enorme scandalo: il massacro di un popolo per rubargli la sua terra.

S. di Meo, G. Iannini, Soldatessa del Califfato. Il racconto della miliziana fuggita dall’ISIS, Imprimatur 2015, pp. 188 €     16,00

Il libro è nato grazie alle orribili testimonianze di una giovane tunisina di 26 anni, Aicha (nome fittizio), la quale, dopo essersi sposata con un promettente calciatore entrato nelle fila dell’ISIS ed essersi arruolata nella brigata di Al-Khansa, ovvero la cosiddetta “polizia morale”, decide di lasciare tutto e fuggire. 

Dopo aver disertato la ragazza vive in incognito in Libia ed è proprio da qui che si mette in comunicazione con due giornalisti italiani. 

Uno dei modi più efficaci per destabilizzare il Califfato è colpirlo nel profondo e questo è ciò che Aicha decide di fare dopo aver provato “vergogna per quello che ha fatto e per quello che ha visto”, rivelandone alcuni dei segreti più oscuri a Di Meo e Iannini.

I due giornalisti, tramite le documentazioni della giovane, sfruttano le contraddizioni delle promesse della dottrina estremista islamica per mostrare il divario fra gli insegnamenti del Corano e le effettive azioni dei terroristi.

Inoltre nel libro è incluso il manuale di arruolamento dell’ ISIS, reperibile molto facilmente anche in occidente, dato che lo Stato Islamico si è ormai infiltrato anche in Europa “senza far rumore ma non per questo senza far paura”. (Tommaso Pacini)

Underground

A cura di I.M. Gallino, 1965-1985 Venti anni di controcultura, Frammenti storici dell’underground italiana, Ignazio Maria Gallino Editore 2017, pp. 900 €   250,00

Volume fondamentale per chi si interessa dell’underground. Sono otto chili di memorie, opuscoli,  periodici, volantini, manifesti, ciclostilati, fogli di controinformazione dei movimenti “underground” alternativi giovanili italiani con scritti di: Felice Accame, Alessandro Bertante – Italo Bertolasi, ’Bifo’, Riccardo Bertoncelli, Guido Blumir, Franco Bolelli, Antonio Caronia, Gianni De Martino, Beppe De Sarlo, Pablo Echaurren, Matteo Guarnaccia, Gigi Marinoni, Giancarlo Mattia, Lea Melandri, Gianni Milano, Primo Moroni, Andrea Pasquino, Marco Philopat, Giorgio Pisani, Fernanda Pivano, Franco Quadri, Angelo Quattrocchi, Lidia Ravera, Edoardo Re, Marisa Rusconi- Franco Schirone, Andrea Sciarne’, Clara Sestilli- Gianni E. Simonetti, Vincenzo Sparagna, Myriam Sumbulovich, Andrea Valcarenghi. Un libro bellissimo anche solo da sfogliare sia per le tante riproduzioni a  colori sia per la particolarità della impaginazione. Ignazio Maria Gallino è stato uno degli artefici dell’underground italiano ed è un peccato che tutto il suo prezioso archivio sia solo conservato presso il Liceo Parini di Milano e non ancora catalogato e dunque non consultabile.

T. Messineo, Black hole. Uno sguardo sull’underground italiano, Eris 2015, pp. 491                       20,00

L’Autore traccia un quadro personale della storia della cultura underground italiana dalle origini fino ai nostri giorni. L’underground ha da sempre cercato di dar voce e spazio a quelle culture e a quei movimenti che provengono da esperienze artistiche e politiche laterali o periferiche, ma che hanno coinvolto tantissimi giovani i tutto il mondo negli ultimi quarant’anni. 

In Italia, come altrove, la cultura underground coinvolge l’arte, la musica, la letteratura, la grafica e l’utilizzo di qualsiasi linguaggio espressivo. 

È genuinità, cultura di collaborazione, un’affermata “alternativa” alle culture identificate come fondamentali.

Messineo, attraverso interviste e ricordi di buona parte di quella gente che ha vissuto e vive questa realtà, tramite racconti, aneddoti, articoli e spezzoni di libri già pubblicati, ci fa conoscere i protagonisti di questo mondo e di queste storie di “controcultura”. Più di ottanta intervistati ci raccontano quarant’anni di autoproduzioni: dai vinili di etichette musicali indipendenti alla carta stampata delle fanzine, dalle musicassette alla serigrafia, dai video alle webzine, senza dimenticare writers, graffiti e tatuaggi. Il libro è un viaggio tra tutti quegli elementi che compongono le diverse realtà musicali e artistiche: non solo le due scene underground per eccellenza, il punk e l’hip hop, ma anche tutti quei fenomeni culturali esplosivi che hanno contribuito a creare un immaginario collettivo, a partire da festival musicali, centri sociali, spazi occupati e radio libere. (l.c.)

A. Gaillard, Diggers. Rivoluzione e controcultura a San Francisco 1966-1968, Nautilus 2017, pp. 183       15,00 La metà degli anni ’60 corrisponde all’arrivo all’età adulta di un nuovo attore sociale, i giovani. Le preoccupazioni e i valori dei ragazzi dai 17 ai 25 anni, ribellione e anticonformismo, sommergono la vecchia America che durante gli anni ’50 si è impietrita in un conservatorismo e in una fiducia cieca nel suo modello dell’American way of life. Saranno i giovani degli anni ’60 a infiammare la costa occidentale degli Stati Uniti e di seguito l’insieme dei giovani di tutto l’Occidente. Portatori di nuovi bisogni, di valori e di istinti opposti a quelli della società dominante, aggressiva, competitiva e repressiva, danno vita a una controcultura grazie alla quale altri modi di esistenza sociale diventano accessibili.

È in questo contesto che a San Francisco nel 1966, nel quartiere di Haight Ashbury, nascono i Diggers. Nati come gli Hippies nella città californiana, ne contestano il suo carattere apolitico e l’individualismo estatico. È il teatro di strada il loro mezzo espressivo e, cercando di cancellare i confini tra lo spettatore e l’attore, l’arte e la vita, combinando la pratica diretta dell’anarchismo con l’azione teatrale, minano l’autorità sotto tutte le sue forme, e coniugano il rifiuto della società dei consumi e il desiderio di liberazione personale. Trascinando con sé migliaia di persone, con gli strumenti del teatro, hanno modellato un mito: l’utopia di una vita libera e gratuita insieme, autonoma e autogestita. Questa vita non la proponevano come un augurio, un’aspirazione, ma come una verità concreta. È stata un’esperienza breve quella dei Diggers, perché quando ha fatto irruzione il recupero commerciale e mediatico, si sono rapidamente volatilizzati. Ma è rimasta per sempre nel cuore della gente la loro leggenda, leggenda di un gruppo di giovani che hanno voluto cambiare il mondo.

Il volume è arricchito da fotografie in bianco e nero che documentano la vita negli Stati Uniti alla fine degli anni ’60, con immagini in particolare degli artisti e dei giovani che hanno fatto la storia del movimento controculturale.

Inoltre in appendice vengono riportati articoli scritti dai Diggers che testimoniano la loro visione della vita e della società, e un’accurata cronologia dei principali avvenimenti accaduti negli Stati Uniti dal ’63 al ’69. (l.c.)

L. Pollini, Hippie, la rivoluzione mancata. Ascesa e declino del movimento che ha sedotto il mondo, Elemento 115 2017, pp. 316       18,00 Cinquant’anni fa il centro del mondo giovanile si sposta da Londra a San Francisco. E nella città californiana, quella generazione che fino ad allora veniva definita beat, si trasforma nella generazione hippie.

Nei primi anni ’60 negli Stati Uniti gli sconvolgimenti politici e sociali sono enormi: l’uccisione di Kennedy, la guerra in Vietnam, la Guerra Fredda, il maccartismo, la crisi del movimento sindacale, sono solo alcuni dei fattori che rendono evidente come la società americana fosse scossa da profondi cambiamenti.

È un momento chiave dove ciò che scorre sotterraneo a un tratto diventa visibile, strati sociali rimasti fino ad ora in ombra accedono al mondo culturale dando vita a nuove forme di espressione nella produzione letteraria, visiva, musicale. Ed è in questo contesto che nascono gli hippie, i “Figli dei fiori”. Non c’è nessuna regia o moda da seguire, la decisione è spontanea e collettiva. I giovani cominciano a pensare che si può cambiare radicalmente il modo di vivere, comprendendo che la società così com’è è sbagliata, che il mondo deve cambiare. La filosofia hippie si fonda sul rifiuto del modello di società del falso benessere: al denaro e al consumismo contrappone valori spirituali, come l’amore, l’amicizia, la nonviolenza, l’impegno civile soprattutto contro la segregazione razziale e le guerre.

I “Figli dei fiori” hanno l’arte e la musica come mezzi espressivi, ascoltano le canzoni delle grandi star del rock che cantano l’amore senza divieti e invitano al viaggio, sia fisico che spirituale. Quello che va in scena a San Francisco e si diffonde in altre città degli Stati Uniti non è casuale, ma il risultato dell’attivismo di un gruppo di giovani che intuiscono quanto fosse  importante esprimere le proprie emozioni e passioni per un radicale rinnovamento della società. La rivoluzione dell’amore dilaga, ma il potere vero non lo conquista; forse perché non era quello che interessava, non era quello che volevano. O forse perché parole come pace e amore cominciano a essere una minaccia per l’America, impegnata in guerre infinite, nella tensione con l’Est del mondo, con violenti conflitti razziali interni.

Una rivoluzione che però è rimasta per decenni nel cuore della gente, come icona, memoria, percorso ideale di conoscenza ed esempio unico di gioia di vivere e creatività assolute.

Luca Pollini, raccogliendo date e dati, inquadrando personaggi ed eventi, tra storie, leggende e aneddoti, racconta i quattro anni del movimento hippie: dal 1965 al 1969. (l.c.)

W. Hollstein, Underground. Sociologia della contestazione giovanile, Coessenza 2016,
pp. 224 €     12,00

Pubblicato per la prima volta in lingua italiana nel 1971 questo libro ha fornito le basi teoriche per la comprensione della semiotica della contestazione giovanile e equipaggiando lo scienziato sociale di innovative lenti interpretative per lo studio delle tendenze politico-ideologiche che hanno interagito dentro e contro la cultura occidentale del secolo scorso. A quarant’anni dalla sua pubblicazione Underground non ha smesso di dialogare con il presente: Walter Hollstein ha illustrato quanto «l’idea di una razionalità storica totale e una specificità, se non proprio di classe quantomeno di percezione psicologica, hanno favorito un processo di auto-identificazione dei gruppi giovanili e di autonomia del soggetto in uno spazio collettivo, nell’underground metropolitano, nei centri accademici, presentando davanti agli occhi degli osservatori una popolazione fluttuante, un contesto magmatico in cui il territorio giovanile appare, nei flussi comunicativi e nella miriade di forme aggregative e solidali, apparentemente distinto e correlato, capace di causare un indebolimento dei meccanismi di riproduzione sociale, una scollatura dei rapporti inter-generazionali e il depauperamento dei criteri che regolano l’organizzazione della polis. In prevalenza goliardico-controculturale e studentesco, nel movimento degli anni Sessanta è dunque prevalsa la ricerca di una identità giovanile, una identità possibile di movimento perché sradicata da ogni tipo di rapporto di appartenenza, una, perché no, risposta all’atomizzato e anonimizzato ruolo che le spinte della modernizzazione intendevano riservare al nuovo soggetto sociale».

Walter Hollstein è professore emerito in Sociologia politica presso l’Università di Berlino. È autore di numerose monografie sui movimenti culturali giovanili.